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Dietro il genocidio ci sono i profitti dei padroni

di Francesco Salmeri

Il 30 giugno, la pubblicazione del rapporto di Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU per la Palestina, ha suscitato scandalo e apprensione nei circoli dominanti dell’imperialismo, al punto che il governo americano ha annunciato sanzioni nei suoi confronti. Il rapporto Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio mette allo scoperto il coinvolgimento di migliaia di aziende, multinazionali e gruppi finanziari nel genocidio, nell’espropriazione e nell’oppressione del popolo palestinese. Se Israele può continuare indisturbato il massacro del popolo palestinese e le sue guerre criminali in tutta la regione è anche perché si trova al centro di un enorme flusso di capitali. Quello che per milioni di persone è un incubo, per i capitalisti è solo un buon affare.

Come illustrato nel rapporto, i grandi gruppi capitalisti (occidentali ma non solo) affondano i propri artigli in ogni aspetto della pulizia etnica, della guerra e dell’apartheid a Gaza e in Cisgiordania. Colossi bellici come l’americana Lockheed Martin e l’italiana Leonardo hanno fornito gli aerei da guerra F-35 e F-16 con cui l’esercito israeliano ha raso al suolo Gaza, mentre la danese Maersk garantisce a Israele l’approvvigionamento di armi, materie prime e pezzi di ricambio. Lo stato di guerra permanente offre anche l’occasione “preziosa” di testare le armi sul campo ed alimenta l’industria bellica di Israele, ottavo esportatore di armi a livello globale tra il 2020 e il 2024.

Un ruolo di primo piano nelle operazioni militari e nella repressione contro i palestinesi lo giocano le big-tech (Amazon, Google, IBM, Microsoft, Palantir), che hanno firmato contratti miliardari per lo sviluppo dei più svariati software militari e di spionaggio utilizzati dall’esercito israeliano. Al contempo, i grandi gruppi finanziari (BNP Paribas, Barclays, Vanguard, Blackrock, Allianz, etc.) forniscono la liquidità necessaria a finanziare lo sforzo bellico israeliano, comprando i titoli di stato israeliani e finanziando l’industria bellica. Ancora, Volvo, Hyundai e Caterpillar vendono a Israele i mezzi necessari alla demolizione dei villaggi palestinesi e all’edificazione degli insediamenti illegali in Cisgiordania.

Se l’inchiesta della Albanese ha il merito di fornire un quadro ampio e dettagliato degli interessi economici che rendono possibile il genocidio del popolo palestinese, l’approccio legalitario da lei proposto non ha nulla da offrire ai giovani e ai lavoratori che vogliono lottare contro questa barbarie. Due anni di guerra a Gaza hanno dimostrato che le varie istituzioni, tribunali, leggi internazionali sono o inutili o, nel peggiore dei casi, una foglia di fico per nascondere la complicità e gli interessi delle grandi potenze nel massacro. Anche quando il rapporto parla di “capitalismo razziale coloniale” siamo costretti a dissentire. Quello che emerge dall’inchiesta non è nient’altro che il “capitalismo nudo e crudo”, ed è questo sistema di sfruttamento e barbarie che dobbiamo rovesciare per porre fine alle guerre e agli orrori cui assistiamo a Gaza e in tutto il mondo.

 

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