Crisi in Medio Oriente – Come sonnambuli verso l’abisso

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Crisi in Medio Oriente – Come sonnambuli verso l’abisso

di Alan Woods

 

Quando chi sta in alto parla di pace la gente comune sa che ci sarà la guerra.
(Bertolt Brecht)

Era un frammento di conversazione, di quelle che si ascoltano per pura coincidenza e poi non ci si pensa più. È accaduto una mattina mentre passeggiavamo lungo una spiaggia pittoresca nella località spagnola di Santander. Il sole splendeva. Il mare, che prima era stato un po’ agitato, era calmo come un lago e tutto era un’immagine di perfetta pace e tranquillità.

“Riesci a vedere quelle nuvole nere all’orizzonte?”
“No, non le vedo, dove sono?”
“Riesci a sentire il rumore del tuono in lontananza?”
“No, sento solo le onde che si infrangono a riva.”

La conversazione svanì all’improvviso, così come era iniziata, e tutto tornò tranquillo e silenzioso. Ma questa conversazione apparentemente insignificante mi fece proiettare la mente indietro nel tempo. Con l’occhio della mente vedevo altre spiagge in un’altra epoca, spiagge del mio stesso paese. Luoghi di divertimento e tranquillità, pieni di famiglie con bambini piccoli che costruiscono castelli di sabbia, spazzati via in breve tempo dalla marea in arrivo.

I bambini ridono, mangiano il gelato, giocano, e tutto sembra così naturale, così ovvio, così inevitabile, che la scena sembra congelata nel tempo per l’eternità, come se quei momenti di soddisfazione e felicità fossero destinati a durare per sempre. Ma non era affatto così. Nel giro di pochi mesi, questa pace eterna sarebbe stata spazzata via e distrutta come quei castelli di sabbia costruiti con cura.

La data di quella scena era l’estate del 1939.

Sembra che ci sia qualcosa nella psiche umana che istintivamente si allontana da ogni pensiero di violenza e infelicità. Non pensare alla politica! Non pensare al domani! Godiamoci la vita finché possiamo, perché sappiamo bene che non vivremo per sempre.

Sì, questi pensieri sono comprensibili. Eppure è sciocco credere in falsi paradisi che possono essere spazzati via in un attimo, come il castello di sabbia di un bambino.

E le nubi di tempesta che si stanno addensando rapidamente in Medio Oriente rappresentano una minaccia gravissima per la vita di milioni di persone, tra cui molti che vivono molto lontano dalle rovine fumanti di Gaza e che credono, a torto, che la tempesta non raggiungerà mai le loro coste.

La tempesta in arrivo

Mentre scrivo queste righe, il rumore dei tamburi di guerra si sente sempre più chiaramente, se solo ci si prende la briga di ascoltarlo. È come quel tuono lontano che inizialmente non si sente, ma che diventa sempre più forte con l’avvicinarsi della tempesta.

La situazione in Medio Oriente è un vero e proprio campo minato, in attesa solo di quella scintilla che lo faccia esplodere e produca qualcosa di vasto e terrificante. E gli attori di questo dramma sembrano interpretare i loro ruoli con una sorta di cieco fatalismo, incapaci di prevedere il passo successivo. Procedono con l’ineluttabilità dei movimenti dei robot che sono programmati per comportarsi in modi che non capiscono e sui quali hanno ancora meno controllo.

Come in ogni dramma, ci sono eroi e cattivi. Come in ogni guerra, le forze del Male combattono contro le forze del Bene. Ma entrambe queste forze, in apparenza ostili e che si escludono a vicenda, stanno cospirando per produrre una catastrofe di portata globale.

Il dramma non è nuovo. È vecchio di quasi un secolo. Ma l’ultimo atto, il più mortale, si è aperto quel fatidico giorno, il 7 ottobre 2023, quando le forze di Hamas hanno violato le barriere di sicurezza dietro le quali il popolo di Israele credeva erroneamente di essere al sicuro da ogni attacco.

In questo momento è del tutto superfluo soffermarsi sulla barbarie di quell’attacco, che ha inorridito l’opinione pubblica mondiale. Israele è apparso allora come una vittima, e se c’è un ruolo che i suoi circoli dirigenti sono molto esperti nel recitare, è proprio quello del vittimismo.

