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Valencia – I monarchi ricoperti di fango mentre esplode la rabbia per le morti evitabili

di Jorge Martin

A sei giorni dall’inondazione improvvisa che ha causato la morte di 214 persone, principalmente a Valencia, in molte delle zone più fortemente colpite dal fenomeno, è stata organizzata una visita ufficiale del capo dello Stato spagnolo, il re di Spagna, accompagnato da sua moglie, la regina Letizia, dal primo ministro spagnolo Pedro Sánchez e dal presidente della Comunità Valenzana Mazón. Non appena sono arrivati a Paiporta, una cittadina appena fuori Valencia, sono stati travolti dalla rabbia degli abitanti del luogo, che li hanno bersagliati di fango e li hanno cacciati via. Queste scene senza precedenti sono una chiara manifestazione della rabbia di classe che ha covato per giorni.

La monarchia spagnola è sempre stata considerata l’ultima linea di difesa dello Stato borghese. È un’istituzione che, in tempi normali, cerca di apparire al di sopra delle politiche di partito e coltiva un’immagine di vicinanza al popolo, così da poter essere impiegata come asso nella manica quando tutto il resto ha fallito. Non riesco a ricordare nessun altro momento nella storia recente nel quale il re e la regina siano stati pubblicamente e fisicamente aggrediti da una folla di gente inferocita.

 

Gli abitanti di Paiporta hanno gridato “asesinos!” (“assassini!”) in direzione dei monarchi e dei politici al loro seguito. La visita ufficiale è stata interrotta e il piano dei funzionari statali di continuare la visita nel villaggio collinare di Chiva è stato abbandonato. I residenti hanno accolto la loro decisione urlando “codardi!” quando i poliziotti, che erano venuti non per prestare soccorso e aiutare a pulire la città, ma soltanto per proteggere le autorità, li hanno lasciati nuovamente a cavarsela da soli. Cosa ha portato a questa esplosione di rabbia senza precedenti?

 

Fin dall’inizio, ha lentamente preso forma un’idea potente nella mente delle masse di Valencia e non solo: questa non è stata semplicemente una tragedia naturale causata da un fenomeno meteorologico. Molte delle morti avrebbero potuto essere evitate.

Ci sono numerosi fatti che confermano questa conclusione.

Cosa ha causato la tempesta DANA

DANA (acronimo spagnolo di “depressione isolata a quote elevate”), che ha causato le inondazioni improvvise di martedì 29 ottobre, è un fenomeno abbastanza frequente nella costa mediterranea della Spagna in questo periodo dell’anno. L’aria calda umida proveniente dal mare, riscaldato nel corso dell’estate, entra in collisione ad altitudini elevate con sacche di aria fredda che si sono distaccate dalla corrente a getto polare. Ciò conduce alla formazione di colonne di cumulonembi alte fino a dieci chilometri, che provocano precipitazioni tempestose potenti e localizzate. Queste tempeste diventano statiche, incuneandosi tra il vento di levante e le catene montuose che corrono parallele al mare, facendo sì che la pioggia cada su un unico punto.

Man mano che il riscaldamento climatico fa innalzare la temperatura media del Mediterraneo, queste tempeste DANA tendono a diventare più devastanti. Quest’anno, i livelli medi della temperatura in superficie del Mediterraneo hanno raggiunto il record di 28,9°C il 15 agosto.

Ma il cambiamento climatico è stato solo lo sfondo del disastro del 29 ottobre. C’è tutta una serie di cause più immediate, la cui responsabilità può essere attribuita direttamente al governo regionale. La destra del PP [Partido Popular, Ndt] è tradizionalmente al governo della regione, un predominio interrotto soltanto per un brevissimo periodo, allorché una coalizione di sinistra ampia vinse le elezioni. Questo partito ha forti legami con gli imprenditori locali dediti alla speculazione fondiaria e immobiliare, come anche al turismo di massa. Per un lungo periodo di tempo, si è costruito in zone a rischio idrogeologico, mettendo il profitto al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Per anni non è successo niente, finché un giorno non è giunto il disastro.

