Guerra all’Iran: “Quelli che dio vuole distruggere, prima li fa impazzire”

“Dopo i referendum, serve una svolta verso la lotta di classe” – Odg presentato all’Assemblea generale della CGIL
20 Giugno 2025
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20 Giugno 2025
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Guerra all’Iran: “Quelli che dio vuole distruggere, prima li fa impazzire”

di Alan Woods

Mentre scrivo queste righe, l’attenzione del mondo intero è concentrata su un solo uomo. Ogni sua parola viene studiata, dissezionata e analizzata nei minimi particolari, nella speranza che si possa trarne un qualche indizio su cosa ciò voglia, o non voglia, dire.

Gli sforzi di questi sedicenti esperti rassomigliano a quelli degli astrologi del mondo antico, che studiavano con pari diligenza le interiora degli animali morti per predire il futuro.

Ahimè, la scienza della predizione non sembra aver compiuto un singolo passo avanti da allora!

A partire da quando Donald J Trump ha abbandonato infuriato la riunione delle nazioni del G7 di ieri [articolo del 18 giugno, Ndt] nelle Montagne Rocciose, lasciando l’assemblea dei dignitari, i presunti governanti del mondo conosciuto, in uno stato di profondo sgomento e incredulità, fino ad oggi, siamo ancora molto lontani dal comprendere cosa il Presidente degli Stati Uniti stia pensando o facendo.

A questo punto, bisogna invocare il metodo scientifico del marxismo per fornirci una pur minima comprensione di cosa stia accadendo nel mondo. Infatti, per quanto importanti e significativi possano essere i pensieri e le azioni degli individui nel modellare i grandi eventi storici (e in certi momenti, possono essere di importanza decisiva), essi non bastano mai, in quanto tali, a spiegare alcunché.

È sempre necessario situare tali azioni individuali in un contesto generale. Da questo punto di vista, colgo l’occasione per porre alle vostra attenzione su quanto scrissi sulla situazione in Medio Oriente meno di un anno fa:

“La situazione in Medio Oriente è un vero e proprio campo minato, in attesa solo di quella scintilla che la faccia esplodere e produca qualcosa di vasto e terrificante. E gli attori di questo dramma sembrano interpretare i loro ruoli con una sorta di cieco fatalismo, incapaci di prevedere il passo successivo. Procedono con l’ineluttabilità dei movimenti dei robot che sono programmati per comportarsi in modi che non capiscono e sui quali hanno ancora meno controllo”.

Nell’analizzare qualunque guerra, la prima cosa che deve essere stabilita sono gli obiettivi di guerra delle potenze nella contesa. Analizzare gli obiettivi di guerra degli israeliani non è difficile. Come ho spiegato in articoli precedenti, Netanyahu è deciso a trascinare l’America nella propria guerra con l’Iran e le sue azioni attuali derivano da questo obiettivo in maniera abbastanza logica.

È comune per i critici di sinistra del leader israeliano descriverlo tanto come un criminale di guerra le cui mani sono intrise del sangue di innumerevoli vittime innocenti, il che è indubbiamente vero, quanto come un pazzo omicida le cui azioni vengono determinate dal puro odio e dalla sua sete di sangue; il che è falso.

Non c’è, infatti, nulla di irrazionale del comportamento di Netanyahu. Non è guidato né dall’odio cieco né da qualsiasi altra emozione irrazionale. In effetti, è proprio il contrario. I suoi calcoli sono del tutto razionali.

Come scrissi nell’articolo succitato:

“Netanyahu è un politico cinico e duro, con un passato fatto di manovre senza principi e anche di corruzione. Sa benissimo che se la guerra a Gaza finisse, perderebbe il potere e si troverebbe ad affrontare una sentenza di condanna. La prospettiva di porre fine alla sua carriera politica non è, naturalmente, particolarmente allettante per lui. La probabilità di un lungo soggiorno in una cella israeliana è una prospettiva ancora meno invitante.

La sua unica speranza di salvare qualcosa della sua reputazione è quella di presentarsi come un leader forte, un leader di guerra. Ma, per definizione, un leader di guerra deve avere una guerra da portare avanti. Da questa equazione non molto complicata, l’unica deduzione possibile diventa subito chiara.

Le manifestazioni di massa del malcontento popolare in Israele sono una fonte di irritazione costante, ma insufficiente a costringerlo a cambiare rotta. Le manifestazioni di massa nelle strade di Londra e New York possono essere motivo di preoccupazione per i politici di quei paesi, ma è un problema esclusivamente loro e non interessano al primo ministro israeliano”.

Senza dubbio, siffatte considerazioni personali hanno un peso enorme su Netanyahu, che si trova al momento a dover affrontare problemi considerevoli sul fronte interno. Il modo migliore per provare a risolvere questi problemi è precisamente quello di lanciarsi una avventura militare all’estero, che gli fornirebbe la possibilità di apparire in pubblico come un “grande condottiero militare”.

Concludevo che:

“Netanyahu è intenzionato a scatenare una guerra con l’Iran che si allargherà a una guerra più ampia in tutta la regione, trascinando altre potenze, compresi gli Stati Uniti d’America. Questo è il suo obiettivo e non si farà distogliere da niente e nessuno”.