Tutto il mondo conosce le orribili atrocità commesse dai nazisti contro gli ebrei. Questo fornisce all’attuale Stato di Israele un pretesto già pronto per commettere ogni tipo di terribile atrocità contro altri popoli, puntando costantemente il dito in direzione dell’Olocausto, che dovrebbe fornire una giustificazione per qualsiasi cosa.

Chiunque osi criticare le azioni dello Stato israeliano oggi viene automaticamente accusato di antisemitismo. Ma questa è una cinica menzogna. Non è affatto la stessa cosa criticare i crimini dello Stato israeliano e del suo attuale governo ed essere responsabili del razzismo velenoso del pregiudizio contro il popolo ebraico in generale.

Se c’è qualcosa che è servito ad oscurare il nome di Israele e ad isolarlo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, sono proprio le azioni di Netanyahu e del suo governo dopo il 7 ottobre.

La Bibbia dice: “Occhio per occhio, dente per dente, vita per vita.” Ma quando si esaminano le azioni dello Stato israeliano, non è mai così. Non si tratta di “una vita per una vita”. La vita di un singolo cittadino israeliano viene vendicata con il sangue di centinaia e migliaia di uomini, donne e bambini palestinesi innocenti.

Il 7 ottobre, circa 1.200 persone sono state uccise e 251 sono state prese in ostaggio. Ma da allora, più di 40.130 persone sono state uccise a Gaza – la stragrande maggioranza delle quali uomini, donne e bambini innocenti.

Non si tratta di giustizia, né di vendetta, ma di una politica omicida di un popolo contro un altro popolo. Gli israeliani protestano a gran voce contro l’accusa di genocidio. Non stiamo a sottilizzare sulle parole. Ma se questo non è un genocidio, è qualcosa che vi si avvicina molto, tanto da esserne virtualmente indistinguibile.

E quale legame può esserci tra il potente Stato moderno di Israele – uno Stato mostruoso e aggressivo, armato fino ai denti con le armi di distruzione più moderne e diaboliche e pesantemente sovvenzionato dall’imperialismo statunitense – e i poveri ebrei indifesi dell’Europa orientale, spinti dalle SS dentro le camere a gas di Auschwitz e Belsen?

No! Il fatto è che qui i ruoli si sono completamente invertiti. I poveri oppressi qui non sono gli israeliani, ma i palestinesi, che in modo spietato sono stati espropriati dei propri beni e cacciati dalla loro terra, costretti a emigrare da un luogo all’altro, spinti da un nemico crudele e aggressivo. Ora sono costretti a rifugiarsi in una misera striscia di terra, priva di ogni risorsa, oppressi e perseguitati senza pietà, proprio come gli ebrei furono rinchiusi nei ghetti e perseguitati dai loro nemici “superiori”.

Oh sì, potrete protestare rispetto a come questo paragone sia ingiusto. Protestate quanto volete. Ma i fatti del caso parlano da soli. E i fatti sono ostinati.

La tragedia di Gaza

Non è necessario elencare qui le atrocità spaventose che sono state commesse, e vengono commesse quotidianamente, dalle forze di Israele contro la popolazione di Gaza. I fatti sono troppo noti e non richiedono ulteriori approfondimenti.

Limitiamoci all’ultima triste statistica. Dall’inizio del barbaro assalto al proprio popolo, più di 40mila palestinesi sono stati uccisi a Gaza, secondo il locale ministero della Sanità. Ma la cifra reale sarebbe molto, molto più alta, dal momento che un numero imprecisato di vittime sono ancora sepolte sotto le macerie delle loro case.

Naturalmente, il mondo ha assistito a molti casi orribili di atti di guerra disumani perpetrati dall’imperialismo contro le popolazioni dei paesi poveri. Il caso dello Yemen è solo l’esempio più recente, dove il regime saudita, apertamente sostenuto e armato dai governi dei cosiddetti Stati occidentali democratici e civilizzati, ha deliberatamente perseguito una politica di bombardamenti e di affamamento della popolazione di quell’infelice paese fino a ridurla a uno stato di sottomissione. E i media occidentali, tipicamente, hanno mantenuto un silenzio ipocrita e complice su questa spaventosa barbarie.