Una delle prime misure prese dal governo regionale di Carlos Mazón, quando è entrato in carica nel luglio 2023, è stata quella di approvare un pacchetto di misure di austerità e di tagli alla spesa pubblica, tra i quali rientrava lo scioglimento dell’Unità di Emergenza di Valencia, l’organismo che era stato creato per coordinare le operazioni in risposta alle emergenze.

Le allerte sono state ignorate

Sebbene i fenomeni meteorologici siano notoriamente imprevedibili, la localizzazione delle tempeste DANA può essere prevista con una discreta accuratezza. Già il 25 ottobre, l’AEMET (Associazione Spagnola di Meteorologia) aveva pubblicato un’allerta generale per la regione di Valencia. Il 28 ottobre, il giorno prima del disastro, l’AEMET aveva pubblicato un’allerta arancione per la regione, ma anche un’allerta rossa che interessava con esattezza le località che si trovavano maggiormente a rischio di inondazioni improvvise.

Il governo regionale ha ampiamente ignorato le allerte e, dopo l’accaduto, ha cercato di sostenere che l’AEMET non avesse pubblicato alcuna allerta di questo tipo. Tuttavia, basta consultare l’archivio dei bollettini AEMET, tanto che l’Università di Valencia aveva deciso di sospendere le attività il 29 ottobre in linea con le indicazioni lì contenute.

È chiaro che un fattore decisivo nella condotta del governo regionale è stata la volontà di proteggere i profitti dei capitalisti. Imporre la chiusura dei luoghi di lavoro avrebbe intaccato gli utili dei padroni per quella giornata.

Peggio ancora. A mezzogiorno del 29 ottobre, quando le piogge torrenziali stavano già flagellando le cittadine e i villaggi sulle colline, il presidente della regione Mazón ha rilasciato una dichiarazione nella quale diceva che la tempesta si sarebbe probabilmente placata entro le 6 del pomeriggio. Nessuna ulteriore indicazione è stata emessa. Alcuni dei villaggi collinari avevano accumulato più di 400 litri di pioggia al metro quadro, cioè l’equivalente della pioggia di un anno in appena poche ore. Circolavano già video di torrenti d’acqua impetuosi che inondavano le strade di Chiva, di Letur (ad Albacete) e di altre cittadine, che in alcuni casi raggiungevano i secondi piani delle case. Non bisogna essere dei meteorologi esperti per capire che quella pioggia si sarebbe fatta strada fino al mare, travolgendo qualsiasi ostacolo sul proprio cammino.

Tuttavia, più a valle, negli abitati di Horta Sud, i sobborghi meridionali di Valencia, non stava piovendo e la maggior parte delle persone continuava con la propria vita quotidiana, ignara di ciò che stava per accadere.

Solo dopo le 8 di sera il governo regionale ha finalmente deciso di inviare un’allerta ai telefoni cellulari di tutta la provincia, consigliando ai residenti di restare a casa o di spostarsi su posizioni elevate. In quel momento, migliaia di persone erano già rimaste intrappolate dalle inondazioni nelle proprie case oppure nei propri veicoli, mentre tornavano a casa dal lavoro. Molti hanno ricevuto l’allerta mentre le loro automobili venivano letteralmente trascinate via dall’impeto delle acque.

I profitti dei capitalisti contano più delle vite umane

Si sono registrati molti casi di lavoratori cui è stato ordinato di rimanere al proprio posto e a cui è stato negato il permesso di tornare a casa in anticipo. Alcuni sono poi rimasti intrappolati nei propri luoghi di lavoro (in un negozio IKEA, nello stabilimento Ford di Almussafes, nel centro commerciale Bonaire, ecc.). Altri sono stati colpiti dalle inondazioni mentre tornavano a casa e si sarebbero salvati, se solo avessero lasciato il lavoro in anticipo. Numerosi lavoratori sono rimasti intrappolati in un supermercato e sono annegati.

I furgoni delle consegne a domicilio di Mercadona, una delle più grosse catene di supermercati del paese, sono stati mandati in strada, solo per poi rimanere bloccati. Un autista di un furgone di Mercadona è stato soccorso dai pompieri in elicottero, mentre il suo veicolo veniva sommerso dall’ingrossarsi delle acque. Le immagini di questa scena sono state mandate in onda e ampiamente diffuse sui social media. Il logo di Mercadona è stato cancellato dalle immagini, per evitare situazioni imbarazzanti, ma tutti ne hanno riconosciuto l’iconico furgoncino verde.

