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Il risultato shock delle elezioni presidenziali statunitensi fornisce un altro esempio del tipo di cambiamenti bruschi e repentini che sono impliciti nella situazione. Fino all’ultimo minuto, gli opinionisti dei media hanno compiuto ogni sforzo per dimostrare che i sondaggi davano la vittoria alla Harris, anche se con un margine ridotto. Ma si sbagliavano.
Nelle prime ore del mattino del 6 novembre 2024, quando Donald Trump si è avvicinato alla soglia dei 270 voti dei grandi elettori per diventare presidente eletto dell’America, quell’illusione è andata in frantumi. Ancora una volta, milioni di americani hanno votato per Trump.
Questo non doveva accadere. La classe dominante americana – fermamente sostenuta dai governi europei – era determinata a tenerlo lontano dalla carica, con le buone o con le cattive. Dopo che Trump è stato estromesso nelle elezioni del 2020, è stato fatto di tutto per impedirgli di candidarsi di nuovo.
Hanno cercato di tenerlo fuori dalla competizione elettorale in diversi Stati. È stato condannato per 34 accuse penali, e ne ha altre 50 in sospeso. Gli è stato ordinato di pagare centinaia di milioni di dollari in cause civili riguardanti frodi commerciali e una causa per diffamazione derivante da un’accusa di stupro.
Ma ogni accusa penale lanciata contro di lui è servita solo ad aumentare il suo sostegno. Le accuse gli sono semplicemente rimbalzate addosso. Ad ogni processo, il suo appoggio nei sondaggi è aumentato.
Tutti i numerosi attacchi gli sono scivolati addosso e si sono rivolti contro coloro che sono stati visti – correttamente – come coinvolti in una cospirazione per impedirgli di rientrare alla Casa Bianca.
Tutto giocava a suo svantaggio. I media erano praticamente uniti nell’opporsi a Trump. Di seguito riportiamo la posizione dei principali quotidiani e riviste nei confronti dei due candidati:
199 per Kamala Harris
16 per Trump
28 Nessun appoggio
1 Altri
Totale 244
Da ciò si evince che praticamente tutti i mass media erano contro di lui. L’élite al potere si è confortata con l’idea che “non ce la farà mai”. Un “condannato”, sostenevano, non avrebbe mai potuto vincere la presidenza. Ma lo ha fatto.
Questo spiega il profondo shock che il risultato elettorale ha provocato nella classe dominante americana.
Perplessità
Trotskij una volta ha affermato che la teoria è la superiorità della previsione sullo stupore. Questa osservazione mi è venuta in mente questa mattina, quando ho letto un interessante commento di un giornalista della BBC:
“Un operatore politico democratico a Washington ha scritto che il partito ‘deve eliminare gli snob elitari a Washington, tanto per cominciare’.
Altri mi hanno detto la stessa cosa, anche se in modo meno diretto: pur lodando gli sforzi della campagna, ritengono che il partito nel suo complesso abbia un ‘problema di immagine’ in un momento in cui cose basilari e quotidiane come il costo della vita sono prioritarie per la maggior parte degli elettori.
Questa disperazione dei Democratici mi fa venire in mente una conversazione che ho avuto con un Repubblicano a un comizio di Trump, il quale ha detto che il suo candidato ha fornito al partito Repubblicano ‘un’immagine completamente nuova’, passando dallo stereotipo dell’elettore da country club all’appello alle famiglie della classe operaia, mentre i Democratici sono diventati il ‘partito di Hollywood’.
Si tratta di grandi generalizzazioni, ma che i repubblicani pubblicamente, e alcuni democratici privatamente, ora condividono.”
Privi di una conoscenza elementare della dialettica, gli strateghi del Capitale guardano sempre alla superficie della società, completamente ignari della furia che si sta accumulando sotto i loro piedi.
Non sono riusciti a capire le cause di fondo del cosiddetto movimento di Trump. Apparentemente, è tutta una questione di “immagine”. Ma il problema è che l’immagine del Partito democratico riflette fedelmente la realtà sottostante.
Tra l’élite di Washington e la massa del popolo si è creato un abisso: si è trattato di una sorta di “Rivolta dei contadini”, un’insurrezione plebea e un voto schiacciante di sfiducia nell’ordine esistente.