Scrissi queste righe il 2 agosto 2024 in un articolo intitolato Crisi in Medio Oriente – Come sonnambuli verso l’abisso. Quasi dodici mesi dopo, ritengo di non dover cambiare una singola riga di quanto scrissi allora.

Gli eventi hanno dimostrato che l’articolo era corretto al cento per cento. Una volta che abbiamo stabilito questo fatto, abbiamo compreso la precisa natura e la causa della situazione attuale.

Di eroi e cattivi

Come in ogni dramma, ci sono eroi e cattivi. Come in ogni guerra, viene detto che le forze del Male combattono contro le forze del Bene. La nostra meravigliosa stampa libera non ha perso tempo a presentare gli israeliani come gli eroici difensori della pace, della giustizia e della democrazia, mentre l’Iran, ovviamente, viene presentato come l’origine di tutti i mali del Medio Oriente, se non del mondo intero.

Eppure, alla fine dei conti, viene fuori che entrambe queste forze, che sembrano escludersi e osteggiarsi l’un l’altra, stanno cospirando per produrre una catastrofe di portata globale.

Da parte nostra, non abbiamo la benché minima illusione rispetto alla natura reazionaria del regime iraniano. Ma cercare di presentare il ben noto criminale di guerra, il Macellaio di Gaza Benjamin Netanyahu, come un difensore della pace nel mondo oltrepassa davvero i limiti della fantasia.

Tutto questo è chiaramente connesso alla situazione a Gaza, la povera, sanguinante e devastata Gaza, che l’esercito israeliano ha ridotto ad un cumulo di macerie fumanti. Eppure, fino ad oggi, gli israeliani non hanno raggiunto i propri obiettivi di guerra dichiarati. Gli ostaggi non sono stati liberati e Hamas non è stata distrutta. Come spiegai quasi un anno fa, nell’agosto 2024:

“La guerra a Gaza, come abbiamo visto, è ormai irrimediabilmente impantanata. Avendo raso al suolo l’intero territorio, l’esercito israeliano è rimasto senza obiettivi validi. Persino alcuni generali hanno espresso la loro insoddisfazione per la situazione.

Bibi deve quindi pensare a qualcos’altro. […]

Ciò di cui ha veramente bisogno è il coinvolgimento diretto dell’esercito statunitense in uno scontro più ampio nella regione, che costringa gli Stati Uniti e tutti i loro alleati a schierarsi apertamente con Israele. A tal fine, Netanyahu è determinato a provocare un conflitto regionale che costringa gli Stati Uniti a partecipare direttamente al fianco di Israele.

Il nemico che ha scelto di affrontare non è altro che l’Iran”.

Gli israeliani hanno tentato con ogni mezzo a propria disposizione di provocare un conflitto con l’Iran. L’anno scorso, commentavo:

“Gli israeliani hanno immediatamente avviato un programma di provocazione sistematica, volto a spingere l’Iran in guerra. Il primo aprile [2024], un attacco israeliano alla sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco ha ucciso sette iraniani, tra cui due alti comandanti.

Immediatamente, come in un coro ben preparato in anticipo, gli alleati dell’America hanno esercitato pressioni sull’Iran affinché esercitasse ‘moderazione’. Non è strano che sia sempre l’Iran a essere invitato alla ‘moderazione’, e mai Israele? Eppure, è proprio a Israele che dovrebbero essere rivolti tali consigli”.

Adesso, la storia si ripete.

La strategia di Netanyahu

È risaputo che per preparare il terreno di un atto di aggressione, è fondamentale che l’aggressore appaia come la vittima. Il nero deve diventare bianco. E il bianco deve diventare nero.

Netanyahu doveva distrarre l’attenzione dalla propria crescente impopolarità puntando il dito verso un nemico esterno che fosse ancora più impopolare di se stesso. A tal fine, egli ha abilmente manipolato i sentimenti di paura nei confronti dell’Iran, che sono stati alimentati e deliberatamente esacerbati dalla cricca dominante israeliana per decenni. Tutto ciò è stato ora fatto convergere sulla questione della presunta minaccia di una bomba nucleare iraniana.

Tutte le fonti meglio informate, anche negli Stati Uniti, hanno concluso che non è lecito affermare che esista la minaccia che l’Iran sviluppi questa arma nel breve periodo. È vero che gli iraniani hanno tutto il necessario per arrivare a produrre delle proprie armi nucleari. Ma ciò non significa in alcun modo che esista una “minaccia reale e incombente” per Israele, come Netanyahu la sta presentando.

Al contrario, i servizi di intelligence americani hanno detto chiaramente che è escluso che l’Iran sviluppi armi nucleari nei prossimi tre anni. Tutto questo viene ignorato, mentre il rullo dei tamburi di guerra diventa sempre più forte e costante.

La posizione di Washington

Cominciamo dalle ovvietà. Una guerra generale in Medio Oriente non è chiaramente nell’interesse degli Stati Uniti. Essa avrebbe effetti catastrofici sull’economia mondiale (e americana), che viene già minacciata da una recessione economica.