Ma c’è qualcosa di particolarmente disgustoso nel trattamento crudele della popolazione di Gaza. Quale precedente può esserci per una popolazione di circa 2,23 milioni di persone (prima della guerra) che viene segregata con la forza in una minuscola striscia di terra, della stessa superficie di Las Vegas, dove viene privata di tutte le necessità basilari di vita – cibo, alloggio, medicine, persino l’acqua stessa? Quello che mi viene in mente è proprio il ghetto di Varsavia.

Migliaia di persone indifese sono sottoposte a un bombardamento costante e spietato che non fa distinzione tra obiettivi civili e militari, ma continua il suo lavoro di macelleria umana, giorno e notte, senza sosta, senza risparmiare niente e nessuno. Persino coloro che cercano di fornire assistenza alla popolazione traumatizzata e affamata sono considerati bersagli legittimi da parte delle forze israeliane.

Le scene di devastazione, morte e distruzione a Gaza sono una costante fonte di provocazione per le masse, non solo nel mondo arabo, dove stanno scendendo in piazza in protesta, ma anche per i cittadini di tutti i paesi del mondo, compresi gli stessi Stati Uniti.

L’obiettivo dichiarato del regime israeliano doveva essere la distruzione di Hamas. Senza dubbio, gli sono stati inflitti danni considerevoli, anche se con costi terribili per la popolazione civile. Eppure, a dieci mesi dal suo inizio, la campagna militare di Israele non sta andando come ci si aspettava.

Gli ostaggi non sono stati liberati e Hamas continua a esistere e a opporre resistenza. Per ogni combattente ucciso, può contare su un ricambio costante di nuove reclute dalla gioventù arrabbiata di Gaza, piena di odio per gli aggressori e determinata a vendicarsi.

Lungi dal rendere Israele un luogo più sicuro, la guerra di Netanyahu contro la popolazione di Gaza lo ha reso mille volte più insicuro e vulnerabile. In Israele cresce il malcontento nei confronti del governo, accusato di aver prolungato la guerra e di non essere riuscito a garantire il rilascio degli ostaggi.

Le proteste in Israele stanno crescendo, con decine di migliaia di persone che chiedono elezioni anticipate, dove Netanyahu verrebbe certamente sconfitto e potrebbe in seguito venire processato. Ma, lungi dall’indurre Netanyahu a cedere, ciò ha avuto esattamente l’effetto opposto. È più che mai determinato a continuare la guerra, e persino ad allargarla a un conflitto ancora più distruttivo e pericoloso, che coinvolga l’intera regione.

Il programma di Netanyahu

Si sente spesso dire che “Netanyahu è in una posizione più difficile, perché se c’è un accordo, c’è una buona possibilità che perda la sua coalizione”. È vero che gli alleati di estrema destra di Netanyahu hanno giurato di ritirarsi dal governo se, ad esempio, accettasse di rilasciare un gran numero di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane in cambio degli ostaggi.

Ma questa è una spiegazione che non spiega nulla. In realtà, Netanyahu non ha bisogno di puntare il dito contro i suoi partner di coalizione per giustificare le sue azioni. Non è la cosiddetta “estrema destra” a dettare le politiche del governo israeliano, ma Netanyahu stesso.

Da qualunque parte si guardi, la sua base di sostenitori si sta erodendo. Poter garantire da solo la sicurezza di Israele era il suo vanto, ma è stato smascherato dagli eventi del 7 ottobre. La guerra a Gaza non ha prodotto i risultati sperati e ha provocato un malcontento massiccio e crescente all’interno di Israele.

Netanyahu è un politico cinico e duro, con un passato fatto di manovre senza principi e anche di corruzione. Sa benissimo che se la guerra a Gaza finisse, perderebbe il potere e si troverebbe ad affrontare una sentenza di condanna. La prospettiva di porre fine alla sua carriera politica non è, naturalmente, particolarmente allettante per lui. La probabilità di un lungo soggiorno in una cella israeliana è una prospettiva ancora meno invitante.

La sua unica speranza di salvare qualcosa della sua reputazione è quella di presentarsi come un leader forte, un leader di guerra. Ma, per definizione, un leader di guerra deve avere una guerra da portare avanti. Da questa equazione non molto complicata, l’unica deduzione possibile diventa subito chiara.

Le manifestazioni di massa del malcontento popolare in Israele sono una fonte di irritazione costante, ma insufficiente a costringerlo a cambiare rotta. Le manifestazioni di massa nelle strade di Londra e New York possono essere motivo di preoccupazione per i politici di quei paesi, ma è un problema esclusivamente loro e non interessa al primo ministro israeliano.

