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6 Novembre 2025L’escalation di Trump nei Caraibi: l’imperialismo statunitense tenta di riaffermare il controllo sul suo “cortile di casa”
La portaerei USS Gerald R. Ford
di Jorge Martin, da www.marxist.com
L’escalation delle intimidazioni imperialiste statunitensi contro il Venezuela, iniziata ad agosto, ha raggiunto il culmine e ora coinvolge anche la Colombia. Oltre al rafforzamento della presenza militare nei Caraibi, all’affondamento di motoscafi e ai voli provocatori di bombardieri al largo delle coste venezuelane, assistiamo ora allo schieramento della portaerei USS Gerald R. Ford nei Caraibi.
Cosa significa tutto questo? Cosa sta cercando di ottenere Trump? E come dovrebbero reagire i comunisti rivoluzionari?
L’attuale ciclo di intimidazioni imperialiste di Trump contro il Venezuela è iniziato alla fine di agosto, con l’ordine di dispiegare un numero significativo di mezzi militari – come navi da guerra e sottomarini – nei Caraibi, con la giustificazione della “lotta contro i cartelli della droga”. Più tardi, a settembre, altri mezzi – questa volta aerei da combattimento e altri velivoli – sono stati dispiegati in Porto Rico.
I mezzi militari statunitensi nei Caraibi ora includono: almeno quattro cacciatorpediniere classe Arleigh Burke (la USS Gravely, la USS Jason Dunham, la USS Sampson e USS Stockdale); un gruppo anfibio pronto all’azione composto da tre navi (la nave d’assalto anfibia USS Iwo Jima e le navi da trasporto anfibie USS San Antonio e USS Fort Lauderdale); almeno una nave da combattimento costiero (la USS Minneapolis-Saint Paul); l’incrociatore lanciamissili USS Lake Erie; la MV Ocean Trader (descritta come una “nave madre per operazioni speciali”); e il sottomarino d’attacco veloce a propulsione nucleare USS Newport News.
In Porto Rico è presente anche uno squadrone di 12 caccia stealth F-35B Lightning II del Corpo dei Marines, oltre ad aerei Communications Node (come l’E-11A Battlefield Airborne), che sono stati avvistati mentre volavano dalle basi statunitensi in Porto Rico e in altre località della regione.
La scorsa settimana, aerei militari statunitensi, tra cui bombardieri B-1B e B-52, hanno sorvolato le coste del Venezuela. Con una manovra provocatoria, i loro transponder sono stati lasciati accesi, in modo da poter essere tracciati. Anche i droni MQ-9 Reaper sono stati coinvolti nella recente escalation.
Venerdì 24 ottobre, il “Segretario alla Guerra” Pete Hegseth ha ordinato che il gruppo da battaglia della portaerei USS Gerald R. Ford fosse dirottato dall’Europa ai Caraibi, anche se al momento della pubblicazione di questo articolo è ancora nel Mediterraneo. La USS Gerald R. Ford è la più recente e la più grande portaerei della Marina degli Stati Uniti, nonché la più avanzata portaerei a propulsione nucleare. È a capo del Carrier Strike Group 12 (CSG-12) e trasporta decine di jet da combattimento ed elicotteri. Il numero di jet da combattimento solo in questo “Strike Group” corrisponde al numero totale a disposizione dell’aeronautica militare venezuelana.
Da domenica 26 ottobre, la USS Gravely, un cacciatorpediniere lanciamissili, si trova a Trinidad e Tobago per condurre esercitazioni militari congiunte. Si tratta di un’altra provocazione contro il Venezuela, che dista solo 11 chilometri da queste isole caraibiche.
Prima di questo massiccio dispiegamento, l’amministrazione Trump aveva avviato negoziati con Maduro tramite l’inviato “speciale” presidenziale per le missioni speciali, Richard Grenell. Su questa base, Maduro e Trump hanno raggiunto una serie di accordi nel mese di febbraio. Il Venezuela ha accettato di accogliere i voli di deportazione dagli Stati Uniti (che sono ancora in corso), ha liberato alcuni cittadini statunitensi che erano in custodia cautelare, gli Stati Uniti hanno prorogato la licenza operativa della compagnia petrolifera e del gas Chevron in Venezuela e si è parlato di una serie di possibili accordi sul petrolio e sui minerali.