Inoltre, gli Stati Uniti hanno basi militari in molti paesi del Medio Oriente, che sono esposte ad attacchi, così come numerosi interessi economici e commerciali.

Questo lo capivano persino Joe Biden e la sua cricca di guerrafondai che, di conseguenza, tergiversarono e non diedero a Netanyahu il via libera per attaccare l’Iran. Preferirono passare il calice avvelenato alla nuova amministrazione di Donald Trump.

Da parte sua, Trump è chiaramente contrario ad una guerra con l’Iran. Innanzitutto, a livello personale, egli ha una chiara avversione al rischio e preferisce limitarsi a fare accordi che pensa di avere una buona possibilità di poter portare a casa.

Soprattutto, ha condotto una campagna elettorale con un programma di chiara opposizione al coinvolgimento americano in guerre all’estero.

Ricordiamoci che aveva promesso di porre fine al coinvolgimento dell’America in Ucraina nel giro di 24 ore. Alla fine, ha mancato questo obiettivo ambizioso. Ma non ha mai abbandonato in alcun modo l’obiettivo di tirare fuori l’America dal ginepraio ucraino.

Sebbene Netanyahu lo abbia costantemente bombardato di richieste, Trump ha sempre negato il permesso di attaccare l’Iran, propugnando al contrario il perseguimento di un accordo negoziato sulla spinosa questione della politica nucleare iraniana.

A dire il vero, i negoziati erano già in corso quando gli israeliani hanno attaccato. In effetti, l’attacco è stato lanciato solo un paio di giorni prima che i negoziati riprendessero, domenica 15 giugno. Lo scopo dell’attacco, pertanto, era chiaramente quello di sabotare questi negoziati.

Le smentite dell’America

La leadership iraniana ha accusato con rabbia gli americani di doppiezza, di essersi nascosti dietro la cinica scusa dei negoziati, mentre segretamente incoraggiavano gli israeliani nei loro piani di aggressione.

Per tutta risposta, gli americani hanno negato indignati di aver giocato un qualche ruolo nell’attacco. Ma, se prendiamo in considerazione il quadro generale, queste smentite non possono avere alcuna presa sugli ayatollah, o sulla maggioranza della popolazione in Iran.

Prima di tutto, stupidamente, Trump non ha fatto alcun tentativo di negare di essere stato avvertito in anticipo delle intenzioni degli israeliani. Questo è stato generalmente interpretato come un indicazione del fatto che egli avrebbe effettivamente dato a Netanyahu il permesso di colpire l’Iran, cosa che, fino ad allora, si era sempre rifiutato di fare.

Se gli americani conoscevano in anticipo i piani israeliani, è difficile credere che non abbiano giocato un ruolo, seppur indiretto, nell’attacco vero e proprio. Anche solo aver fornito informazioni satellitari e elementi di intelligence potrebbe aver giocato un ruolo molto importante nell’operazione.

Non è un segreto che Israele ha molti servi obbedienti in posizioni di potere negli Stati Uniti: nel Dipartimento di Stato, nel Pentagono, nella burocrazia statale non eletta, che rimane al suo posto, chiunque sia alla Casa Bianca. Infine, ha propri sostenitori in posizioni chiave all’interno dello stesso governo.

Tutte queste forze poderose si saranno messe in movimento nella preparazione dell’attacco e avranno esercitato una pressione immensa sul presidente, che non fa segreto del proprio appoggio a Israele ed è notoriamente vittima di pulsioni improvvise e di oscillazioni di umore totalmente imprevedibili, che possono variare considerevolmente da un momento all’altro.

Trump cambia rotta

Sebbene Trump giuri in ogni sua frase di essere a favore di un accordo negoziato con l’Iran e contrario alla guerra, ha ampiamente contribuito in prima persona a sabotare i negoziati in corso con l’Iran.

I termini che al momento stanno offrendo agli iraniani vanno molto oltre la richiesta iniziale di abbandono delle armi nucleari. Infatti, agli iraniani si sta chiedendo ora di smantellare tutti i loro siti nucleari e di abbandonare l’arricchimento nucleare in generale, che sia per fini civili o militari.

Naturalmente, è fuori discussione che un qualsiasi governo iraniano possa mai accettare simili richieste oltraggiose, che rappresentano una chiara violazione dei diritti dell’Iran in quanto Stato nazione sovrano.

Sembra chiaro che la riluttanza dell’Iran di scendere a compromessi su questa questione ha prodotto una frustrazione crescente nell’uomo alla Casa Bianca, che è pertanto diventato più suscettibile alle argomentazioni infide della potente lobby israeliana, che suggeriscono che l’unico linguaggio che capiscono a Teheran è quello della forza.

Ci si può immaginare uno scenario in cui un irascibile Donald Trump dice finalmente a Netanyahu che è stufo dell’“ostinazione” degli iraniani e che, di conseguenza, gli israeliani possono fare tutto quello che vogliono per mettere loro pressione.

Non sappiamo cosa Trump abbia effettivamente detto a Netanyahu. Ma qualunque cosa sia, è stato interpretato dal leader israeliano come un semaforo verde da Washington per fare quello che aspettava di fare con trepidazione.