Non importa quanti discorsi, suppliche, incoraggiamenti o persino minacce (che Netanyahu sa essere assolutamente prive di contenuto) gli americani possano produrre, non farà la minima differenza. Netanyahu ha bisogno della guerra come dell’aria per respirare. E non si farà distrarre dal percorso fatale che ha scelto.

Ma la domanda sorge spontanea: quale guerra? La guerra a Gaza, come abbiamo visto, è ormai irrimediabilmente impantanata. Avendo raso al suolo l’intero territorio, l’esercito israeliano è rimasto senza obiettivi validi. Persino alcuni generali hanno espresso la loro insoddisfazione per la situazione.

Bibi deve quindi pensare a qualcos’altro. Deve convincere il popolo israeliano che si trova di fronte a una minaccia esistenziale da parte di potenti nemici esterni, e che questi nemici devono essere affrontati con la forza, poiché questo è l’unico linguaggio che capiscono.

Ciò di cui ha veramente bisogno è il coinvolgimento diretto dell’esercito statunitense in uno scontro più ampio nella regione, che costringa gli Stati Uniti e tutti i loro alleati a schierarsi apertamente con Israele. A tal fine, Netanyahu è determinato a provocare un conflitto regionale che costringa gli Stati Uniti a partecipare direttamente al fianco di Israele.

Il nemico che ha scelto di affrontare non è altro che l’Iran.

Israele provoca l’Iran

Gli israeliani hanno immediatamente avviato un programma di provocazione sistematica, volto a spingere l’Iran in guerra. Il primo aprile, un attacco israeliano alla sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco ha ucciso sette iraniani, tra cui due alti comandanti.

Immediatamente, come in un coro ben preparato in anticipo, gli alleati dell’America hanno esercitato pressioni sull’Iran affinché esercitasse “moderazione”. Non è strano che sia sempre l’Iran a essere invitato alla “moderazione”, e mai Israele? Eppure, è proprio a Israele che dovrebbero essere rivolti tali consigli.

L’Iran ha infatti mostrato una notevole moderazione di fronte a una serie di palesi provocazioni da parte di Israele. Per questo motivo, ad aprile, ha calibrato attentamente la sua reazione a quella che era una provocazione palese da parte di Israele, volta a ottenere proprio questo risultato.

Quando, il 13 aprile, l’Iran ha lanciato un attacco contro Israele con oltre 300 droni e missili, si è assicurato che gli americani (e anche gli israeliani) fossero avvertiti in anticipo di questo attacco, limitato a obiettivi determinati.

Questo, da qualsiasi punto di vista, è ciò che viene definito “moderazione”. Ma qual è stato il risultato? La moderazione dell’Iran è stata immediatamente dipinta dalla stampa occidentale come un segno di debolezza. Lungi dal dissuadere gli israeliani, questi ultimi si sono sentiti incoraggiati a lanciare provocazioni ulteriori, e ancora più evidenti.

E non è strano che non ci sia stata alcuna condanna dell’assassinio del leader politico di Hamas, avvenuto a Teheran, da parte di Israele? L’assassinio del leader di Hamas Ismail Haniyeh nella capitale di un paese straniero il 31 luglio è stato un atto di guerra. Eppure è stato accolto da un silenzio assordante in Occidente.

Non ci sono state risoluzioni dell’ONU, non si è parlato di sanzioni contro Israele, niente di niente! Eppure sono gli israeliani, non gli iraniani, ad essere colpevoli di continui atti di aggressione provocatoria, calcolati precisamente per infiammare la situazione e creare le condizioni per una guerra totale. Eppure questo fatto non viene mai menzionato dalla nostra “stampa libera”.

Al contrario, è l’Iran a essere dipinto come aggressore e Israele come vittima. Il macellaio, il cui coltello è ancora sporco del sangue della sua vittima, viene dipinto come la vittima, mentre l’agnello viene raffigurato come un aggressore malvagio che si è chiaramente procurato il taglio della propria gola per mezzo del suo belare persistente e non richiesto!

No, signori! Gli iraniani non sono gli aggressori in questo dramma. Non vogliono essere spinti in una guerra con gli Stati Uniti. Né tale guerra potrebbe essere lontanamente nel loro interesse.