Ora, la missione di Grenell in Venezuela è stata revocata, Trump ha dichiarato che nel paese è al potere un cartello della droga guidato dallo stesso Maduro e ha aumentato la taglia sul presidente venezuelano a 50 milioni di dollari. Allo stesso tempo, Trump ha classificato una serie di cartelli della droga come “organizzazioni terroristiche”, ha dichiarato loro “guerra” e ha ammesso pubblicamente di aver dato il permesso alla CIA di svolgere operazioni segrete in Venezuela.
Dal 2 settembre, gli Stati Uniti hanno colpito 15 imbarcazioni (14 motoscafi e un semisommergibile), uccidendo un totale di oltre 60 persone. Tutti questi attacchi (descritti in modo fantasioso da Trump e da altri funzionari statunitensi come “attacchi cinetici letali”) sono stati pubblicizzati in modo dimostrativo con video sui social media, anche se non sono state fornite informazioni sulle località degli attacchi, sulle informazioni di intelligence che li hanno resi possibili, ecc.
Lotta al traffico di droga?
Qual è l’obiettivo di questa improvvisa e provocatoria escalation? Trump ha affermato che l’obiettivo è quello di fermare i traffici di droga verso gli Stati Uniti, che causano decine di migliaia di morti ogni anno. Ma questa giustificazione non regge ad un esame approfondito. I rapporti statunitensi (del Congresso, della DEA e di altre fonti aperte e ufficiali) rivelano che la stragrande maggioranza (74%) della cocaina commercializzata negli Stati Uniti dal Sud America arriva attraverso la rotta del Pacifico. Queste droghe non vengono trasportate su motoscafi, ma piuttosto in container e aerei. Un altro 16% passa attraverso il “vettore dei Caraibi occidentali” (la costa caraibica della Colombia). Solo un misero 8% passa attraverso il “corridoio caraibico” (al largo della costa del Venezuela).
Inoltre, il Venezuela non ha alcun ruolo nella produzione di cocaina, che avviene principalmente in Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia.
Trump ha cercato di dipingere il Venezuela come una delle principali rotte per il traffico di fentanil dalla Cina agli Stati Uniti, ma non ci sono prove concrete a sostegno di questa tesi. Il fentanil entra negli Stati Uniti attraverso il Messico.
Quali sono quindi le vere ragioni di questa intensificazione della politica aggressiva nei confronti del Venezuela e cosa vuole Trump?
Fino a poco tempo fa, sembrava che l’unico interesse di Trump nei confronti del Venezuela fosse l’accesso al suo petrolio, con le risorse minerarie come fattore aggiuntivo. Il Venezuela possiede le più grandi riserve petrolifere accertate al mondo ed è molto vicino agli Stati Uniti dal punto di vista geografico, rappresentando così potenzialmente una fonte economica e affidabile. Tuttavia, per ottenere l’accesso al petrolio venezuelano, gli Stati Uniti non hanno bisogno né di entrare in guerra né di minacciare il paese con azioni militari. Dal 2019 il Venezuela è soggetto a sanzioni molto severe, anche nei confronti delle aziende statunitensi che operano nel paese (ad eccezione della licenza in corso per Chevron).
Secondo un articolo del New York Times , la questione dell’accesso alle risorse petrolifere e minerarie del Venezuela, e persino quella di far venir meno i suoi attuali legami con Russia, Cina e Iran, è stata discussa durante i negoziati con gli Stati Uniti all’inizio di quest’anno:
“In base a un accordo discusso tra un alto funzionario statunitense e i principali collaboratori di Maduro, l’uomo forte venezuelano ha offerto di aprire tutti i progetti petroliferi e auriferi esistenti e futuri alle aziende americane, di concedere contratti preferenziali alle imprese americane, di invertire il flusso delle esportazioni petrolifere venezuelane dalla Cina agli Stati Uniti e di far cessare i contratti energetici e minerari del suo paese con le aziende cinesi, iraniane e russe.”
Sebbene il governo venezuelano abbia smentito questa notizia, è un dato di fatto che sono gli Stati Uniti a impedire alle proprie aziende petrolifere di operare in Venezuela. La revoca delle sanzioni contribuirebbe notevolmente a ripristinare l’accesso degli Stati Uniti.