Una volta che il passo è stato compiuto, gli eventi si sono mossi alla velocità della luce. Non c’è nulla di cui stupirsi, visto che tutti i preparativi erano stati effettuati già da molto tempo.

Una mossa pericolosa

Il presidente Trump ha interrotto la propria visita in Canada per un incontro con i leader mondiali e ha preso un volo per Washington lunedì sera, dopo aver indispettito in prima battuta i propri alleati, lamentandosi del fatto che avessero escluso in maniera ingiustificata Vladimir Putin dalle deliberazioni.

Sebbene pubblicamente appoggi l’appello alla “de-escalation”, Trump ha continuato a ribadire il proprio appoggio agli aggressori israeliani. Alla fine, le azioni contano sempre più dei fatti. La decisione della marina americana di inviare un secondo gruppo di portaerei in Medio Oriente non avrebbe potuto avvenire senza il suo esplicito permesso.

La portaerei USS Nimitz, insieme con i suoi nove squadroni di caccia e una scorta forte di cinque cacciatorpediniere, sta lasciando il Mar Cinese Meridionale per unirsi al gruppo di attacco della portaerei USS Carl Vinson nel Mar Arabico, secondo i resoconti della stampa.

Se questo è ciò che Washington chiama “evitare l’escalation”, è legittimo chiedersi quale sarebbe una vera escalation!

La sua intenzione potrebbe essere di usare la presenza di queste navi come un mezzo per dissuadere l’Iran dall’attaccare le basi americane. Ma si tratta di una mossa molto pericolosa, che comporta rischi imprevisti.

Il fatto stesso che le forze americane si dirigano in massa verso l’Iran può essere interpretata solo come un atto di escalation. Una volta che queste forze verranno schierate nel Mediterraneo orientale e nel Golfo Persico o nel Mar Rosso, inevitabilmente le voci che chiedono un loro utilizzo si leveranno con maggiore forza, creando il rischio di uno scontro serio.

Se gli Stati Uniti si uniranno alla guerra, allora gli americani in tutto il Medio Oriente diventeranno estremamente esposti ad attacchi e la presenza delle portaerei non potrà fare nulla per proteggerli.

Ci sono circa 40mila soldati americani, sparpagliati nelle basi di tutto il Medio Oriente, che diventerebbero potenziali obiettivi di una rappresaglia iraniana.

Ripercussioni internazionali

Le ripercussioni internazionali di un atto simile sarebbero ancora più gravi. Questo mi porta alla questione della discussione che ha avuto luogo di recente tra Donald Trump e Vladimir Putin, con tutta evidenza su richiesta di Putin.

È impossibile conoscere il contenuto esatto di questa conversazione, dal momento che il testo vero e proprio non è stato divulgato, per ovvie ragioni. Ma è abbastanza chiaro che il presidente russo si sarà espresso nei termini più netti possibili, avvertendo che un coinvolgimento militare americano nella guerra tra Iran e Israele avrebbe conseguenze gravissime.

Dobbiamo tenere a mente che, il 21 aprile 2025, Vladimir Putin ha firmato un trattato con l’Iran, che impegna entrambe le nazioni ad una Alleanza Strategica Complessiva.

Paradossalmente, sono stati gli Stati Uniti a rendere possibile questa mossa, avendo imposto sanzioni opprimenti sia alla Russia sia all’Iran. Come risultato, la Russia è diventata un partner commerciale cruciale dell’Iran, specialmente per quanto riguarda le riserve petrolifere in eccesso di quest’ultimo.

Al momento, la Russia e l’Iran hanno una stretta alleanza economica e militare e entrambi i paesi sono vittime di pesanti sanzioni da parte della maggioranza delle nazioni occidentali. Questo significa indubbiamente che qualsiasi minaccia militare contro l’Iran provocherebbe necessariamente una risposta dalla Russia, un fatto che Putin avrà chiarito abbondantemente a Trump in questa conversazione.

Non può esserci dubbio che queste parole avranno avuto un peso enorme nei ragionamenti di Trump e questo spiega le successive svolte e contro-svolte. La prospettiva di un conflitto militare aperto con la Russia e, in modo quasi inevitabile, con la Cina, gli avrà dato molto su cui riflettere.

Tuttavia, persino quando l’uomo alla Casa Bianca stava battendo una frettolosa ritirata, il suo amico a Londra si stava ancora una volta preparando all’azione.

Come se non avesse abbastanza problemi in casa propria, dove il suo governo è in grande difficoltà ed egli stesso è estremamente impopolare, Starmer si sta adesso impegnando a tentare di trovare un modo di ottenere una “de-escalation” nel conflitto in Medio Oriente.

Come pensa Starmer di contribuire ad una “de-escalation” della situazione? Mandando caccia britannici e velivoli per il rifornimento di carburante in volo nella regione! Cosa dovrebbero fare, non lo sappiamo, visto che il primo ministro britannico si rifiuta di dirlo.

Ma non è difficile prevedere che ordinerà loro di fare tutto ciò che il suo Capo alla Casa Bianca gli dirà di fare. Dopotutto, è questa quella che chiamiamo la “relazione speciale” tra Stati Uniti e Inghilterra, cioè la relazione tra il maggiordomo e il suo padrone.