Il ruolo dell’America

Netanyahu è determinato a trascinare l’America nella sua guerra contro l’Iran e le attuali azioni degli americani indicano chiaramente che i suoi calcoli sono del tutto razionali. Qual è stata la reazione di Washington a questi eventi?

La reazione di Joe Biden agli eventi del 7 ottobre è stata del tutto prevedibile: è saltato immediatamente su un aereo ed è volato in Israele, dove ha abbracciato pubblicamente Netanyahu, promettendogli un sostegno illimitato contro Hamas. In pratica, gli ha dato un assegno in bianco: una politica molto sciocca, di cui Washington ha dovuto pagare il conto.

Non contento di aver commesso un errore diplomatico, Biden si è affrettato a ripeterlo subito dopo essere venuto a conoscenza dello scontro con l’Iran. Si è affrettato a rilasciare una dichiarazione in cui affermava che: “Il nostro impegno per la sicurezza di Israele contro le minacce dell’Iran e dei suoi alleati è ferreo.”

È stato emesso un altro assegno in bianco a Netanyahu, che se lo è messo tranquillamente in tasca, con l’intenzione di incassarlo per intero – cosa che ha fatto. E Joe Biden è stato ora costretto a saldarlo, per intero.

Il massacro di civili a Gaza ha seriamente danneggiato le chances elettorali di Biden, erodendo il suo sostegno nei principali collegi elettorali. Il suo sostegno generalizzato a Israele e il suo rifiuto ostinato di chiedere un cessate il fuoco permanente a Gaza hanno alienato i voti degli elettori musulmani e dei giovani.

Divisioni profonde esistono anche all’interno del Partito Democratico. L’amministrazione statunitense è divisa tra coloro che vorrebbero “affrontare l’Iran” e non vedono l’ora di sferrare un attacco, e altri che non hanno perso del tutto la testa e temono giustamente le conseguenze di un’azione simile.

La crisi in Medio Oriente minaccia ora di mettere seriamente in crisi il carrozzone elettorale di Kamala Harris. Ciò pone l’amministrazione di fronte a un problema insolubile. Come far quadrare il cerchio?

Da un lato, l’amministrazione (Harris compresa) continua a garantire un sostegno incondizionato a Israele. Dall’altro, cerca disperatamente di evitare l’esplosione di una nuova conflagrazione, con il rischio che gli Stati Uniti siano direttamente coinvolti.

Una guerra generalizzata in Medio Oriente avrebbe effetti catastrofici sull’economia mondiale (e statunitense), già minacciata da una recessione economica. Inoltre, gli Stati Uniti hanno basi militari in molti paesi del Medio Oriente che sarebbero esposte agli attacchi, così come lo sono i loro numerosi interessi economici e commerciali.

È quindi un azzardo estremamente rischioso per gli Stati Uniti essere coinvolti in un conflitto regionale più ampio in Medio Oriente. Per i Democratici, sarebbe un disastro senza precedenti. Farebbe immediatamente naufragare la campagna per rafforzare l’immagine di Kamala Harris in vista delle elezioni presidenziali di novembre.

Questo spiega la reazione di panico all’attuale crisi da parte di Washington.

“Negoziati”

Nel disperato tentativo di evitare – o almeno rimandare – una conflagrazione in Medio Oriente, Washington ha fatto pressione su Israele, Egitto, Qatar e Hamas affinché partecipassero ai negoziati per definire i termini di un cessate il fuoco a Gaza.

L’iniziativa è stata soprattutto di Joe Biden, ormai seriamente impaurito dalla prospettiva di perdere le elezioni presidenziali di novembre contro Donald Trump. Se i negoziati avessero avuto successo, Biden sperava di mettere a tacere i suoi critici nel Partito Democratico e nei campus statunitensi e di ricevere un aiuto nella corsa alla presidenza.

Il 31 maggio, Biden ha annunciato una bozza di piano per il cessate il fuoco a Gaza. Questo è stato accettato da Hamas. Ma per Netanyahu la manipolazione e la distruzione dei negoziati si è trasformata in un’arte raffinata. Le sue tattiche sono sempre le stesse. Prima rilascia dichiarazioni fuorvianti, lasciando intendere con forza di aver raggiunto un accordo, ma all’ultimo momento mette i bastoni tra le ruote all’intera procedura, sollevando ogni sorta di nuove questioni che sa che ne garantiranno il fallimento.