L’unica richiesta degli Stati Uniti che Maduro ovviamente non può accettare è il cambio di regime, la sua stessa destituzione dal potere, che sembra essere diventata l’obiettivo principale dell’escalation militare di Trump.
All’inizio dell’anno, Trump sembrava favorevole ai negoziati con Maduro, dopo essersi scottato le dita durante il suo primo mandato. Il precedente tentativo di Trump di rimuovere Maduro dal potere – spinto dai falchi di Washington come John Bolton e Mike Pompeo, insieme ai guerrieri della Guerra Fredda come Elliot Abrams – è fallito miseramente.
Le pressioni per un cambio di regime in Venezuela
Cosa ha fatto cambiare idea a Trump? È chiaro che esiste un’ala dell’establishment statunitense, basata a Miami, che nutre un odio viscerale per la rivoluzione cubana e per qualsiasi altro governo dell’America Latina che sembri o suoni vagamente “socialista”. Maduro ha tradito da tempo la rivoluzione bolivariana, ma continua a usare una retorica socialista ed è considerato uno stretto alleato di Cuba. Il cambio di regime in Venezuela e Cuba è un obiettivo ossessivo per questi settori, rappresentati al Congresso dai cosiddetti “tre cubani pazzi”, Mario Díaz-Balart, María Elvira Salazar e Carlos Giménez, tutti rappresentanti repubblicani della Florida. Essi detengono tre voti chiave al Congresso, di cui Trump ha bisogno per approvare i propri provvedimenti, e quindi sono in grado di ottenere alcune concessioni da lui. All’inizio di quest’anno hanno già tentato di far revocare la licenza alla Chevron. Alla fine, essa non è stata completamente revocata, ma le sue condizioni sono state inasprite.
Anche il segretario di Stato Marco Rubio fa parte di quella fucina di controrivoluzionari reazionari di Miami, che vomitano odio per Cuba (e ora anche per il Venezuela) e che svolgono un ruolo sproporzionato nella politica statunitense a causa del peso che la Florida ha nelle elezioni americane.
A loro si unisce un’intera cerchia di falchi della politica estera e neoconservatori come Lindsey Graham, tutti intenzionati a spingere Trump verso l’organizzazione del rovesciamento dei governi venezuelano e cubano.
Con la rapida evaporazione del sostegno popolare, Trump è più incline a cedere alle pressioni e ad attuare determinate politiche che potrebbero garantirgli il favore dell’opinione pubblica. Nel maggio e giugno 2025, l’amministrazione Trump ha cancellato il programma di libertà condizionale umanitaria che aveva protetto dalla deportazione oltre mezzo milione di migranti cubani, venezuelani, nicaraguensi e haitiani. Questo è stato un fattore che ha contribuito alla sua perdita di popolarità tra la popolazione latina. Ora potrebbe pensare che un cambio di regime in Venezuela (e le sue implicazioni per Cuba) potrebbe aiutarlo a riconquistare parte di quella popolarità.
Un altro aspetto relativo al Venezuela è quello dell’immigrazione, che Trump ha spesso menzionato durante l’attuale escalation. Secondo quanto riferito, il vice capo di gabinetto della Casa Bianca, Stephen Miller, sta svolgendo un ruolo importante nel dirigere gli attacchi aerei contro i motoscafi nei Caraibi, ed è anche un fanatico delle politiche anti-immigrazione di linea dura di Trump. Trump sta diffondendo l’idea che Maduro “abbia svuotato le prigioni del Venezuela” e mandato ogni sorta di criminali negli Stati Uniti, e che solo cacciandolo dal potere si potrà porre fine a tutto ciò.
Ma al di là delle ragioni immediate che Trump può avere per l’attuale escalation dell’aggressione imperialista contro il Venezuela (accontentare i gusanos di Miami, ottenere il pieno controllo del petrolio e dei minerali, arginare la migrazione), è chiaro che questa escalation fa parte di una tendenza più ampia nella politica estera degli Stati Uniti. Trump sta perseguendo il ritiro degli Stati Uniti dai conflitti in aree che non sono considerate di interesse strategico nazionale, al fine di rafforzare la posizione dell’imperialismo statunitense nel continente americano, dove è stato parzialmente sostituito dalla Cina.