Non c’è, ad ogni modo, assolutamente alcun paragone tra le portaerei britanniche e le super-portaerei americane. Ma meno lo si dice, meglio è. Nelle parole di Napoleone: “Tra il sublime e il ridicolo, c’è davvero un passo”.

Messaggi ambivalenti

Come suo solito, Trump sembra contraddirsi.

Durante la sua recente telefonata con Putin, il leader russo ha offerto, a quanto pare, i propri servigi di mediatore nel conflitto tra Israele e Iran. Questo ha causato più di un infarto agli altri leader occidentali alla riunione del G7.

Trump ha detto chiaramente di non avere nessuna obiezione personale sul fatto Putin giochi un tale ruolo. Ciò avrebbe il vantaggio di sollevare l’uomo alla Casa Bianca dalla dolorosa necessità di mediare tra due Stati che si stanno saltando alla gola, senza avere alcuna vera intenzione di porre fine al conflitto.

E tutti sanno che le sole parole che hanno un peso per gli israeliani sono quelle di un uomo soltanto, e che questi si chiama Donald Trump.

Sembra che il presidente Macron abbia raggiunto un livello di esasperazione che potrebbe danneggiare la sua salute. La sua rabbia è ovviamente dettata dalla supposizione che sempre lo anima, cioè che soltanto lui è qualificato a giocare il ruolo dell’“onesto mediatore internazionale”.

Questa credenza trascura il piccolo dettaglio che nessuno ormai ha abbastanza fiducia nella probità morale di Macron da permettergli anche solo di vendergli una macchina di seconda mano.

Macron è stato abbastanza stupido da dichiarare che Trump ha lasciato la riunione per adoperarsi per un cessate il fuoco nel conflitto in Medio Oriente. Chiaramente adirato, Trump ha pubblicato un’umiliante smentita del presidente francese, che egli ha descritto come il “presidente Emmanuel Macron in cerca di pubblicità”, che “non ne azzecca una!”.

Trump non ha alcuna voglia, ha detto, di promuovere un cessate il fuoco o, se per questo, di negoziare qualsiasi cosa che non sia la resa incondizionata dell’Iran.

Dobbiamo pertanto cercare di analizzare le linee direttrici nella strategia di Trump, sempre supponendo che egli ne abbia una. E questo non è per nulla scontato.

Il mutamento di ruolo dell’America

Se un individuo razionale cade in errore, deciderà di cambiare la strada intrapresa per evitare di ricadervi. L’idea che se commette un errore dalle conseguenze fallimentari, la conclusione da trarne sia quella di ripeterlo e ripeterlo ancora nella speranza che, alla fine, porterà buoni risultati, non è una caratteristica del pensiero razionale, ma piuttosto un sintomo di follia.

Questo è quello che viene spacciato per pensiero strategico oggi in Occidente. È quello che i guerrafondai negli Stati Uniti e in Europa hanno fatto nel caso dell’Ucraina ed è quello che gli Stati Uniti sono tentati di fare adesso in relazione all’Iran!

Nonostante non sembri che ciò sia entrato nelle teste dure degli uomini e delle donne che governano il mondo dalle Montagne Rocciose canadesi, le cose sono cambiate sulla scena internazionale, da quando Biden e la sua cricca di guerrafondai erano al potere.

Gli Stati Uniti sono la nazione più potente della Terra, ma questo potere non è illimitato e, adesso, è in evidente declino. Di fronte a un gigante economico come la Cina e una Russia risorta e sicura di sé, sta diventando ormai sempre più rischioso per l’America spadroneggiare per il mondo.

In guerra, sottovalutare il proprio nemico risulta fatale. È molto meglio sopravvalutarlo e prepararsi al peggio, piuttosto che gettarsi alla cieca nella battaglia, sperando per il meglio e assicurandosi così un esito negativo.

Lo stesso stupido errore che ha portato gli Stati Uniti in guerra con la Russia in Ucraina, che si sta concludendo in una umiliante sconfitta, viene ripetuto ora, con conseguenze molto più gravi.

Non hanno mai preso in considerazione il fatto che le cose non funzionano come avevano immaginato. Allo stesso modo, non avevano mai immaginato che i missili iraniani avrebbero veramente perforato le difese israeliane apparentemente impenetrabili, colpendo obiettivi importanti proprio all’interno di Israele.

E continuano a negare l’evidenza, cioè che l’attacco ai siti nucleari non sta funzionando.

Persone simili vengono presentate nei media come individui molto intelligenti, persino brillanti, che meritano solo elogi e ammirazione. In realtà, meritano di essere spediti nel manicomio più vicino alla prima occasione utile, dove non possono fare del male né a se stessi né al resto della razza umana.

Errore di calcolo

La frangia più reazionaria dei repubblicani appoggia tanto il governo di Israele quanto la sua idea che sia il momento giusto per provare ad imporre un cambio di regime a Teheran. Questo, e non la distruzione dell’industria nucleare iraniana, è il vero obiettivo di Netanyahu e della sua cricca.