Ci sono tutte le ragioni per credere che questa volta non sarà diverso. Non sembra credibile che Israele sia seriamente intenzionato a risolvere la crisi umanitaria a Gaza, mentre allo stesso tempo causa deliberatamente un peggioramento della situazione umanitaria con la sua continua attività militare.

Anche quando Netanyahu era impegnato in un colloquio riservato con Blinken nel suo ufficio di Tel Aviv, Israele ha dichiarato che i suoi aerei e le sue truppe hanno “eliminato decine di terroristi” nel corso della giornata precedente, distruggendo compound di Hamas e una rete di tunnel in cui sono stati trovati razzi e missili.

I media palestinesi hanno riferito che lunedì scorso sei persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano vicino a un Internet point nei pressi della città meridionale di Khan Younis, e che altre quattro sono state uccise in un attacco a un’auto a Gaza City, nel nord. E la violenza omicida dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania continua senza sosta.

Le bugie di Blinken

Gli americani hanno inviato il loro capo negoziatore, il Segretario di Stato Anthony Blinken, per cercare di salvare i cosiddetti colloqui di pace. Blinken ha avvertito che potrebbe essere “forse l’ultima opportunità” per raggiungere un accordo per il cessate il fuoco.

Ora, se gli americani volessero seriamente costringere Israele ad accettare un cessate il fuoco a Gaza, potrebbero farlo abbastanza facilmente. L’America sta finanziando e rifornendo la sua campagna genocida nella Striscia di Gaza. Sovvenziona Israele con qualcosa come 20 miliardi di dollari.

Senza questo sostegno, Israele non sarebbe in grado di continuare la guerra nemmeno per un altro giorno. Se Washington volesse porre fine alla guerra, potrebbe farlo lanciando un severo avvertimento a Israele, dichiarando di tagliare immediatamente tutti gli aiuti a meno che non accetti il cessate il fuoco.

Ma questo avvertimento non è stato lanciato. Né lo sarà. Netanyahu lo sa bene e può quindi permettersi di farsi beffe della commedia diplomatica che si sta svolgendo a suo vantaggio.

Tutte le dichiarazioni effettuate da americani e israeliani sono generosamente addolcite con il linguaggio diplomatico più conciliante: “i segnali sono promettenti”, “la differenza tra le due parti si è ridotta”, “la possibilità di un accordo non è mai stata migliore o più vicina”. E così via.

Naturalmente, la prima tappa di Blinken è stata Tel Aviv, dove ha incontrato Netanyahu, con il quale ha discusso per tre ore. Di cosa hanno parlato? Non lo sappiamo con certezza, poiché l’intera vicenda è stata avvolta da una fitta cappa di segretezza. Ma possiamo azzardare un’ipotesi.

Blinken ha proposto un cessate il fuoco. Netanyahu lo ha informato a un certo punto che, pur essendo ovviamente disposto ad ascoltare qualsiasi proposta ragionevole, aveva alcuni suggerimenti utili, che sperava sarebbero stati discussi nei futuri negoziati fino al raggiungimento di un accordo completo su tutte le questioni controverse.

Il Segretario di Stato era ben consapevole che Hamas aveva chiarito di essere disposto a sottoscrivere le proposte originali avanzate dal Presidente Biden alla fine di maggio, ma che non era possibile mettere sul tavolo altre proposte. Ciononostante, ha ascoltato in silenzio il primo ministro israeliano, come uno scolaretto timido che ascolta una severa lezione del maestro.

Al termine di questa piacevole conversazione, è stato raggiunto un pieno accordo tra il rappresentante degli Stati Uniti e il governo israeliano. In altre parole, il primo ha ingoiato tutto ciò che è stato proposto dal secondo, mentre il secondo non si è nemmeno preoccupato di ascoltare ciò che è stato detto dal primo.

Il 19 agosto, Blinken ha annunciato che Netanyahu ha accettato quella che ha definito una “proposta ponte” americana per un accordo di cessate il fuoco a Gaza. Ora spetta ad Hamas accettare, ha aggiunto Blinken, sperando che lo faccia senza protestare. In caso contrario, l’implicazione era molto chiara: Hamas, e nessun altro, sarebbe stato responsabile del fallimento dei negoziati.