Un movimento contraddittorio
Ho sentito spesso dire da persone di sinistra che Trump e Harris sono “la stessa cosa”. Questo è vero e falso allo stesso tempo. È evidente che Donald Trump è un miliardario e quindi difende gli interessi dei ricchi e dei potenti.
Tuttavia, affermare che Harris e Trump sono entrambi politici borghesi reazionari e che c’è ben poco o nulla da scegliere tra loro è francamente un’affermazione ovvia. Questa definizione iniziale non esaurisce la domanda che inevitabilmente sorge: come si spiega il sostegno entusiastico che Trump è riuscito a ottenere tra milioni di lavoratori americani?
È uno strano paradosso che un miliardario come Trump possa proporsi con successo come campione degli interessi della classe operaia. Egli è, ovviamente, un fedele rappresentante della sua classe, l’1% dei super-ricchi americani che possiedono e controllano la nazione.
Per molto tempo, i Democratici sono stati in grado di proporsi come rappresentanti politici della classe operaia. Ma decenni di esperienze amare hanno convinto milioni di lavoratori che questa è una menzogna.
Sono alla ricerca di un’alternativa radicale. Questa avrebbe potuto essere fornita da Sanders, se avesse deciso di rompere con i Democratici e di presentarsi come indipendente. Ma ha capitolato di fronte all’establishment del Partito democratico e ciò ha disilluso la sua base.
Questo ha lasciato la strada aperta a un demagogo di destra come Trump, che ha colto questa opportunità a piene mani. Non è noto a tutti, ma nel 2015 Trump ha detto privatamente al professore di economia di Yale Jeffrey Sonnenfeld di aver copiato di proposito la messaggistica anti-multinazionali che la campagna di Bernie Sanders aveva dimostrato essere efficace.
In assenza di un valido candidato di sinistra, milioni di persone che si sentivano alienate e politicamente senza più riferimenti hanno colto l’opportunità di sferrare un calcio ben assestato contro l’establishment.
La verità è che la classe operaia americana si sente tradita dai Democratici e totalmente estranea ai partiti politici esistenti. Per loro, Trump sembrava offrire un’alternativa. E si sono mobilitati per sostenerlo.
Già nel novembre 2016, un’intervista dell’Evening Standard sottolineava che:
“Gli americani della classe operaia sono andati a votare in numeri record. Questa è una rivoluzione della classe operaia. Nessuno se l’aspettava, le élite dei media che vivono nel lusso bevendo il loro champagne non parlano mai con i veri elettori. Gli americani della classe operaia sono stati traditi dall’establishment, dalla classe schiavista di Wall Street e Donald Trump è il loro difensore.”
È un dato di fatto che fino a quando Trump non ha affrontato la questione, la classe operaia è stata raramente, se non mai, menzionata nella politica americana. Anche i democratici più “di sinistra” si riferivano solo alla classe media. La classe operaia era completamente ignorata. Non è mai entrata nel loro campo visivo. Eppure la classe operaia esiste e si sta facendo conoscere.
All’epoca della grande Rivoluzione francese del XVIII secolo, l’Abbé Sieyès scrisse un celebre trattato intitolato Che cos’è il Terzo Stato?, in cui si legge quanto segue:
“Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell’ordine politico? Niente. Cosa desidera essere? Diventare qualcosa.”
Queste righe celebri potrebbero essere prese come una descrizione della classe operaia degli Stati Uniti di oggi. E, qualunque cosa si pensi di lui, bisogna ammettere che, per le sue ragioni, Donald Trump ha svolto un ruolo importantissimo nel porre la classe operaia al centro della politica statunitense per la prima volta dopo decenni.
Abisso tra le classi
Questo fatto non è casuale. È il riflesso di una realtà sociale evidente. Il divario tra i ricchi e i poveri si è allargato fino a diventare un abisso incolmabile. E questo sta approfondendo la polarizzazione sociale e politica. Sta creando uno stato d’animo esplosivo di rabbia nella società.
