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22 Marzo 2018Rivoluzione n° 41
28 Marzo 2018Il 18 marzo le truppe dell’esercito turco ed i suoi alleati jihadisti dell’Esercito Libero Siriano hanno occupato la città di Afrin, cantone a grande maggioranza kurdo della Federazione Democratica della Siria del Nord. Saccheggi, torture, umiliazione della popolazione e decapitazione pubblica di due combattenti kurdi sono stati il biglietto da visita di queste bande assassine e reazionarie che il sito web del quotidiano Repubblica ha avuto la spudoratezza – prima di essere subissato di proteste – di chiamare “ribelli”.
Dopo due mesi di eroica resistenza contro l’operazione “Ramoscello d’ulivo” lanciata dal presidente della Turchia Erdogan, le milizie YPG (Unità di protezione del popolo) e YPJ (Unità di protezione della donna) hanno favorito la fuga dei civili verso la provincia di Aleppo e posto le basi di una resistenza militare alle forze d’occupazione. I kurdi sono stati scaricati sia da Putin – che ha ritirato le forze armate russe dal cantone di Afrin e concesso lo spazio aereo all’aviazione militare turca – che dagli Stati Uniti, che fino a poche settimane fa hanno utilizzato le YPG-YPJ nell’offensiva contro l’ISIS nella provincia siriana di Deir Ez-zor. Tanto la Russia quanto gli USA sono stati mossi dalla ricerca – in competizione – di un avvicinamento diplomatico con la Turchia. Neanche l’Unione Europea ha mosso un dito per fermare l’attacco di Erdogan e delle bande jihadiste. A nessuno di queste potenze, inoltre, dispiacerà l’indebolimento della guerriglia kurda, unica forza di massa di orientamento progressista in quella zona del Medio Oriente. I prossimi obiettivi di Erdogan sono Manbij – tenuta dalle Forze Democratiche Siriane la cui spina dorsale sono i combattenti kurdi – e gli altri due cantoni kurdi in Siria, Kobane e Qamishlo. In sostanza, Erdogan cerca di schiacciare i kurdo-siriani e le loro esperienze di auto-governo che, peraltro, dal suo punto di vista bordeggiano pericolosamente gran parte della zona kurda della Turchia dove operano da più di tre decenni le forze guerrigliere del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), alleate con le YPG-YPJ. Non per niente, l’obiettivo finale sono le zone del Kurdistan iracheno controllate dal PKK nella zona montagnosa del Qandil. In quest’ultima parte del piano, la Turchia avrebbe già l’appoggio del governo iracheno di Baghdad, anch’esso ansioso di indebolire la propria minoranza kurda, in particolare dopo il referendum per l’indipendenza organizzato nel settembre 2017.
Durante l’attacco ad Afrin, il governo italiano ha giocato la stessa parte dei suoi omologhi occidentali. Gentiloni, infatti, ha cordialmente ricevuto Erdogan il 5 febbraio a Roma, mentre era già in corso l’offensiva su Afrin. La sera, poi, Erdogan è stato invitato ad una cena colma di uomini d’affari col patrocinio del presidente di Confindustria Boccia. L’interscambio commerciale tra Italia e Turchia ammonta a 20 miliardi di euro, gli interessi sono particolarmente estesi nel settore della difesa e il padronato italiano non vuole certo rovinare i suoi rapporti col governo turco a causa della lotta di un popolo oppresso. Già che c’era, nelle 24 ore passate a Roma Erdogan ha incontrato pure papa Francesco I, il quale lo ha trattato amichevolmente e in seguito ha tenuto un’omelia sulla pace!
Abbiamo già chiarito, su questo sito, le ragioni per le quali appoggiamo la lotta delle YPG-YPJ. Le ultime vicende provano, ancora una volta, che le potenze imperialiste usano le aspirazioni nazionali del popolo kurdo finché ne hanno l’interesse e le tradiscono appena ne hanno la convenienza. D’altra parte, noi non sacrifichiamo il sacrosanto diritto del popolo kurdo all’autodeterminazione, inclusa l’indipendenza, all’altare della geopolitica e dell’appoggio al regime reazionario di Assad, come fanno invece il PCI ed il PC rizziano. Per questo ci siamo uniti e ci uniremo alle mobilitazioni in solidarietà con la lotta kurda e contro tutti i campi imperialisti presenti in Siria.