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Una storia di ordinaria precarietà e repressione è quella che si è consumata nelle scorse settimane al Teatro alla Scala di Milano, dove una lavoratrice precaria è stata licenziata in tronco per aver gridato “Palestina libera!” dalla prima galleria, prima dell’inizio di uno spettacolo.
I vertici del teatro non hanno aspettato nemmeno una formale procedura disciplinare per sospenderla e, pochi giorni dopo, le hanno comunicato la cessazione immediata, per “giusta causa”, del suo contratto a chiamata che sarebbe altrimenti scaduto a settembre.
Il fatto è avvenuto in occasione di un evento a inviti organizzato dalla Banca Asiatica di Sviluppo, che annovera tra i suoi membri anche il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, esponente dell’estrema destra sionista del governo, apertamente razzista e sostenitore dell’espulsione di tutti i Palestinesi dalla Striscia e dalla Cisgiordania.
All’ingresso nel palco delle autorità della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la maschera ha così deciso di dare sfogo alla sua sacrosanta indignazione per il disinteresse e l’ipocrisia di una delle più prestigiose istituzioni culturali del mondo, oltre che del nostro stesso governo, nei confronti del massacro in corso a Gaza.
Il suo gesto è anche una forma di protesta contro un sistema che utilizza la precarietà come strumento di ricatto e di controllo del dissenso: un meccanismo tanto più evidente alla Scala, dove decine di lavoratori precari (tra cui la maggior parte delle maschere) sono assunti con contratti stagionali, e vengono esclusi dai rinnovi in caso di provvedimenti disciplinari. E dove, quando il “normale” ricatto della precarietà non è sufficiente, come in questo caso, scatta direttamente la repressione.
I lavoratori del teatro, organizzati soprattutto dalla CUB, si stanno mobilitando in questi giorni in sostegno alla maschera licenziata. Questo pomeriggio alle 16.45 in piazza della Scala si terrà un presidio per chiedere nuovamente la revoca del licenziamento e il reintegro della lavoratrice.
Il Partito Comunista Rivoluzionario esprime la sua solidarietà con questa battaglia contro la repressione e la precarietà del lavoro, nella convinzione che l’unica “giusta causa” è quella per una Palestina libera.