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Il genocidio a Gaza e l’ipocrisia imperialista

di Francesco Giliani

Il 18 maggio il governo israeliano di Netanyahu ha lanciato l’offensiva militare “Carri di Gedeone” contro Gaza. L’obiettivo dichiarato è l’occupazione permanente di gran parte della Striscia di Gaza e la deportazione di due milioni di palestinesi in tre zone situate nella parte meridionale della Striscia. È un’accelerazione brutale nella politica di pulizia etnica perseguita dal governo sionista e, nei fatti, una seconda Nakba (catastrofe) dopo quella che nel 1948 cacciò dalle loro terre 700mila arabi palestinesi, poi privati anche del diritto al ritorno.

L’operazione militare è stata accompagnata dalla mobilitazione di 70mila riservisti, inviati soprattutto sul fronte libanese per permettere alle unità dell’esercito professionale di occupare Gaza. I fanatici dell’estrema destra, guidati dal ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e dal ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, parlano di “liberazione” di Gaza e del completamento del progetto sionista mediante l’espulsione dei palestinesi e la colonizzazione della Striscia e della Cisgiordania; cantando slogan come “Morte agli arabi” migliaia di questi suprematisti fanatici hanno marciato nelle strade di Gerusalemme per commemorare la conquista di Gerusalemme Est da parte di Israele nella guerra del 1967.

Lacrime di coccodrillo

Davanti a tale genocidio in corso, timorosi che ciò possa innescare una nuova e più potente ondata di manifestazioni per la Palestina, i governi dei paesi dell’Unione Europea hanno iniziato a mostrarsi indignati per le violenze dell’esercito israeliano. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha dichiarato che “Questi morti innocenti feriscono i nostri valori e indignano le coscienze”, ma continua a parlare di una guerra innescata da una “legittima reazione del governo israeliano”. Diciamolo con nettezza: le lacrime (e qualche eventuale blanda ritorsione) dei Macron e degli Starmer, delle Meloni e delle Von der Leyen sono di un’ipocrisia rivoltante.

Macron, assieme al primo ministro britannico Starmer e al canadese Carney, ha avvertito il governo Netanyahu della possibilità di azioni comuni da parte dei tre paesi se l’operazione “Carri di Gedeone” non verrà fermata. Il governo Starmer ha sospeso i negoziati per un accordo commerciale bilaterale con Israele, anche se ciò non ha impedito, meno di una settimana dopo, di confermare il viaggio ad Haifa di Lord Ian Austin, inviato commerciale britannico in Israele che sulla piattaforma X ha spudoratamente dichiarato di essere lì “per incontrare funzionari e uomini d’affari e promuovere il commercio col Regno Unito”.

La minaccia di sanzioni, anch’essa ventilata da Macron, mostra la disperazione dei governi borghesi europei che temono la precipitazion e di una situazione fuori controllo in Medio Oriente e oltre. Anche in Europa, infatti, la rabbia per i crimini israeliani dilaga: secondo un recente sondaggio realizzato in Francia, ad esempio, il 75% dei cittadini sarebbe favorevole a un embargo nella vendita di armi a Israele.

D’altra parte, il governo Netanyahu non pare intimorito dalle gesticolazioni dei politici europei. Il ministro per gli Affari Strategici di Tel Aviv, Ron Dermer, avrebbe affermato, secondo il quotidiano Haaretz, che Israele è pronta ad annettere una parte della Cisgiordania se l’UE riconoscesse legalmente lo Stato di Palestina.

Trump e Netanyahu

L’agenda del governo israeliano non è stata alterata nemmeno dal relativo deterioramento delle relazioni con gli Stati Uniti. Intendiamoci: Donald Trump continua a riproporre l’idea di trasformare Gaza nella “Costa Azzurra del Medio Oriente” mediante l’espulsione dei palestinesi residenti a Gaza in Egitto e in Giordania. Tuttavia ha anche affermato di voler porre “fine a questo conflitto brutale”. In sostanza, Trump ha fatto capire ai suoi alleati che non metterà a rischio per Israele tutti gli interessi dell’imperialismo statunitense nella regione.

In effetti, nel corso del suo recente viaggio in Medio Oriente Trump ha firmato importanti accordi con Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti su commercio, petrolio e investimenti, senza alcuna consultazione con Netanyahu. Tra gli altri, l’accordo con l’Arabia Saudita affronta anche la questione dell’arricchimento dell’uranio nel quadro di un programma nucleare civile sgradito a Tel Aviv, soprattutto per l’assenza delle tradizionali clausole sulla normalizzazione delle relazioni con Israele. Anche l’apertura di Trump alla Siria, con l’eliminazione delle sanzioni, è uno schiaffo alla strategia di Israele di mantenere fragile il regime del fondamentalista sunnita e pro-turco al-Jolani attraverso l’espansione di una zona cuscinetto al di là delle Alture del Golan e l’appoggio ad una fazione drusa in conflitto con Damasco.

I negoziati diretti da Witkoff, inviato di Trump in Medio Oriente, per un cessate il fuoco cercano di stabilizzare la situazione, ma un loro esito positivo non è al momento probabile. Anche in tale caso, una tregua alle condizioni di Witkoff e Netanyahu sarebbe più che altro una pausa temporanea tra due offensive militari.

Trump teme che l’attacco a Gaza possa infiammare la gioventù statunitense. Soltanto questa paura spiega le ragioni dell’attacco senza precedenti (cancellazione di ogni finanziamento federale) all’università di Harvard, accusata di non aver adeguatamente contrastato la mobilitazione in solidarietà con la Palestina dei propri studenti.

Il fronte interno israeliano

Ma la situazione sta diventando instabile anche in Israele. La stanchezza per la guerra si esprime nell’aumento significativo dei riservisti che non si presentano. Inoltre, un migliaio di veterani delle forze aeree ha pubblicato un appello per rifiutarsi di prestare servizio; si sono associati all’appello dozzine di medici riservisti che chiedono la fine immediata della guerra per liberare gli ostaggi – opinione condivisa dalla maggioranza degli israeliani.

La guerra a Gaza, lungi dall’unire le istituzioni dello Stato, sta lacerando la società e mettendo diversi settori della classe dominante gli uni contro gli altri. Netanyahu è entrato in un conflitto aperto con Ronen Bar, il deposto capo del servizio di sicurezza israeliano, dopo che questi lo aveva accusato di infrangere la legge ordinando di spiare e reprimere le proteste antigovernative.

La conquista militare di Gaza rimette il genocidio perpetrato da Israele al centro della situazione mondiale. Le scioccanti immagini della pulizia etnica in corso potrebbero riaccendere un’ondata di lotte in tutto il mondo.

 

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