Quella del governo non è stata solo incompetenza. Il suo comportamento disastroso è stato soprattutto motivato e aggravato dal desiderio di difendere i profitti. “I nostri morti, i vostri profitti” è lo slogan che è stato scritto sui muri in tutta la regione in seguito al disastro e che riassume con chiarezza l’intera situazione.

 

“I nostri morti, i vostri profitti”

Il numero delle persone uccise è sconcertante. Si contano 214 morti nel momento in cui scrivo. Molti temono che questa sia solo la punta dell’iceberg.

L’enorme parcheggio sotterraneo del centro commerciale Bonaire, che può ospitare circa 2mila automobili, è ancora completamente sommerso dall’acqua e le squadre di soccorritori non sono ancora riuscite ad accedervi. I piani inferiori del gigantesco centro commerciale sono sommersi anch’essi. I lavoratori del Bonaire hanno denunciato di non avere avuto il permesso di interrompere il lavoro in anticipo, quando i livelli delle acque cominciavano a crescere, e centinaia di lavoratori e clienti sono rimasti intrappolati tutta la notte, senza potere uscire. Nel cinema del centro commerciale, la direzione ha proibito in maniera insensibile ai lavoratori di nutrirsi del cibo in vendita. Persino durante una tragedia di queste proporzioni, la sete insaziabile di profitto domina le azioni dei padroni.

Con il passare dei giorni, i cadaveri hanno cominciato ad apparire sulle spiagge, trascinati fin lì dalla forza inarrestabile dell’acqua che veniva giù dalle colline. In un punto, nel torrente Barranco del Poyo, solitamente secco o dove al massimo scorre un esile ruscello, scorreva quattro volte la quantità di acqua che attraversa il fiume Ebro.

Il dato finale dei morti probabilmente aumenterà in maniera consistente. Secondo i dati ufficiali, ci sono circa 1.900 persone che sono state dichiarate disperse dai propri cari. Non tutti loro saranno morti e alcuni che sono stati rintracciati non sono ancora stati registrati, dal momento che non c’è un sistema centralizzato per farlo. Molti, sfortunatamente, non verranno mai trovati.

A questo bisogna aggiungere l’estesa distruzione delle case e delle infrastrutture della regione (strade, ferrovie, cavi elettrici, condutture idriche, strade, linee telefoniche, etc.). Decine di migliaia di persone hanno perso tutto, poiché le loro case sono completamente sommerse dal fango. Cumuli di automobili sono ammassati nelle strade, rendendo le operazione di pulizia ancora più difficili.

Il pasticcio dei soccorsi

Come se non bastasse, il governo regionale di Mazón, e adesso anche il governo nazionale dei socialisti di Sánchez, hanno completamente mandato nel caos le operazioni di soccorso e di ripulitura. In larga parte, ciò è dovuto a gretti calcoli politici su quale amministrazione (regionale o nazionale) debba avere l’autorità sulle operazioni di soccorso o addossarsi la colpa per le sue manchevolezze.

Abbiamo assistito a un lungo ritardo nel dispiegamento dell’esercito per le operazioni di soccorso. Squadre di vigili del fuoco delle province limitrofe di Valencia, dalla Catalogna, da Bilbao e persino dalla Francia, hanno offerto il proprio aiuto, solo per ricevere un rifiuto da parte del governo regionale, che ha dichiarato di disporre di sufficienti risorse per conto proprio. Eppure, gli abitanti delle zone colpite hanno potuto accertare che si trattava di una menzogna bella e buona. In alcuni dei villaggi più duramente colpiti, sei giorni dopo l’alluvione, non è stato inviato alcun mezzo pesante. Alcuni vigili del fuoco hanno protestato pubblicamente. Alla fine, quattro o cinque giorni dopo è stato permesso loro di recarsi a Valencia.

Le operazioni di soccorso versano nel caos e sono prive di un adeguato coordinamento e di un comando centrale. Un organismo di coordinamento, che includesse il governo nazionale, non è stato messo in piedi dal governo regionale se non dopo cinque giorni dal disastro. Alcune persone si trovano ancora oggi [4 novembre, Ndt], senza accesso all’acqua corrente o all’elettricità.