Ovunque si guardi, in tutti i paesi, c’è un odio bruciante verso i ricchi e i potenti: i banchieri, Wall Street e l’establishment in generale. Questo odio è stato abilmente sfruttato da Donald Trump. E questo ha sconvolto i seri rappresentanti del capitale.
Hanno giustamente visto Donald Trump come una minaccia perché stava deliberatamente distruggendo le basi del consenso, di tutta la politica all’insegna del centro che avevano faticosamente costruito per decenni.
Il mercato azionario statunitense è in piena espansione, il dollaro sta viaggiando a gonfie vele sui mercati valutari, l’economia degli Stati Uniti sta viaggiando con una crescita del PIL reale di circa il 2,5%, la disoccupazione non supera il 4,1%. Eppure, i resoconti degli addetti ai sondaggi elettorali mostrano chiaramente che la maggior parte delle persone non si sente affatto meglio – anzi, il contrario:
“I volontari di Make the Road Pennsylvania (un’organizzazione di difesa dei diritti dei migranti, Ndt) mi hanno detto che molte persone che hanno incontrato hanno espresso il dubbio che il voto possa migliorare le loro vite. Una volontaria ha raccontato che si sentiva ripetere, riguardo ai politici: ‘Vogliono solo il mio voto e poi si dimenticano di noi’. Manuel Guzman, un funzionario statale che opera nel distretto che comprende quartieri di Reading fiancheggiati da modeste case a schiera e popolati principalmente da immigrati latini, mi ha detto di avere familiarità con questo tipo di scetticismo degli elettori. Guzman, che è per metà dominicano e per metà portoricano, era fiducioso che i democratici avrebbero conquistato Reading a novembre. Ma temeva che il margine di vittoria sarebbe stato deludente, dato lo scollamento tra ciò che preoccupava i Democratici a Washington e ciò che sentiva dai suoi elettori, molti dei quali avevano bisogno di più lavori per sfuggire alla povertà, che affligge un terzo dei residenti di Reading. ‘Siamo diventati così concentrati come partito nazionale sul salvataggio della democrazia’, ha detto. ‘Sarò onesto con voi: non ho sentito una sola persona nella città di Reading parlarmi di democrazia! Mi dicono: Manny, perché la benzina è così alta?, Perché il mio affitto è così alto?. Nessuno parla abbastanza di questi problemi.”
Gli americani sono ben consapevoli del costo della vita che gli indici ufficiali e gli economisti mainstream ignorano. I tassi ipotecari hanno raggiunto il livello più alto degli ultimi vent’anni e i prezzi delle case sono saliti a livelli record. I premi delle assicurazioni auto e sanitarie sono saliti alle stelle.
Quasi il 40% degli americani intervistati a dicembre da Harris Poll per Bloomberg News hanno dichiarato che il proprio nucleo familiare ha recentemente fatto ricorso a un lavoro aggiuntivo per far quadrare i conti. Di questi, il 38% hanno dichiarato che i soldi extra coprivano a malapena le spese mensili, senza lasciare nulla, e il 23% hanno detto che non erano sufficienti per pagare le bollette.
In effetti, la disuguaglianza dei redditi e della ricchezza negli Stati Uniti, tra le più alte al mondo, non fa che peggiorare. L’1% degli americani detiene il 21% di tutti i redditi personali, più del doppio della quota del 50% inferiore! L’1% degli americani possiede il 35% di tutta la ricchezza personale; il 10% degli americani ne detiene il 71%, mentre il 50% degli americani solo l’1%!Livelli estremi di disuguaglianza, un crescente divario tra ricchi e poveri e un crescente senso di estraneità dei politici di Washington dai problemi della gente comune sono alla base della situazione attuale. Qui troviamo la vera spiegazione della popolarità di Donald Trump e del risultato delle attuali elezioni.
Crollo del centro
Questo fenomeno non è limitato agli Stati Uniti. Ovunque si assiste al crollo del centro politico. Ma quest’ultimo è il collante che tiene insieme la società.
È l’espressione grafica di una crescente tensione tra le classi – divisa tra destra e sinistra – che si approfondisce sempre di più.
In modo paradossale, il fenomeno del movimento Trump è un riflesso di questo fatto.