L’imperialismo statunitense vuole riprendere il controllo del proprio cortile di casa
L’aggressione imperialista contro il Venezuela deve essere vista nel contesto di una serie di altre decisioni provenienti da Washington.
Gli Stati Uniti hanno costretto Panama a porre fine alla sua partecipazione alla Via della Seta cinese, a consentire l’ingresso delle truppe statunitensi sul suo territorio e a obbligare una società con sede a Hong Kong (CK Hutchison) a vendere due porti chiave alle due estremità del Canale di Panama, anche se questa controversia non è affatto conclusa.
Ad agosto, Trump ha introdotto dazi del 50% sul Brasile e ha applicato le sanzioni del Magnitsky Act contro alti funzionari brasiliani. Il motivo dichiarato di queste misure punitive era il processo a Bolsonaro, ma dietro c’era la difesa degli interessi delle multinazionali dei media statunitensi, nonché il tentativo di punire il Brasile per il suo ruolo nel BRICS e i suoi stretti legami con la Cina.
Nelle ultime settimane, Trump ha intensificato la sua aggressività nei confronti del presidente colombiano Petro, che ha definito “uno spacciatore di droga illegale”. Trump ha revocato il visto statunitense al presidente colombiano, sottoponendo a sanzioni quest’ultimo e la sua famiglia, ha tagliato tutti gli aiuti statunitensi alla Colombia e ha minacciato di imporre dazi doganali.
Allo stesso tempo, Trump ha adottato misure straordinarie per sostenere Milei in Argentina, con una linea di swap (scambio di valuta, ndt) da 20 miliardi di dollari, un prestito privato di altri 20 miliardi e acquisti di pesos argentini per un valore di 400 milioni di dollari a sostegno della valuta. Cosa chiedono gli Stati Uniti in cambio di questo sostegno? Il segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha dichiarato che gli Stati Uniti sono “impegnati a far uscire la Cina dall’Argentina”. Altri funzionari hanno affermato che gli Stati Uniti dovrebbero avere un accesso preferenziale ai contratti minerari e infrastrutturali e si sono lamentati di come la stazione di osservazione spaziale cinese in Patagonia potrebbe avere un uso militare.
Alcuni hanno descritto l’approccio di Trump al continente americano come la “Donroe Doctrine”, un riferimento alla Dottrina Monroe del 1823 che era riassunta nel motto “L’America agli americani”. All’epoca, la posizione degli Stati Uniti era difensiva, nel tentativo di tenere lontane dal continente americano le potenze imperialiste europee, più potenti e consolidate. In seguito, la Dottrina Monroe fu integrata dal Corollario Roosevelt (1904-05), che arrogava agli Stati Uniti, ormai potenza imperialista in ascesa, il diritto di agire come poliziotto dell’emisfero occidentale:
“Le violazioni croniche o l’impotenza che portano a un generale allentamento dei legami della società civile possono, in America come altrove, richiedere in ultima analisi l’intervento di qualche nazione civilizzata, e nell’emisfero occidentale l’adesione degli Stati Uniti alla Dottrina Monroe può costringere gli Stati Uniti, per quanto a malincuore, in casi flagranti di tali violazioni o impotenza, all’esercizio di un potere di polizia internazionale.”
La clausola “per quanto a malincuore” qui svolge il ruolo di foglia di fico, e il riferimento alla “società civile” è una copertura per gli interessi nudi e crudi del capitale imperialista statunitense di dominare un continente che considerava il suo cortile di casa, una fonte di materie prime, un campo di investimento e un mercato vincolato. Questa politica, un’estensione dell’idea di Roosevelt secondo cui l’imperialismo statunitense dovrebbe “parlare gentilmente e portare con sé un grosso bastone”, è stata utilizzata per giustificare l’intervento militare diretto in Nicaragua, Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti e molti altri paesi, durante il periodo della “diplomazia delle cannoniere”.
L’approccio odierno di Trump è quasi una copia carbone di quella politica. Il continente americano dovrebbe tornare a essere il cortile di casa degli Stati Uniti e tutte le altre potenze che hanno sfidato il suo diritto di dominarlo (la Cina e, in misura minore, la Russia) dovrebbero essere cacciate con la forza.