Ma hanno sbagliato i propri calcoli in maniera madornale. Nonostante molti iraniani disprezzino il regime, il loro odio per gli ayatollah non equivale ad un appoggio per Netanyahu e per gli americani! In effetti, è proprio il contrario.

Le azioni aggressive di Israele, appoggiate dagli Stati Uniti, spingeranno grossi settori della società iraniana, persino tra coloro che sono più aspramente ostili al regime, ad appoggiare il governo nella sua guerra contro gli aggressori stranieri.

Lungi dal persuadere gli iraniani ad adottare un atteggiamento “ragionevole” nei negoziati sulla questione del nucleare, molta gente, non solo nel governo, ma anche nelle strade, trarrà la conclusione che i negoziati con gli americani sono una perdita di tempo e che l’unica difesa reale di cui l’Iran può disporre è di costruire armi nucleari il prima possibile.

Israele ha avuto successo?

Qual è il bilancio delle prime fasi di questa guerra? Allo stato attuale, è impossibile produrre un giudizio accurato della portata dei danni causati dagli attacchi iniziali contro l’Iran. O, se per questo, della reale portata dei danni causati dagli attacchi iraniani contro Israele.

Come sempre, è calata la nebbia di guerra, coprendo con un velo spesso la situazione reale, che rende molto difficile stabilire la verità. In questo momento, gli israeliani si stanno dando delle arie. Sono gli esperti mondiali nelle vanterie. Infatti, se ci fosse un premio Nobel per la millanteria e la vanagloria, sarebbero sicuramente i vincitori mondiali.

Sfortunatamente, in guerra le dichiarazioni enfatiche vengono solitamente sfatate con il passare del tempo. Ne sono un esempio le dichiarazioni di Israele sui presunti successi nella distruzione delle difese iraniane e nell’aver fatalmente compromesso la sua capacità di costruire armi nucleari.

Queste iniziali dichiarazioni da parte degli israeliani, per cui l’Iran non sarebbe stato in grado di reagire con efficacia per tutto un periodo, sono state smentite dagli eventi.

L’attacco israeliano è riuscito a sopraffare il sistema di difesa aerea dell’Iran? La risposta è inequivocabilmente affermativa. Sembrerebbe che l’offensiva sia stata preceduta da un attacco informatico che ha messo fuori gioco con successo le difese aeree iraniane per molte ore, lasciando Teheran inerme sotto il bombardamento israeliano.

Tuttavia, gli iraniani dichiarano di aver cominciato a riparare il danno e possiamo pertanto prevedere che i futuri attacchi israeliani non saranno privi di perdite.

Senza dubbio, sono stati inflitti all’Iran danni significativi. Ma la portata delle distruzioni è stata chiaramente sovrastimata e esagerata al massimo grado.

Lo dimostra il fatto stesso degli attacchi missilistici immediati e dal grande impatto lanciati dall’Iran, che gli israeliani avevano inizialmente escluso almeno nel breve periodo, data l’enorme devastazione che affermavano di aver inflitto alla macchina bellica iraniana.

Gli iraniani non hanno perso tempo a riversare una terrificante ondata di missili, probabilmente svariate centinaia, contro obiettivi all’interno di Israele, in numero tale che alcuni, per lo meno, hanno penetrato il tanto decantato sistema anti-missilistico israeliano “Fionda di Davide”.

Gli israeliani affermano che la maggioranza di questi missili siano stati abbattuti. Questo è certamente vero e non è sorprendente. Tuttavia, alcuni missili sono passati, distruggendo il mito dell’impermeabilità dei cosiddetti sistemi “Cupola di Ferro” e “Fionda di Davide” e provocando gravi danni a obiettivi sia militari che civili.

Il Guardian ha scritto:

“I missili iraniani hanno colpito le città israeliane di Tel Aviv ed Haifa, distruggendo case e suscitando la preoccupazione tra i leader mondiali alla riunione del G7 di questa settimana che il conflitto tra i due nemici regionali potrebbe portare ad una guerra mediorientale più ampia.”

Le immagini di una zona residenziale di Tel Aviv ridotta ad un cumulo di macerie, con in mezzo un enorme cratere, testimonia la straordinaria potenza distruttiva di questi missili. È stato un campanello d’allarme che ha impensierito la popolazione israeliana, che è stata sistematicamente nutrita dell’illusione confortante che le loro formidabili difese aeree l’avrebbe sempre protetta contro qualsiasi pericolo.

I residenti sbigottiti, rimirando la distruzione delle proprie case e in un evidente stato di shock e terrore, hanno commentato con amarezza: “È come a Gaza”.

In una notte, la reputazione della Cupola di Ferro, della Fionda di Davide e di tutti questi sistemi di difesa aerea, che Israele ha costruito negli ultimi trent’anni e più, fin dal primo conflitto tra l’Iraq e gli Stati Uniti nel 1991, è andata in frantumi.

Il danno psicologico causato da ciò supera qualsiasi danno materiale inflitto dai missili iraniani. Ma le sofferenze della popolazione civile non rientrano nelle preoccupazioni di Netanyahu, che è apparso in televisione con la sua solita cinica posa di calma fiducia e inossidabile riserbo promettendo alla popolazione di Israele che “Teheran brucerà”. In altre parole, si va avanti.