Attualmente, ciò si riflette nella crescita di tendenze populiste di destra peculiari in diversi paesi. Ma le leggi della meccanica ci dicono che a ogni azione corrisponde una reazione opposta. E in una fase successiva, si esprimerà in una brusca virata a sinistra.
Dal punto di vista della classe dominante, il pericolo di Trump è proprio quello di alimentare, facendo appello ai lavoratori per i propri fini, uno stato d’animo di radicalizzazione che costituisca un pericoloso precedente per il futuro. Questo spiega i profondi sentimenti di paura e rabbia che la borghesia manifesta costantemente nei confronti di Trump.
La classe dominante cerca disperatamente di evitare questa polarizzazione e di ricomporre il centro. Ma tutte le condizioni oggettive militano contro il loro successo.
Ricchi e poveri
Bill Clinton una volta disse: “È l’economia, stupido”. Non aveva tutti i torti. Il Wall Street Journal ha riportato che:
“L’economia è stata di gran lunga la questione principale per gli elettori, con il 39% che l’ha citata come ‘la questione più importante che il Paese deve affrontare’. (…) Più di sei su 10 (il 63%) hanno dichiarato che l’economia è in una situazione ‘non molto buona’ o ‘pessima’. (…)
Gli elettori hanno descritto pressioni specifiche, tra cui il costo della spesa, il prezzo delle case e la paura della guerra, ma molti hanno anche descritto preoccupazioni esistenziali più ampie sul destino dell’America.”
All’epoca della precedente elezione, quando Trump si era candidato contro Hillary Clinton, l’Economist, che sosteneva la Clinton, ammise che:
“Trump è stato portato alla vittoria da una marea di rabbia popolare. Questa è alimentata in parte dal fatto che gli americani comuni non hanno condiviso la prosperità del loro paese. In termini reali, il salario medio del lavoratore maschio è ancora inferiore a quello degli anni ’70.
Negli ultimi cinquant’anni, a parte l’espansione degli anni ’90, le famiglie della classe media hanno impiegato più tempo a recuperare il reddito perso dopo ogni recessione. La mobilità sociale è troppo scarsa per promettere qualcosa di meglio. La conseguente perdita di autostima non viene neutralizzata da qualche trimestre di aumento dei salari.”
Le cose non sono cambiate sostanzialmente da allora. L’economia statunitense non è in buona salute. Lo dimostrano i livelli di debito senza precedenti che sono aumentati costantemente sotto l’amministrazione Biden. Attualmente, il debito del settore pubblico americano è stimato in 35.000 miliardi di dollari, pari a circa il 100% del PIL.
Aumenta di 1.000 miliardi di dollari ogni tre mesi. E ha una sola strada da percorrere: quella dell’aumento.
Questa è una chiara indicazione del fatto che anche la nazione più potente e ricca del pianeta ha superato i propri limiti. Una situazione che, in ultima analisi, è insostenibile.
L’isolazionismo
Donald Trump non è un economista. Non è un filosofo o uno storico. Non è nemmeno un politico, nel senso che dispone di un’ideologia e una strategia elaborate.
È fondamentalmente un opportunista e un empirico nel senso più stretto del termine. Ma si considera un tattico supremo, un uomo pratico, sempre alla ricerca di soluzioni pratiche e a breve termine per ogni problema che si presenta. Cerca sempre quello che lui chiama “un affare”.
In altre parole, ha la mentalità di un piccolo commerciante, esperto nell’arte di contrattare al mercato. Tale abilità è ovviamente valida entro certi limiti. Ma ciò che è valido sulla bancarella del mercato si trova presto in difficoltà nella complicata ragnatela della politica e della diplomazia internazionale.
In sostanza, la sua inclinazione è verso l’isolazionismo. È contrario all’idea che l’America sia coinvolta in allineamenti a livello internazionale di qualsiasi tipo, siano essi le Nazioni Unite, l’Organizzazione Mondiale del Commercio o la stessa NATO.
La sua politica può essere facilmente riassunta nello slogan “America first”. Ma questo significa che il resto del mondo viene per ultimo! E questo comporta molti problemi.