“Solo il popolo salva il popolo”

Come avviene in ogni disastro, il meglio della natura umana viene in superficie. Migliaia di lavoratori si sono prestati come volontari per prestare soccorso, hanno calzato gli stivali, imbracciato secchi e scope e si sono diretti nelle città colpite, cominciando a organizzarsi spontaneamente per aiutare le operazione di pulizia. Essi hanno ripulito le case della gente dal fango, rimosso gli ostacoli dalle strade, svuotato i parcheggi sotterranei e gli scantinati dall’acqua, e approvvigionato gli alluvionati di acqua, cibo e beni di prima necessità.

Un ruolo di spicco è stato giocato dai llauradors (piccoli contadini) locali, che, organizzati per mezzo del loro sindacato, hanno messo a disposizione i propri trattori e altri mezzi per aiutare a rimuovere le automobili e altri oggetti pesanti dalle strade, un lavoro che i volontari comuni non possono portare a termine.

Nel frattempo, alcuni commercianti senza vergogna hanno creato una scarsità artificiale e hanno aumentato i prezzi. La lotta di classe non è stata sospesa neanche dall’enormità delle perdite di vite umane.

Qual è stata la reazione delle autorità regionali di fronte a questa valanga di volontari? In un primo momento, hanno detto loro che non erano necessari. Peggio ancora, hanno detto che sarebbero stati un ostacolo alle operazioni di soccorso!

In seguito, facendo un passo indietro di fronte alla rabbia crescente, hanno deciso di “organizzarli”. Sabato 2 novembre, sono stati convocati alla Città delle Scienze e delle Arti alle 7 del mattino. Si sono presentate da 10mila a 15mila persone, ma le autorità erano in grado di farne salire solo un numero limitato sui bus diretti nelle zone colpite. Alcuni si sono resi conto che invece di essere inviati nelle zone abitate per aiutare i propri concittadini, sarebbero stati inviati al centro commerciale di Bonaire. Essi si sono rifiutati di andarci, dicendo che non si erano prestati come volontari per aiutare le aziende, ma per aiutare la classe operaia. Alcuni hanno passato gran parte del tempo all’interno dei bus, abbandonati lì o in attesa di essere portati da qualche parte, solo per poi essere rimandati a casa nel pomeriggio, dopo aver perso il proprio tempo.

Domenica 3 novembre, sfruttando la scusa del pericolo di ulteriori piogge, il governo regionale ha deciso di impedire ai volontari di recarsi in circa dieci località ad Horta Sud. I volontari, pieni di rabbia ma determinati, hanno sfidato il divieto a migliaia e trovando strade alternative si sono recati in quei luoghi per continuare le operazioni di soccorso.

In tutta la Spagna, nelle città, nei quartieri operai e anche nei piccoli paesi, la gente comune e le organizzazioni hanno raccolto cibo, pannolini e altri beni necessari da inviare a Valencia.

In effetti, lo Stato capitalista è stato per lo più assente oppure è arrivato con grande ritardo, ed è toccato agli abitanti del luogo e ai volontari dalle località vicine farsi carico degli sforzi titanici per dare soccorso e ripulire le zone colpite. Lo slogan che riassume questa situazione è “solo il popolo salva il popolo”, che è stato utilizzato per organizzare e coordinare i volontari da parte di organizzazioni operaie di ogni tipo.

In conseguenza di tutto ciò, si è accumulata la rabbia nei confronti delle autorità. Non solo esse vengono considerate a ragione responsabili di molte delle morti, a causa delle loro manchevolezze nell’emettere un’allerta. Ma soprattutto sono state negligenti in maniera criminale nell’organizzazione delle operazioni di soccorso.

Nei giorni successivi alla tragedia, numerose organizzazioni operaie e di sinistra hanno preso l’iniziativa di convocare una manifestazione di protesta per il 9 novembre, con uno slogan che chiede le dimissioni del presidente della regione: “Mazón dimissió!” [“Mazón dimissioni!”, Ndt].