Stranamente, il Segretario di Stato non ha mai rivelato il contenuto effettivo del suo accordo “ponte” con Netanyahu. Chiaramente, questo ponte ammette che il traffico proceda solo in una direzione! Netanyahu avrebbe detto a Blinken che “intendeva inviare una squadra di negoziatori al Cairo nel corso di questa settimana per un nuovo ciclo di colloqui” con mediatori egiziani, qatarioti e statunitensi.

Queste parole suonano estremamente sospette. Per cominciare, abbiamo solo la parola di Blinken sul fatto che Netanyahu abbia accettato qualcosa. Il primo ministro israeliano è rimasto in silenzio tombale sull’argomento.

Le intenzioni di Netanyahu sono perfettamente chiare. Introducendo costantemente nuovi elementi nei negoziati, intende farli slittare all’infinito o, meglio ancora, provocarne il fallimento per poi incolpare Hamas per una sua presunta intransigenza. Ma il fatto evidente è che l’accordo è stato bloccato non da Hamas, ma da Israele.

Hamas ha accusato Israele di aver avanzato nuove richieste e ha detto che il tempo dei negoziati è finito. Ha detto di essere pronto ad attuare i termini concordati il mese scorso. È proprio così. Benjamin Netanyahu inventa continuamente nuove “linee rosse”, tra cui quella di dare a Israele il diritto di ricominciare la guerra.

Insiste sul fatto che le forze israeliane devono rimanere al confine di Gaza con l’Egitto, per impedire ai gruppi armati di contrabbandare armi. In realtà, ciò equivarrebbe a una continuazione dell’occupazione israeliana di Gaza, cosa chiaramente inaccettabile per Hamas.

Netanyahu si sente estremamente sicuro di ottenere il sostegno degli Stati Uniti, perché lo ha già avuto in precedenza. Sa che la potente lobby filo-israeliana negli Stati Uniti costringerà sempre chiunque nei ministeri a sostenere Israele, a prescindere dalle conseguenze.

Se le conseguenze non fossero così gravi, il tutto sarebbe stato comico. Questa è la miserabile farsa che oggi viene spacciata per diplomazia! E le conseguenze ora sono davvero molto gravi.

La risposta dell’Iran

L’assassinio di Ismail Haniyeh è stato un punto di svolta. Ha immediatamente messo a nudo le reali intenzioni del governo israeliano. Se credevano davvero nei negoziati, perché hanno ordinato l’assassinio di Haniyeh? Inoltre, l’omicidio è stato deliberatamente programmato per coincidere con l’insediamento del nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian – un’azione evidentemente pianificata per causare la massima umiliazione all’Iran.

Haniyeh era stato il principale negoziatore di Hamas nei colloqui per il cessate il fuoco. Era generalmente considerato un moderato. È difficilmente credibile che una parte in un negoziato ordini tranquillamente l’omicidio del principale rappresentante dell’altra parte e continui a negoziare, come se nulla fosse.

Gli iraniani hanno prevedibilmente reagito all’assassinio di Ismail Haniyeh con furia. E ancora una volta, tutti gli sforzi della diplomazia occidentale sono stati indirizzati ad esercitare pressioni sull’Iran affinché “moderasse la sua posizione”, cioè non facesse nulla di fronte a un atto di aggressione estremamente feroce. Non una sola parola è stata rivolta contro Israele, l’autore di quell’atto di aggressione.

Gli “alleati” dell’America (cioè i servili lacchè) si sono messi obbedientemente sull’attenti. I leader di Francia, Germania e Gran Bretagna hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, diretta non a Israele, ma a Teheran, ordinando di astenersi da qualsiasi attacco di rappresaglia “che potrebbe ulteriormente aggravare le tensioni regionali”. Sull’evento che ha effettivamente causato tali tensioni – l’uccisione di Haniyeh e di un leader di Hezbollah a Beirut – non una sola parola!

Questa dichiarazione è stata preparata in termini destinati a far infuriare ulteriormente gli iraniani. Il primo ministro laburista britannico Keir Starmer e il cancelliere tedesco Olaf Scholz hanno telefonato al presidente Pezeshkian, invitandolo a fare tutto il possibile per evitare un’ulteriore escalation militare.