Se dipendesse da lui, l’America romperebbe immediatamente tutti i legami con queste organizzazioni estranee, dedicandosi esclusivamente ai propri affari. Ma per quanto attraente possa essere questa idea, è del tutto impossibile nel mondo moderno. Il destino dell’America è irrevocabilmente legato da mille vincoli che la legano al resto del globo terrestre. Come ha scoperto a sue spese Donald Trump nei suoi rapporti con la Corea del Nord.
I limiti della potenza americana sono svelati
La situazione mondiale è dominata da un’enorme instabilità nelle relazioni mondiali. Questo è il risultato della lotta per l’egemonia mondiale tra gli Stati Uniti, la più potente potenza imperialista del mondo, che è in un declino relativo, e la Cina, una potenza in ascesa più giovane e dinamica, che tuttavia sta raggiungendo i suoi limiti.
Stiamo assistendo a spostamenti di proporzioni tettoniche e, come nel caso del movimento delle placche tettoniche sulla crosta terrestre, tali movimenti sono accompagnati da esplosioni di ogni tipo.
Oltre a considerare la situazione attuale, è ancora più importante analizzare la traiettoria. Dopo il crollo dell’URSS nel 1991, gli Stati Uniti sono diventati l’unica superpotenza mondiale. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’opposizione al dominio dell’imperialismo statunitense è stata pressoché nulla.
Ora la situazione appare molto diversa. L’imperialismo statunitense si è impantanato per 15 anni in due guerre non vincenti, in Iraq e in Afghanistan, con costi elevatissimi in termini di costi e di perdita di soldati.
Nell’agosto 2021 è stato costretto a un’umiliante ritirata dall’Afghanistan. Ciò ha lasciato l’opinione pubblica statunitense senza alcuna voglia di avventure militari all’estero e la classe dominante statunitense molto scettica sul dispiegamento di truppe di terra all’estero. L’imperialismo statunitense, tuttavia, non ha imparato nulla da questa esperienza.
Rifiutando di ammettere il nuovo equilibrio di forze e cercando di mantenere il proprio dominio, si è invischiato in una serie di conflitti che non può vincere. L’amministrazione Biden ha giocato un ruolo particolarmente fatale in questo senso.
La stessa posizione degli Stati Uniti come potenza globale con una presenza ovunque nel mondo è di per sé fonte di grande vulnerabilità. La necessità di sostenere i propri interessi su scala globale impone uno sforzo colossale.
Ma l’amministrazione Biden non ha imparato alcuna lezione. Ha gettato gli Stati Uniti in una guerra insensata con la Russia in Ucraina. La guerra in Ucraina rappresenta un’enorme perdita di risorse anche per il paese più ricco del mondo. Le scorte di armi americane sono state gravemente depauperate dalle richieste di Zelensky, che continuano ad aumentare anche quando la posizione militare si deteriora.
L’attuazione di sanzioni economiche ad ampio raggio da parte dell’imperialismo statunitense contro la Russia ha fallito nell’obiettivo principale di indebolire il rivale al punto da rendere impossibile il proseguimento della guerra in Ucraina.
La Russia è riuscita a evitare e superare le sanzioni, ha stretto una serie di alleanze con altri paesi, tra cui l’Arabia Saudita, l’India e altri paesi che prima coltivavano relazioni con gli Stati Uniti.
Soprattutto, è stata portata a una cooperazione economica e militare molto più stretta con la Cina. Biden ha ottenuto l’esatto contrario di ciò che si era prefissato. Ha poi combinato un pasticcio ancora più grande in Medio Oriente, dando a Netanyahu un assegno in bianco che da allora ha incassato. Di conseguenza, scoppiano continuamente nuovi conflitti e guerre.
Una vittoria russa in Ucraina provocherà onde d’urto in tutto il mondo. Metterà chiaramente in luce i limiti dell’imperialismo americano, che non è più in grado di imporre la propria volontà. Inoltre, la Russia ne uscirà con un esercito potente, collaudato nei più recenti metodi e tecniche di guerra moderna. Ciò sta provocando un’ondata di panico nei governi europei, che sono terrorizzati dal fatto che la nuova amministrazione Trump abbandonerà l’Ucraina al suo destino, lasciando che siano gli europei a pagare il conto, e solleverà persino la questione del ritiro dalla NATO.
