Innse – Licenziati gli operai che salirono sul carroponte
15 Marzo 2017Rivoluzione n°29
17 Marzo 2017L’editoriale del nuovo numero di Rivoluzione
La borghesia italiana sembra aver raggiunto il suo obiettivo primario: depotenziare la portata antisistema dell’esito del referendum del 4 dicembre, allontanare lo spettro di elezioni anticipate dove si sarebbe assistito a una vittoria del Movimento cinque stelle o a un parlamento ingovernabile.
Gentiloni, arrivato a Palazzo Chigi per restare (nelle intenzioni di Renzi) pochi mesi, giusto il tempo necessario per approvare una nuova legge elettorale, ha annunciato di voler proseguire fino alla scadenza della legislatura, nella primavera del 2018.
La vita del governo Gentiloni è prolungata più per la debolezza dei suoi antagonisti che per la sua forza.
Se Grillo non ha i numeri per farlo cadere, una destra più divisa che mai non riesce a mettersi d’accordo nemmeno sull’atteggiamento da tenere sul governo. Riguardo all’ultima novità a sinistra i Democratici e progressisti, usciti dal Pd, sono in realtà i principali sostenitori di Gentiloni.
Tuttavia, il governo italiano non è l’unico in difficoltà in Europa e al nostro Presidente del Consiglio deve piacere molto il vecchio proverbio: “la consolazione di un disperato è di vederne un altro”. Così ha partecipato a un vertice fra le quattro potenze principali dell’Eurozona, con Merkel, Hollande e Rajoy. In questa riunione i quattro hanno sancito l’irreversibile crisi dell’Unione europea diventando i fautori di un’Europa a più velocità. “Dobbiamo avere il coraggio di accettare che alcuni paesi vadano avanti. Le cooperazioni differenziate devono rimanere aperte a chi è indietro, ma dobbiamo andare avanti”, ha affermato Angela Merkel. Naturalmente il tutto avverrà nel rispetto dei comuni valori europei e Juncker ci rassicura che non ci sarà “una cortina di ferro”. È significativo tuttavia che il summit sia avvenuto a Versailles dove nel 1919 fu firmato il trattato che, a seguito della Prima guerra mondiale, sancì la divisione su basi etniche del Vecchio continente.
La credibilità di queste Cariatidi della politica, che molto probabilmente non saranno più in carica nel giro di un anno, è quasi a zero. La loro politica ferocemente di classe e antioperaia, però, non è affatto cambiata.
A riguardo Gentiloni si inserisce totalmente nella scia di Renzi. Accogliendo le parole di Briatore “Ben vengano i ricchi, i poveri non creano lavoro”, il governo ha proposto una flat tax per i “Paperoni”, basterà pagare un forfait di 100mila euro per avere assicurata la residenza nel Belpaese. Il proposito dichiarato sarebbe quello di avvicinare l’Italia ai paradisi fiscali.
Per i poveri invece l’Italia continua ad essere un inferno: l’austerità colpisce ancora, e aumenterà se si vorrà rimanere agganciati al treno dell’Ue a guida tedesca. Per rispondere all’imperativo del bilancio in pareggio, il Fondo nazionale delle politiche sociali è stato tagliato da 313 a 99 milioni. Significa un colpo molto duro ai fondi per gli asili-nido, l’assistenza domiciliare, i centri antiviolenza. Dal fondo per i disabili e gli anziani non autosufficienti sono stati tagliati altri 50 milioni. Ciò accade dopo i tagli alla Sanità per 422 milioni operati nell’ultima Finanziaria.
Per aggiungere al danno la beffa, il Parlamento approva il reddito d’inclusione, un’elemosina di 480 euro per le famiglie più indigenti, praticamente l’integrazione per i tagli allo stato sociale descritti in precedenza.
È evidente che questi tagli incidono sulla carne viva dei settori maggiormente discriminati della società e in particolare le donne, sollecitate costantemente nella cura degli anziani, dei figli, dei parenti disabili. Una sistematica distruzione di tutti i servizi sociali che si accompagna a una ideologia reazionaria, quella che ha costretto una donna di Padova, nel moderno e civilissimo Nordest, a dover peregrinare per 23 ospedali prima che le venisse riconosciuto il diritto d’aborto.
Davanti allo stillicidio di soprusi e angherie quotidiane, alle provocazioni crescenti, alle vite negate la rabbia che covava da tempo sotto la superficie è emersa con forza, visibile a tutti, l’8 marzo. In questa giornata abbiamo assistito a una reazione decisa proprio da parte di quella medesima parte della società maggiormente sotto attacco, le donne, a cui si sono aggregati i settori oppressi della società.
Le piazze di decine di città italiane, nell’ambito di una significativa e inedita mobilitazione internazionale, si sono riempite di decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori, studentesse e studenti che dietro allo slogan “se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo” hanno dimostrato tutta la loro voglia di lottare. Lo hanno fatto su un terreno, quello dello sciopero che pone oggettivamente la discussione nell’ambito più proficuo, l’ambito di classe.
Chi è sceso in piazza l’8 marzo ha dunque urlato la propria disponibilità alla lotta, ma chi è stato in grado di raccoglierla?
Certamente non i vertici dei sindacati, sia confederali che di base, vista la sostanziale indisponibilità a organizzare in maniera sistematica la mobilitazione, salvo poche eccezioni. Per non parlare di ciò che rimane della sinistra politica o dell’assordante silenzio del M5S.
Crediamo che la strada da seguire sia proprio quella della lotta e del conflitto. Questo dovrebbe essere il cammino da intraprendere da parte dei vertici del movimento operaio, che invece sono in tutt’altro affaccendati. Come nel caso della Cgil, immobile nell’attesa della convocazione della data per due quesiti referendari che potrebbero essere snaturati da governo e parlamento con un tratto di penna, anche nell’eventualità di una vittoria nelle urne, come successo tante volte in questi anni.
La risposta alla crisi di questo sistema non è dunque all’interno delle aule parlamentari, non è nell’ennesimo tentativo di ricostruire il centrosinistra sperando in una conversione di qualche dirigente del Pd, come successe a San Paolo sulla via di Damasco.
La risposta è nel dotare le mobilitazioni come quella dell’8 marzo di una prospettiva socialista e di un programma rivoluzionario, che leghi la lotta contro la violenza di genere e per la liberazione della donna all’abbattimento del sistema. La risposta è nella nascita di un partito di classe che dia voce ai milioni di donne e uomini oggi senza voce in Italia e a livello internazionale.
13 marzo 2017