L’internazionalismo di Trotskij e l’invasione italiana dell’Etiopia (1935-36)

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L’internazionalismo di Trotskij e l’invasione italiana dell’Etiopia (1935-36)

di Francesco Giliani

Novanta anni fa, nel quadro di crescenti tensioni internazionali, l’Etiopia divenne il centro degli appetiti imperialisti e il 3 ottobre 1935 fu invasa dall’esercito dell’Italia fascista. Il dibattito nel movimento operaio fu aspro: appoggiare o no le sanzioni contro l’Italia della Società delle Nazioni (SdN)? Rimanere neutrali oppure opporsi (e con quali mezzi?) all’invasione imperialista dell’Etiopia?

Uno degli ultimi Stati del continente africano rimasto indipendente, l’impero del Negus, Hailé Selassié, era stato sin dal 1906 l’oggetto di un trattato di spartizione delle aree di influenza tra Gran Bretagna, Francia e Italia.

La struttura socio-economica dell’Etiopia, arretrata, era tuttavia nella fase di transizione verso il capitalismo. Tale processo era controllato dal capitale straniero: l’unica ferrovia, ad esempio, collegava la capitale Addis Abeba col possedimento coloniale francese di Gibuti ed era di proprietà di una multinazionale francese. Comunque, i “civilizzatori” europei avevano acquisito una posizione dominante anche in quello che rimaneva del traffico di schiavi, provenienti dalle colonie britanniche di Uganda e Sudan.

La stampa fascista italiana presentava gli etiopi come una popolazione di “briganti” e di “selvaggi”, non all’altezza di un posto tra le nazioni “civili” e denunciava ipocritamente che il Negus aveva sottomesso con la forza popolazioni native non abissine, prefigurando l’invasione anche come un’azione liberatrice… In realtà, Mussolini approfittava del crescente disordine mondiale a vantaggio dell’imperialismo italiano, sperando che nessuna potenza rivale sarebbe intervenuta. Il regime fascista agiva anche sotto la pressione della crisi economica che colpiva le masse italiane: nuove conquiste avrebbero potuto attenuare le contraddizioni sociali interne.

I crimini per la conquista e l’occupazione dell’Etiopia furono mostruosi: bombardamenti a tappeto, utilizzo di armi chimiche (come l’iprite), rastrellamenti e stragi come ad Addis Abeba e Debre Libanos.

Contro la Società delle Nazioni

Trotskij, all’epoca esiliato in Norvegia, sottolineò che quella guerra era decisiva per comprendere lo sconvolgimento delle relazioni internazionali e i venti di guerra mondiale, nonché per misurare la recente svolta dell’Internazionale Comunista (IC) verso la politica di collaborazione di classe dei Fronti Popolari.

La conseguenza di quella svolta nella politica estera dell’URSS fu la ricerca di un’alleanza diplomatica con l’imperialismo “democratico” di Gran Bretagna e Francia contro la minaccia di un’invasione nazista. Nel settembre 1935 la Pravda, agli ordini di Stalin, non esitò a gratificare la Gran Bretagna come potenza che difendeva “gli interessi della pace ed il prestigio della SdN” che, d’altronde, era presieduta da Litvinov, esponente della burocrazia stalinista. Stalin pensò di poter trovare un accordo anche con l’Italia di Mussolini e ciò produsse l’assordante silenzio sui preparativi di guerra italiani contro l’Etiopia osservato nel VII congresso dell’IC. Scoppiata la guerra, la linea dell’IC fu quella di appoggiare le sanzioni della SdN contro l’Italia, ponendosi di fatto al servizio di un imperialismo rivale, quello britannico, che si era mosso perché sentiva minacciato il suo dominio nell’Africa orientale e nell’oceano Indiano. La Lega Comunista Internazionale (LCI), dalla quale derivò la Quarta Internazionale, s’oppose ai partiti socialdemocratici e stalinisti che alimentavano illusioni sulla possibilità che la SdN, controllata dalle potenze interessate al mantenimento dello status quo, servisse per mantenere la pace.

Per le sanzioni “operaie”

La posizione di Trotskij fu limpida. La LCI doveva impegnarsi per la sconfitta militare dell’Italia e la vittoria dell’Etiopia. Non era tempo di mozioni di protesta. La situazione richiedeva un’azione del movimento operaio per il boicottaggio dello sforzo bellico italiano e, al contempo, per favorire la consegna di armi all’Etiopia. Su questo terreno, Trotskij precisò la necessità di un’azione indipendente da parte del proletariato internazionale, anche per impedire al regime fascista italiano di cementare l’unità nazionale presentando anche il movimento operaio come una forza ausiliaria dell’imperialismo britannico.

In una lettera del luglio 1935 alla Segreteria internazionale della LCI, Trotskij ribadì che “questa lotta non è diretta contro il fascismo ma contro l’imperialismo. Quando si tratta di guerra, per noi la questione non è quella di sapere chi è ‘meglio’ tra Mussolini e il Negus, ma di un rapporto di forze tra le classi e della guerra di una nazione arretrata che si difende dall’imperialismo”. La sola soluzione era nell’unità rivoluzionaria della classe lavoratrice. In questo senso, il boicottaggio internazionale dello sforzo bellico italiano avrebbe dovuto estendersi ad ogni potenza imperialista. L’umanità era davanti al bivio tra guerra e rivoluzione, con buona pace dei piagnistei liberali sul diritto internazionale.

Trotskij criticò anche le correnti “centriste”, ossia oscillanti tra riformismo e marxismo, che consideravano la guerra italo-etiope come un conflitto tra dittatori rivali. La loro conseguente neutralità era implacabilmente attaccata:

Essi definiscono il carattere della guerra in base alla forma politica dello Stato, giudicando questa forma in maniera assolutamente superficiale e descrittiva, senza considerare le basi sociali delle due ‘dittature’. […] Se Mussolini vincesse, ciò significherebbe un ulteriore rafforzamento del fascismo, il consolidamento dell’imperialismo e l’arretramento dei popoli coloniali in Africa e altrove. La vittoria del Negus, invece, costituirebbe un duro colpo non solo per l’imperialismo italiano, ma per l’imperialismo in generale e darebbe un forte impulso alle forze ribelli delle popolazioni oppresse.” (Trotskij, Sui dittatori e le alture di Oslo, 22 aprile 1936).

I compiti generali per il proletariato erano definiti dalla necessità di assumere una posizione disfattista e rivoluzionaria, agendo per la sconfitta del proprio governo al fine di trasformare la guerra imperialista in guerra civile tra le classi in Italia. Questo implicava anche la fraternizzazione dei soldati italiani con le truppe etiopi, dirigendo i fucili contro i “propri” ufficiali.

Le deboli forze del trotskismo italiano non trovarono la via verso le masse. Anche tra le avanguardie, il peso dello stalinismo fu soffocante. Tuttavia, le posizioni ed il metodo applicati da Trotskij rimangono fonte di insegnamento per orientarsi, oggi, nella lotta contro l’imperialismo.

 

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