Questo spiega la rabbia che è scoppiata, quando lo Stato capitalista ha deciso di mandare i monarchi a visitare le zone colpite per farsi fotografare. Appena il re e la regina, il primo ministro spagnolo Sánchez e il presidente della regione Mazón sono arrivati a Paiporta, la gente nelle strade, ricoperta dal fango giacché stava lavorando alla pulizia delle strade, ha cominciato a rivolgere loro insulti. Poi li ha bersagliati con il fango. “Assassini!”, “dove eravate?!”, “nessuno ci ha avvertito!”, gridava la folla infuriata. Un uomo ha offerto simbolicamente la sua pala al re Felipe VI e poi a Sanchez. Il messaggio era chiaro: cosa siete venuti a fare qui?

“Prendi una pala, non ti manca nulla!”, ha gridato con rabbia una donna alla regina Leticia. Un altro residente ha sfidato il re e la regina: “il fatto che voi siate qui significa che i mezzi pesanti non possono accedere oggi, rallentando così le operazioni”. Molti hanno dovuto contenere la propria rabbia di fronte ai reali. Altri hanno gridato: “I Borboni alla ghigliottina!”.

Quando, in un altro momento, il padrone di Mercadona, Juan Roig, si è recato in uno dei suoi supermercati, sempre per farsi scattare una foto, è stato contestato dai clienti infuriati, che lo hanno accusato di aver mandato i propri autisti con i furgoni nelle strade il giorno delle inondazioni lampo. “Sei senza vergogna. Hai mandato i tuoi lavoratori a morire.”

Una simile esplosione di rabbia non è separata dal recente sviluppo di manifestazioni di massa in tutta la Spagna, in particolare contro l’impatto del turismo di massa e sulla questione abitativa, essendo le due cose strettamente correlate. Alcuni hanno descritto la diffusione di manifestazioni di massa come l’inizio di un nuovo 15-M, alludendo al movimento di proteste di massa degli indignados nel 2011.

Quel movimento alla fine rientrò e venne incanalato nella politica parlamentare con l’ascesa di Podemos. Questo partito, che inizialmente si presentava come una sfida all’intero regime, ha gradualmente moderato il proprio linguaggio ed è diventato un partner minore in una coalizione di governo con il PSOE, finendo per gestire la crisi del capitalismo. Podemos è stato alla fine cacciato senza cerimonie dal governo, quando il PSOE ha ritenuto che non fosse più necessario come copertura di sinistra per le proprie politiche capitaliste.

Il capitalismo uccide, dobbiamo uccidere il capitalismo

I compagni dell’Organizzazione Comunista Rivoluzionaria, la sezione dell’ICR nello Stato spagnolo, si sono impegnati come volontari a Valencia. Hanno anche pubblicato un articolo, scritto da un compagno di Valencia, e una dichiarazione , che sottolineava i principali punti politici. Come essi spiegano, le persone non sono morte: sono state uccise. Uccise perché, nel sistema capitalista, il profitto privato viene prima della vita delle persone.

I compagni hanno fatto appello ad estendere e a consolidare l’organizzazione spontanea dei volontari mediante comitati di quartiere, per prendersi carico della distribuzione degli aiuti, l’organizzazione delle operazioni di pulizia, il controllo dell’ordine pubblico e il controllo dei prezzi e dei rifornimenti.

Essi spiegano anche che il prezzo di questa tragedia dovrebbe essere pagato dalla classe dominante, non dai lavoratori, attraverso l’esproprio delle assicurazioni private e la requisizione sotto controllo operaio di tutte le attrezzature necessarie per le operazioni di soccorso e pulizia. Tutte le aziende che richiedano sussidi pubblici dovrebbero essere prima di tutto costrette ad aprire i propri libri contabili. Se dovesse scoprirsi che hanno bisogno di aiuto, esse dovrebbero essere trasformate in aziende pubbliche sotto il controllo operaio.

Senza alcun dubbio, la manifestazione del 9 novembre a Valencia sarà di massa. Sono state convocate proteste di solidarietà in Catalogna e si terranno sicuramente altre iniziative simili in tutto lo Stato spagnolo. Esiste il potenziale affinché questo movimento faccia cadere come minimo il governo regionale. Ma, al di là di ciò, l’unica conseguenza logica, una volta che si è compreso che il capitalismo uccide, è che a dover essere rovesciato è l’intero sistema.

 

 

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