Ma dietro questa maschera di fiducia posticcia, Netanyahu è un uomo preoccupato. Egli è ben consapevole del fatto che se non ottiene una vittoria rapida sull’Iran, il tempo corre a sfavore di Israele.

Israele sta continuando a condurre attacchi, cercando di localizzare e uccidere alti funzionari del governo e dell’esercito iraniani, oltre che membri della comunità scientifica iraniana.

E continua a prendere di mira le postazioni di lancio iraniane di missili balistici e la sua difesa aerea. Tuttavia, Israele non è ancora in grado di assestare il colpo decisivo come forse aveva sperato di fare quando venerdì ha dato inizio a questa operazione.

Nel frattempo, gli attacchi dell’Iran contro Israele stanno diventando sempre più potenti. Nel tempo, il vantaggio, in quella che è ormai chiaramente una guerra di attrito, si tenderà sempre di più dal lato dell’Iran.

Il sistema di difesa aerea di Israele sta cominciando a scarseggiare di munizioni e, ad un certo punto, non sarà neanche in grado di sostenere il livello di copertura missilistica di cui è capace al momento.

È un semplice problema di matematica. Servono almeno due missili Patriot per avere un certo livello di certezza che un missile in arrivo venga abbattuto.

L’Iran sta lanciando centinaia di missili e si pensa abbia ancora scorte per svariate migliaia. Di contro, il numero dei missili Patriot posseduti da Israele è molto limitato e si esaurirà velocemente all’attuale ritmo di utilizzo.

Netanyahu, pertanto, ha bisogno di una vittoria rapida. Ma questo chiaramente non è un obiettivo raggiungibile, almeno senza l’assistenza attiva degli Stati Uniti d’America.

Israele non è stato capace di infliggere un danno significativo al sito nucleare di Fordow. Hanno fatto qualche buco nel terreno attorno al sito di Natanz. L’impressione è sempre di più che, dunque, Israele non possa raggiungere i propri tre obiettivi.

1. Non è riuscito finora a provocare il crollo del governo iraniano.
2. Non è riuscito finora ad impedire all’Iran di lanciare missili contro Israele, nonostante le dichiarazioni per cui Israele avrebbe neutralizzato un terzo dei sistemi di lancio iraniani.
3. Non è riuscito ad infliggere danni importanti al programma nucleare iraniano, o a ritardare in maniera significativa il suo cammino verso la produzione di una bomba nucleare.

Questa è la spiegazione degli appelli israeliani sempre più irrequieti a Trump, affinché venga in loro aiuto.

I rischi di Trump

E qual è la posizione di Trump? È una domanda cui è difficile rispondere. Si ha l’impressione che Trump non abbia un’idea chiara di dove stia andando o persino di cosa stia facendo. Come ha risposto ad un giornalista che gli ha chiesto in maniera diretta se abbia intenzione di intervenire nel conflitto: “Potrei farlo, potrei non farlo”. È probabile che egli non abbia preso nessuna decisione a tal riguardo.

Sembra che Trump reagisca agli eventi in maniera empirica, prendendo decisioni in corso d’opera, reagendo ora a questa sollecitazione, ora a quest’altra.

Questi metodi potrebbero andare bene per un palazzinaro newyorkese. Ma sono del tutto inadeguati quando si tratta della complessità della diplomazia internazionale. L’improvvisazione empirica non può sostituire una strategia chiara e coerente. Ma ciò, purtroppo, sembra mancare a questa amministrazione.

L’evidente mancanza di comprensione da parte di Trump dei più elementari principi diplomatici si è manifestata chiaramente con la sua reazione agli ultimi eventi. In un primo momento, si è affrettato ad esprimere il proprio pieno appoggio agli atti di aggressione di Israele, incolpando l’Iran per il suo fallimento nel “fare un accordo”, trascurando il fatto che, se ribaltiamo la frase del Padrino, “ha fatto un offerta che non potevano accettare”.

Nel suo entusiasmo per la causa israeliana, si è spinto fino a descrivere questo feroce atto di aggressione unilaterale come “eccellente”. Ha anche detto chiaramente di essere stato informato in anticipo dell’attacco.

Nulla di tutto ciò gli ha impedito, poco dopo, di affermare fermamente che l’“America non sapeva di questo attacco e non vi ha giocato alcun ruolo”. Una smentita che chiaramente nessuna persona ragionevole potrebbe mai prendere per buona.

Da allora, ha fatto il suo solito gioco di mandare messaggi contrastanti, che ognuno può interpretare come meglio crede. Da un lato, pieno appoggio per Israele. Dall’altro, richieste di porre fine alle ostilità, “de-escalation” e ripresa dei negoziati, ecc.

Questi messaggi contrastanti sono sempre una fonte di confusione. Ma in uno scenario bellico, costituiscono un rischio effettivo, dal momento che possono spingere una o l’altra delle parti nella contesa a intraprendere delle mosse che possono avere conseguenze fatali.

