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16 Marzo 2018Riceviamo e pubblichiamo la lettera di un lavoratore precario di Poste Italiane
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Questa storia ha inizio quando Poste Italiane inizia ad assumere, con contratti trimestrali rinnovati di volta in volta, per coprire i carichi di lavoro derivanti dalla commessa Amazon. Una collaborazione che dovrebbe garantire molti mesi, se non anni, di lavoro a molti disoccupati, giovani e meno giovani.
Fino a qui tutto bene, citando L’odio, e nessuno sapeva cosa l’aspettasse realmente all’impatto.
Ci siamo trovati immersi in una realtà fatta di numeri da raggiungere, ai quali si chiedeva di abbinare la qualità. Quando si sa che, non sempre, quantità e qualità vanno d’accordo.
Questo caso non fa eccezione.
Non avendo mai avuto un servizio simile, Poste Italiane stava facendo esperienza sulla pelle dei lavoratori. L’importante, naturalmente, era solo rassicurare Amazon di essere in grado di garantire elevatissimi livelli di consegna.
E non c’è voluto molto a capire che il numero di consegne di cui si stava parlando era esagerato anche per un mulo sceso dalle valli. Ma tutto questo non importa, la parola d’ordine era spingere e fare elevate performance ogni giorno.
Proprio la stessa filosofia di Amazon, dove si lavora con ritmi massacranti: un pacco ogni quindici secondi, lavorare a 240 all’ora. Nessuna pausa per le prime quattro ore e mezza del turno, venti o trenta chilometri percorsi ogni giorno e, quando ci si mette a letto, una stanchezza nelle gambe da non riuscire a prendere sonno.
Queste sono le condizioni di lavoro che Poste Italiane impone: postini trasformati in facchini.
Questa spirale va avanti tra l’ansia del rinnovo contrattuale, con continui spostamenti della propria zona, senza mai sosta e l’impossibilità di prendere ferie per le continue pressioni di Poste e di Amazon.
Una continua rincorsa a consegnare il maggior numero di pacchi che non ha neanche soddisfatto Amazon, che ha cominciato a consegnare in proprio nelle zone più centrali e più redditizie della capitale. Così le mansioni di alcuni di noi sono di nuovo cambiate ed ecco che il corriere trimestrale diventa un ibrido postino-corriere-spazzino del mare.
Qui si cela il capolavoro di Poste Italiane: mascherare la disorganizzazione con la spremitura fisica e mentale di tante persone, giovani e non.
I precari non sono lavoratori, sono CTD (Contrattisti a Tempo Determinato). Ciò comporta lavorare per due, rendere ordinari gli straordinari, essere capaci di moltiplicare le energie per esigenze di emergenza, spaccarsi letteralmente le ossa in un lavoro usurante (non ancora riconosciuto come tale) e non poter prendere le ferie quando si vuole.
Si potrebbe ribattere che il lavoro, al giorno d’oggi, è una manna dal cielo, ma si cadrebbe nell’accettazione di ciò a cui vogliono arrivare i padroni, pubblici o privati che siano. Le condizioni di lavoro tendono sempre più al ribasso e si arriva al fatto che vale tutto.
Vale che due ore di straordinario al giorno non sono poi così tante e vale anche che, per la strategia di Poste di dividere i lavoratori, tutto ciò non vale per i lavoratori a tempo indeterminato, che hanno ferie e orari certi.
La lotta tra poveri è servita, nel silenzio dei sindacati che, a parole, stanno vicino ai precari (e vorrebbero la loro stabilizzazione), ma nei fatti si vedono, e fanno campagna acquisti, puntualmente solo quando c’è il rinnovo del contratto precario.
Ed è a questa continua corsa al ribasso e al peggioramento delle condizioni di lavoro che occorre ribellarsi! Con l’unità di tutti i lavoratori di Poste Italiane, precari e a tempo indeterminato, per far sì che né qui, né ad Amazon, e in nessun altro luogo, si possano instaurare condizioni di lavoro massacranti e tornare indietro di due secoli in quanto a diritti dei lavoratori.