L’ascesa dell’influenza cinese in America Latina
Dall’inizio degli anni 2000, la presenza della Cina in America Latina e nei Caraibi si è espansa in modo decisivo. Le imprese statali cinesi sono diventate investitori chiave nei settori dell’energia, delle infrastrutture e dello spazio della regione. Il commercio tra la Cina e l’America Latina e i Caraibi è cresciuto da circa 12 miliardi di dollari nel 2000 a oltre 500 miliardi di dollari nel 2024. La Cina è oggi il principale partner commerciale del Sud America e il secondo più importante per l’America Latina e i Caraibi nel loro complesso, dopo gli Stati Uniti.
La Cina è diventata una delle principali fonti di investimenti diretti esteri e un importante creditore sovrano, fornendo oltre 141 miliardi di dollari in prestiti ai paesi dell’America Latina e dei Caraibi tra il 2005 e il 2021. Questi investimenti hanno riguardato principalmente le materie prime (rame, minerale di ferro, soia, petrolio) e settori chiave come l’energia, le infrastrutture e le telecomunicazioni. Oltre venti paesi della regione hanno aderito alla Nuova Via della Seta cinese.
Alla fine del 2024, la Cina ha inaugurato un nuovo megaporto a Chancay, in Perù, riducendo il tempo di viaggio via mare tra i due paesi da oltre un mese a circa 23 giorni. La Cina ha firmato accordi di libero scambio con diversi paesi, tra cui Cile, Costa Rica, Ecuador, Nicaragua e Perù. Nel maggio 2025, la Cina ha ospitato a Pechino un vertice con i leader dell’America Latina e dei Caraibi, durante il quale il presidente Xi Jinping ha annunciato una linea di credito di 9 miliardi di dollari a sostegno degli investimenti nella regione. All’inizio di ottobre, la Cina è stata ammessa come paese osservatore alla Comunità Andina.
Tutto ciò è visto come una minaccia alla posizione degli Stati Uniti nella regione e alla loro capacità di accedere a materie prime, fonti di energia, campi di investimento e mercati. L’imperialismo statunitense è determinato a utilizzare tutte le risorse a sua disposizione per invertire questa situazione e riaffermare il proprio dominio nell’emisfero. Non sarà un compito facile.
Le economie del Messico e, in misura minore, quelle dell’America centrale sono strettamente legate a quella degli Stati Uniti, che dominano i loro vicini meridionali. Circa l’80% delle esportazioni messicane è destinato agli Stati Uniti. Quando Trump fa pressione sul governo messicano affinché agisca contro la Cina, Claudia Scheinbaum accetta di introdurre dazi del 50% sulle importazioni cinesi e aumenta “il controllo e la supervisione normativa sugli investimenti esteri e sulle importazioni”, in particolare dalla Cina.
Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno la stessa influenza quando si tratta dei paesi sudamericani, molti dei quali sono ora fortemente dipendenti dalle esportazioni verso la Cina.
In tutta l’America Latina, l’imperialismo statunitense è giustamente considerato il nemico principale, la potenza che per decenni è stata coinvolta in colpi di Stato militari, “cambi di regime”, invasioni, interferenze imperialistiche e intimidazioni, e ha sfruttato le sue risorse naturali. Il sentimento anti-statunitense è profondamente radicato.
Di conseguenza, alcuni potrebbero vedere la Cina come un attore progressista nel continente. Dopo tutto, finora il gigante asiatico non ha compiuto alcun colpo di Stato militare, né ha destituito alcun governo. Si impegna nel commercio e negli investimenti senza porre alcuna condizione. Tuttavia, dobbiamo essere chiari. Gli interessi della Cina in America Latina sono puramente imperialistici nel senso leninista del termine. Ciò che cerca sono fonti di energia e materie prime, mercati per i suoi prodotti e campi di investimento per il suo capitale.
Non solo la Cina non è amica dei lavoratori e dei contadini poveri della regione, ma non ha remore a stringere accordi con regimi repressivi e reazionari. Gli interessi economici della Cina prevalgono su qualsiasi altra considerazione.
La Cina ha stretti legami economici con il regime borghese bonapartista di Bukele in El Salvador. Ha effettuato massicci investimenti in Perù, tra cui il già citato porto di Chancay, dove è al potere un regime illegittimo che è salito al potere con un colpo di Stato contro Pedro Castillo, consolidato con una brutale repressione che ha causato oltre 50 morti.