Le nuove crisi e le nuove guerre rappresentano un problema insolubile non solo per gli Stati Uniti, ma anche per i loro alleati europei, che si trovano tutti in una posizione simile. Sembra inevitabile che Trump voglia disimpegnarsi dal pasticcio senza speranza dell’Ucraina, di cui ritiene giustamente responsabile Biden.
Non è chiaro se ordinerà o meno il ritiro degli Stati Uniti dalla NATO. Ma è indubbio che vorrà scaricare il conto di tutte queste cose sui suoi “amici” di Londra, Parigi e Berlino, aggravando così ulteriormente i problemi già gravi del capitalismo europeo.
Paralleli con l’impero romano
È giunto il momento per l’imperialismo statunitense di imboccare la china discendente che ha trascinato nella polvere la Roma imperiale? Lo dirà il tempo.
È in corso una lotta per la suddivisione del mondo tra diverse potenze imperialiste in competizione tra loro, principalmente tra gli Stati Uniti, la vecchia potenza egemone, ora in relativo declino, e la Cina, la nuova potenza dinamica in ascesa che la sfida sulla scena internazionale.
Trump è notoriamente in posizione antagonista alla Cina, che considera la minaccia più grave per gli Stati Uniti. Non ha fatto mistero della sua intenzione di imporre dazi paralizzanti sulle importazioni cinesi, che danneggeranno gravemente il tessuto del commercio mondiale, minacciando l’intero delicato edificio della globalizzazione e portando l’economia mondiale sull’orlo di una recessione profonda.
Tuttavia, non è affatto chiaro se sarà favorevole a una guerra con la Cina, che è una potenza formidabile sia dal punto di vista economico che militare.
Si potrebbe scrivere uno studio interessante che paragoni l’attuale crisi dell’imperialismo americano con il declino e la caduta dell’Impero Romano.
È vero che molti elementi diversi sono stati coinvolti in quel declino lungo e inglorioso. Ma uno dei più importanti fu il fatto che l’Impero aveva superato se stesso. Aveva raggiunto i suoi limiti e non era in grado di sostenere il colossale fardello imposto dal mantenimento del dominio imperiale. Il risultato finale fu un crollo totale.
Il relativo declino dell’imperialismo americano è evidente da tempo. Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, negli Stati Uniti era prodotto il 43% dei manufatti mondiali, il 57% dell’acciaio e l’80% delle automobili. La quota degli Stati Uniti nel commercio mondiale di manufatti passò dal 10% del 1933 al 29% del 1953. Tra il 1946 e il 1973, il reddito reale delle famiglie aumentò del 74%.
I posti di lavoro nel settore manifatturiero, che nel 1943 rappresentavano il 39% dei posti di lavoro americani, sono scesi a circa l’8% nel 2010. Un rapporto del 2020 del Bureau of Labor Statistics ha rilevato che dal 1979 l’occupazione nel settore manifatturiero “è diminuita durante ognuna delle cinque recessioni, e in ogni caso l’occupazione non ha mai recuperato completamente i livelli precedenti alla recessione”.
L’adesione ai sindacati è passata da un massimo di un terzo della forza lavoro negli anni ’50 ad appena l’11% nel 2016.
In Capitalism in America: An Economic History of the United States, Alan Greenspan e Adrian Wooldrige spiegano che:
“Dal 1900 al 1973, i salari reali negli Stati Uniti sono cresciuti a un tasso annuo di circa il 2%. Sommando gli anni, ciò significava che la retribuzione media (e di conseguenza il tenore di vita medio) raddoppiava ogni 35 anni. Nel 1973 questa tendenza si è interrotta e i salari reali medi di quelli che l’Ufficio Statistico del Lavoro degli Stati Uniti chiama lavoratori di produzione e non addetti alla supervisione hanno iniziato a diminuire. A metà degli anni ’90, il salario reale medio orario di un lavoratore di produzione era inferiore all’85% di quello del 1973.”
