Marocco – Il Rif insorge di nuovo
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A quanto pare i partiti principali (Pd, Forza Italia, Lega e 5 Stelle) stanno trovando l’accordo: legge elettorale, “manovrina” economica, e poi strada aperta per le elezioni politiche.
Il “miracolo” – dopo anni di governi delegittimati e di voti popolari ignorati con arroganza – si spiega facilmente. Intanto, la legge elettorale proposta contiene uno sbarramento al 5 per cento. Per capirci significa che un partito che alle ultime elezioni avesse preso circa 1 milione 700mila voti, non proprio il partito di un condominio, non avrebbe alcun eletto. Grazie allo sbarramento i “grandi” contano di demolire e fagocitare i “piccoli”. Inoltre la legge proposta prevede collegi blindatissimi, niente preferenze e precedenza ai capilista dei listini bloccati. Anche i grillini, che di solito strillano tanto sulla democrazia, a quanto pare hanno gradito questa proposta che garantirebbe un controllo di ferro sui futuri gruppi parlamentari.
In secondo luogo, il voto anticipato sarebbe stato deflagrante a gennaio, sulla scia della sconfitta di Renzi nel referendum, col Pd lacerato e la speranza diffusa fra milioni di persone di poterlo mandare definitivamente a casa. Ora le falle sono state in parte rappezzate, Renzi si è ripreso il partito, la scissione di Bersani e Speranza ha dimostrato di essere patetica, a destra Salvini è confinato in un recinto dal quale difficilmente uscirà… persino l’elegantissimo Di Maio sta facendo un corso accelerato da uomo di Stato, a quanto pare con un certo successo.
Certo, Confindustria, i poteri economici nazionali e internazionali non sono entusiasti di un possibile voto anticipato, i “mercati” speculano. Ma anche l’evanescente governo Gentiloni è uno strumento poco efficace per le loro necessità. Sanno benissimo che anche se c’è una minima ripresa economica e la disoccupazione cala di qualche decimo di punto, i problemi sono tutti ancora sul tavolo: dalla crisi bancaria al debito pubblico. Il governatore della Banca d’Italia, alla presenza di Draghi, propone di portare l’avanzo primario dello Stato al 4 per cento del Pil per 10 anni per abbattere il debito pubblico sotto il 100 per cento del Pil: di fatto un’altra generazione da crescere ad austerità, tagli e tasse! Confindustria vorrebbe “azzerare il cuneo fiscale” su tutti i nuovi assunti per tre anni, ossia niente tasse o contributi: le regalìe di Renzi col Jobs Act hanno già scassato i conti dell’Inps, ma ai padroni ancora non basta! E chi pagherebbe?
A conti fatti, quindi, se la borghesia vuole portare avanti i suoi progetti, meglio un governo legittimato dal voto che non l’ectoplasma di Gentiloni.
Tanto per non lasciare dubbi su chi deve pagare il conto, lo scontro sulla legge elettorale si è intrecciato con quello sui voucher, una bella ditata negli occhi alla Cgil e a Mdp, ma soprattutto un messaggio chiaro ai lavoratori, ai disoccupati, ai precari: per voi non c’è e non ci sarà niente. Vi abbiamo fregato (è la parola esatta) il referendum sull’art. 18 e adesso vi freghiamo di nuovo con i voucher.
Si dimostra per l’ennesima volta la totale inutilità della sinistra riformista. Era inutile quando era nel Pd, inutile resta ora che se ne è uscita. Dato lo sbarramento previsto, ritenteranno la sorte unendo le forze. Bersani, Speranza, Fratoianni, Pisapia, Civati, tutti uniti al grido “5 per cento, si può fare!” Tutti a giurare che “il centrosinistra è morto”, e tutti pronti a resuscitarlo se appena se ne presentasse l’occasione, come dimostra il loro appoggio al governo Gentiloni. In fondo al convoglio arranca anche Rifondazione comunista, che avendo ripetuto in versi e in prosa “mai più col Pd!” ora cerca disperatamente un modo per entrare nella poco gradevole compagnia senza contraddirsi troppo platealmente. La scelta è tra la minestra indigesta e un salto da una finestra molto alta…
Fuori da questo “bel mondo” rimane la classe lavoratrice, milioni di persone alle quali si chiederà il voto per legittimare questo “nuovo” assetto che assomiglia come una goccia d’acqua a quanto abbiamo visto fin qui. L’Istat ha scoperto che la classe operaia non esiste più, una colossale menzogna se guardiamo la realtà economica e sociale, ma che si trasforma in una drammatica verità sul piano politico: la classe lavoratrice non ha né voce nella politica ufficiale, né strumenti politici per difendersi e contrattaccare alle politiche del capitale, e certo non può trovarli nella sinistra riformista di cui sopra, né nelle favole grilline.
Qui finisce la descrizione dello “stato di cose esistente”, e qui deve cominciare la nostra azione consapevole. In questi anni più volte migliaia e migliaia di lavoratori, di giovani, di donne, che sono scesi in piazza per rivendicare i propri diritti o per contrastare le politiche dei vari governi. In certi momenti, come negli scioperi contro il Jobs act o contro la “buona scuola”, siamo stati in centinaia di migliaia e milioni.
Dobbiamo raccogliere la sfida, e facciamo un appello a tutti coloro che nella sinistra di classe, nei movimenti di lotta, nelle lotte sindacali, percepiscono come noi questa necessità. Lottiamo tutti i giorni, nei luoghi di lavoro e di studio, sui territori: non possiamo e non dobbiamo stare zitti in questa campagna elettorale incipiente, o peggio ancora rassegnarci ai soliti “meno peggio”.
Senza dismettere nessun fronte di resistenza e di lotta, oggi è necessario aprirne un altro: quello della costruzione di un fronte elettorale chiaramente distinto e contrapposto a quelli esistenti. Un fronte della sinistra rivoluzionaria, con una chiara caratterizzazione politica e di classe: contro l’austerità, contro l’Unione europea del capitale, contro questo sistema, per un’alternativa anticapitalista!