La Cina ha anche importanti interessi in Ecuador, governato dal governo repressivo di destra di Daniel Noboa. La settimana scorsa, la Cina ha fatto una donazione di 28 milioni di dollari all’Ecuador, che sarà utilizzata nelle zone “colpite negativamente” dal recente sciopero nazionale indetto dall’organizzazione contadina indigena CONAIE contro l’abolizione dei sussidi sul carburante. Il denaro sarà erogato attraverso il fondo “Firmes con Noboa” (“Fermamente con Noboa”) esclusivamente a coloro che non hanno partecipato allo sciopero! Questo è un esempio di come la Cina stia apertamente svolgendo un ruolo di crumiraggio nel sostenere un governo repressivo di destra.
I comunisti dicono: Giù le mani dal Venezuela – Giù le mani dalla Colombia!
L’attuale escalation di prepotenze imperialiste statunitensi nei Caraibi fa parte di questa spinta alla “ri-emisferizzazione”. È chiaro che almeno una parte dell’amministrazione Trump sta spingendo per un “cambio di regime” in Venezuela, e che questo è visto come un banco di prova per ulteriori aggressioni militari.
La posizione dei comunisti rivoluzionari è chiara. Noi diciamo: Giù le mani dal Venezuela – Giù le mani dalla Colombia! Questa è una posizione di principio a sostegno dei paesi oppressi e dominati contro l’aggressione imperialista, che non ha nulla a che fare con il regime politico vigente nei paesi sottoposti ad attacco.
Il governo di Maduro in Venezuela continua a usare il linguaggio del socialismo e della Rivoluzione Bolivariana, ma in realtà è diventato l’opposto di tutto ciò che il Presidente Chávez rappresentava. Hugo Chávez ha nazionalizzato le aziende ed espropriato le terre. Maduro privatizza e cede le terre ai proprietari terrieri. Chávez ha incoraggiato il controllo operaio e l’occupazione delle fabbriche. Maduro ha distrutto il controllo operaio e incarcerato i leader sindacali che si organizzavano per difendere i diritti sindacali.
Ma dobbiamo essere chiari. Il motivo per cui Washington ha lanciato un attacco al Venezuela e al suo governo non ha nulla a che fare con i diritti democratici dei lavoratori e dei contadini. È esattamente il contrario. Vogliono insediare un governo pienamente conforme ai diktat dell’imperialismo statunitense, che interrompa i legami con Cina, Russia e Iran e apra completamente le risorse naturali del paese alle multinazionali statunitensi per furti e saccheggi.
L’eventuale ascesa al potere del Premio Nobel per la Pace María Corina Machado non porterebbe democrazia e diritti umani. Tutt’altro. Per portare avanti il programma di attacchi alla classe operaia e ai contadini che la Machado difende, un governo reazionario guidato dalla cosiddetta “opposizione democratica” dovrebbe ricorrere a una repressione massiccia e brutale per schiacciare la resistenza della classe operaia.
Ci siamo già passati. Il ciclo della Rivoluzione Bolivariana affonda le sue radici nella rivolta del Caracazo del febbraio 1989. All’epoca, il governo di Carlos Andrés Pérez (CAP) attuò un pacchetto di controriforme monetariste che portarono a una rivolta di massa spontanea in tutto il paese. Il governo “democratico” di CAP usò l’esercito contro le masse disarmate di lavoratori e poveri, uccidendo centinaia o forse migliaia di persone.
I problemi che affliggono i lavoratori e i contadini venezuelani non saranno certamente risolti dall’intervento imperialista, né dai lacchè dell’imperialismo statunitense nell’oligarchia locale. Porterebbero conseguenze molto peggiori. Il compito dei comunisti rivoluzionari è opporsi all’intervento imperialista.
Nemmeno sostituire un padrone straniero con un altro è la strada da seguire. In ultima analisi, l’unico modo per i lavoratori e i contadini dell’America Latina di liberarsi dal giogo dell’imperialismo è prendere il potere nelle proprie mani, espropriando sia i capitalisti stranieri che quelli “nazionali” (nella misura in cui esistono) e utilizzando la vasta ricchezza e le risorse della regione per risolvere i bisogni urgenti delle masse di pane, terra, lavoro, casa, istruzione e assistenza sanitaria.