Un rapporto del Pew Research Center del 2018 lo conferma: “Per la maggior parte dei lavoratori statunitensi, i salari reali sono sostanzialmente stagnanti da decenni”. E come spiega un rapporto del 2023 del Dipartimento del Tesoro:
“Anche la mobilità economica intergenerazionale è diminuita: il 90% dei bambini nati negli anni ’40 guadagnava all’età di 30 anni più dei loro genitori, mentre solo la metà dei bambini nati a metà degli anni ’80 ha fatto lo stesso.”
Qui vediamo il fattore principale alla base della rabbia e del risentimento verso la classe dominante americana.
Nel 2019 c’erano già segni di una recessione all’orizzonte, ma Trump è riuscito a fare da capro espiatorio alla pandemia del Covid-19 quando l’economia è crollata.
Gli oneri imposti dal coinvolgimento dell’America in guerre estere come quella in Ucraina e in Medio Oriente rappresentano un enorme salasso che nemmeno la nazione più potente e ricca può sostenere all’infinito.
Le colossali spese militari sono state una delle principali cause dell’enorme debito che incombe minaccioso sull’economia americana. Da questo punto di vista, l’evidente riluttanza di Trump a farsi coinvolgere negli affari internazionali ha una certa logica, anche se provoca attacchi di nervosismo a Londra, Berlino, Kiev e Gerusalemme.
E ora?
I recenti eventi testimoniano un cambiamento fondamentale nella psicologia dell’opinione pubblica americana. Tutte le istituzioni della democrazia borghese si basavano sul presupposto che il divario tra ricchi e poveri potesse essere mascherato e contenuto entro limiti gestibili. Ma non è più così.
È proprio questa la ragione del crollo del centro politico. La gente non crede più a ciò che le viene detto dai giornali e dalla TV, confronta l’enorme differenza tra ciò che viene detto e ciò che accade e si rende conto che stanno spargendo un mucchio di bugie.
Non è sempre stato così. In passato, la maggior parte delle persone non prestava molta attenzione alla politica, e questo valeva anche per i lavoratori. Le conversazioni sul posto di lavoro riguardavano di solito il calcio, i film, i programmi televisivi. Si parlava raramente politica, tranne forse in occasione delle elezioni.
Ora tutto questo è cambiato. Le masse cominciano a interessarsi alla politica, perché iniziano a rendersi conto che questa influisce direttamente sulla loro vita e su quella delle loro famiglie.
Sostenendo Trump, milioni di persone dicono: “Qualsiasi cosa o persona è meglio di questo. Non possiamo fare peggio. Corriamo il rischio!”. Ora hanno deciso un’altra volta di correre questo rischio. Ma potrebbe essere l’ultima volta.
Donald Trump è ormai un uomo anziano e la Costituzione esclude che dopo il secondo mandato possa candidarsi nuovamente alla presidenza. Si presume che entrerà di nuovo alla Casa Bianca nel gennaio 2025. Nulla può fermarlo, se non un proiettile di un assassino. E questo non è da escludere, vista la reazione isterica della classe dominante. Il materiale combustibile non manca nella società americana. E non mancano individui mentalmente instabili armati di armi moderne molto efficaci.
Ma supponendo che Trump si insedi come presidente, cosa ci si può aspettare? Dovrà affrontare sfide colossali in molti campi: l’economia, la guerra in Ucraina e in Medio Oriente, le relazioni con la Cina e l’Iran e molte altre questioni.
In genere, ha fatto grandi promesse rispetto al “rendere di nuovo grande l’America”. Ma non ci sono prove che sia in grado di mantenerne qualcuna. I lavoratori americani che ripongono fiducia in lui rimarranno molto delusi.
Nel 1940, quando l’esercito tedesco entrò a Parigi, ci fu un’interessante conversazione tra un ufficiale tedesco e un ufficiale francese. Il tedesco era naturalmente gonfio di arroganza. Ma l’ufficiale francese disse semplicemente: “La ruota della storia ha girato. Girerà ancora”. E così fu.
La ruota della storia sta girando negli Stati Uniti e girerà ancora. Quando le masse avranno esplorato appieno il potenziale del trumpismo e si saranno rese conto dei suoi limiti, si volteranno in un’altra direzione. Si preparerà la strada per una massiccia oscillazione del pendolo verso sinistra.
Un capitolo nuovo e turbolento della storia americana sta per essere scritto.