Da parte sua, Netanyahu non nasconde la propria irritazione per il comportamento di Trump. Dopo l’attacco di venerdì, Trump ha suggerito che il regime iraniano potesse ancora essere convinto a negoziare, dicendo che gli iraniani “devono fare un accordo, prima che sia troppo tardi”.

Questo non è il tipo di dichiarazioni che Netanyahu vorrebbe sentire da Washington. Non è interessato ad una ripresa dei negoziati o ad accordi di sorta. Egli vuole perseguire la guerra fino alla fine. E a questo scopo, pretende che gli Stati Uniti entrino in guerra al suo fianco. In breve, il suo piano è di far combattere agli americani la sua guerra al proprio posto!

Queste sono le conseguenze inevitabili di decenni di accondiscendenza da parte degli Stati Uniti e di tutti i governi occidentali, che hanno ignorato i crimini di Israele in spregio alle più elementari leggi internazionali, portando quest’ultimo a concludere di poter fare qualsiasi cosa vogliano e che l’America continuerà a sistemare tutto.

Il problema centrale qui è che gli obiettivi di guerra di Netanyahu non coincidono con quelli degli Stati Uniti. Il quotidiano Guardian ha osservato correttamente che:

“Attaccando l’Iran e silurando i negoziati, Netanyahu ha scavalcato Trump, e il leader israeliano potrebbe tranquillamente intrappolare gli Stati Uniti in un nuovo conflitto mediorientale che Trump insiste di non volere.”

Continuando:

“Nel suo discorso inaugurale a gennaio, Trump ha ribadito il proprio desiderio di porsi come un mediatore che porrà fine ai conflitti globali, incluse le guerre in Ucraina e a Gaza, e di evitare del tutto nuove guerre. ‘Il mio lascito più prezioso sarà quello di paciere e unificatore’, ha detto”.

Guerrafondai come il senatore repubblicano Lindsey Graham, d’altra parte, stanno chiedendo a gran voce che gli Stati Uniti agiscano in appoggio ad Israele. La bellicosa lobby israeliana si sta comportando in modo frenetico, quasi isterico.

Ci sono buone ragioni perché ciò avvenga. Coloro che credono alla propaganda di Netanyahu, secondo cui il governo iraniano crollerebbe come un castello di carte, stanno cominciando a sconfortarsi, dal momento che le loro spere non si sono realizzate.

E, dietro questa retorica feroce, si possono percepire le tracce di altro: della paura.

Ma, nonostante la violenza della loro retorica, questi personaggi non hanno capito minimamente la forza dell’Iran e la sua capacità di resistere ad un attacco israeliano.

La reazione iniziale di Trump all’attacco israeliano è stata estremamente stupida. Egli l’ha descritto come “eccellente”. Questo tipo di dichiarazioni non potrà in nessun modo persuadere gli iraniani che l’America è in qualche modo un osservatore innocente nel conflitto in corso.

In seguito, Donald Trump ha mantenuto un silenzio del tutto insolito e atipico. Questo potrebbe benissimo indicare che, ancora una volta, l’uomo alla Casa Bianca sta cominciando ad avere dei ripensamenti. E potrebbe benissimo indicare l’esistenza di un grave conflitto all’interno della stessa amministrazione.

Tulsi Gabbard, il direttore dei servizi nazionali di intelligence (DNI), è nota per essere fortemente contraria a quanto sta facendo Trump.

Ma soprattutto, le sue ultime parole ed azioni hanno provocato un crescente malcontento e persino indignazione nelle fila dei suoi sostenitori. Si sarà reso conto che il suo comportamento a tal riguardo non è stato ben ricevuto dalla base di MAGA. In effetti, si è scontrato con una reazione furiosa, persino dai sostenitori più leali del presidente.

Gli stanno rinfacciando le sue promesse nella campagna elettorale di non impegnare l’America in altre “guerre infinite”, che sia in Medio Oriente o in qualsiasi altro luogo.

“Basta guerre infinite”

Trump ha promesso all’elettorato di Maga che non avrebbe cominciato nessuna cosiddetta “guerra infinita” in Medio Oriente. Così, c’è adesso un grande inquietudine nelle fila del movimento MAGA, che si riflette nel seguente messaggio di un sostenitore di Trump:

“Fanc**o.

Ho votato per:

BASTA GUERRE

Gas a basso costo

Niente tasse

Cibo a basso costo

RENDERE L’AMERICA DI NUOVO GRANDE

Quali di queste cose sono realmente avvenute?

Se Trump ci porta alla guerra, io ho chiuso con lui e con la sua amministrazione.

Sono incazzato”.

Ultimamente, sulla scrivania di Trump sono arrivati molti messaggi di questo tipo.

In una parola, Trump ha tanto bisogno di una guerra con l’Iran come di un buco in fronte. Ma ciò non significa necessariamente che una simile guerra sia fuori discussione. Tutt’altro.

Trump è sottoposto a pressioni da ogni lato e non è chiaro ancora da che parte finirà per propendere. Ma i rischi sono molto chiari:

“Se Trump ci porta alla guerra, io ho chiuso con lui e con la sua amministrazione”.

Non lo si potrebbe dire meglio.

 

18 giugno 2025

 

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