Starmer ha esortato il presidente iraniano a “ritirare le sue continue minacce di attacco militare”. L’insolenza arrogante di questi signori è davvero incredibile. Immaginate se gli iraniani avessero lanciato un attacco missilistico per uccidere un dignitario straniero in visita a Londra lo stesso giorno dell’incoronazione!

Pezeshkian ha detto a Sir Keir che è stato il sostegno dei paesi occidentali a Israele a incoraggiarlo a continuare con le sue atrocità, e che è questo comportamento a minacciare la pace e la sicurezza nella regione.

“Pezeshkian ha affermato che, dal punto di vista della Repubblica Islamica dell’Iran, la guerra in qualsiasi parte del mondo non è nell’interesse di nessun paese. Ha sottolineato correttamente che una risposta punitiva a un aggressore è un diritto legale degli Stati e un modo per fermare il crimine e l’aggressione”, ed è effettivamente così.
L’attacco israeliano non è stato né più né meno che un atto di guerra e ha giustificato una risposta ferma. Ricordiamo la fretta indecente con cui America, Gran Bretagna, Germania e Francia si sono subito affrettate a proclamare il “diritto di difendersi” di Israele dopo l’attacco del 7 ottobre.

A quanto pare, Israele ha il diritto di difendersi con i mezzi più criminali in ogni momento e in ogni circostanza. Ma gli Stati che vengono attaccati da Israele non hanno alcun diritto, se non quello di mettersi a braccia conserte, sorridere e non fare nulla, aprendo così le porte alla prossima aggressione israeliana.

Naturalmente, il ministero degli Esteri iraniano ha respinto l’appello alla moderazione di Londra, Parigi e Berlino con il disprezzo che merita. “Tali richieste sono prive di logica politica, eccessive e in completa contraddizione con i principi e le regole del diritto internazionale”, ha dichiarato il portavoce Nasser Kaanani.

Senza dubbio a Teheran ci sono opinioni diverse sul modo migliore di rispondere a questa aggressione. Contrariamente alle continue affermazioni dei media occidentali, secondo cui l’Iran sarebbe la principale minaccia alla pace in Medio Oriente, gli iraniani non hanno assolutamente interesse a una guerra con Israele, e ancor meno con gli Stati Uniti.

In occasioni precedenti hanno ascoltato le richieste di moderazione. Hanno dato prova di equilibio, come abbiamo visto. E dove li ha portati tutto questo? Ha semplicemente incoraggiato gli israeliani a lanciare ulteriori attacchi. Pertanto, hanno tratto l’inevitabile conclusione che la moderazione e l’equilibrio di fronte a un’aggressione incontrollata non sono solo inutili, ma anche controproducenti.

L’unica cosa che potrebbe convincere gli iraniani a non lanciare un attacco contro Israele sarebbe il successo dei negoziati per un cessate il fuoco a Gaza. Ma poiché tale risultato è contrario alle intenzioni di Netanyahu, è difficile che si possa realizzare.

Ripetiamo: Netanyahu è intenzionato a scatenare una guerra con l’Iran che si allargherà a una guerra più ampia in tutta la regione, trascinando altre potenze, compresi gli Stati Uniti d’America. Questo è il suo obiettivo e non si farà distogliere da niente e nessuno.

Gli iraniani faranno i loro calcoli e prima o poi passeranno all’azione. Ma questa volta non ci sarà nessun ostacolo e nessun preavviso.

Come l’America vuole “allentare le tensioni”

Mentre l’America e i suoi alleati predicano moderazione ed equilibrio a Teheran, non fanno nulla per trattenere gli amici di Gerusalemme dalle loro azioni aggressive o dal massacro continuo della popolazione di Gaza.

E mentre fanno appello agli iraniani affinché non facciano nulla che possa portare a un’ulteriore escalation, che inevitabilmente sfocerà in un conflitto armato, essi stessi si armano fino ai denti e spediscono grandi quantità di armi in Medio Oriente. Questo equivale a gettare benzina sul fuoco, che stava già divampando senza il loro aiuto.

Gli Stati Uniti hanno avvertito che si stanno preparando per “una serie significativa di attacchi” da parte dell’Iran o dei suoi alleati già questa settimana e hanno aumentato la loro presenza militare in Medio Oriente per “aiutare a difendere Israele”. Sorpresa, sorpresa! Ormai conosciamo il ritornello. E ne conosciamo anche le parole.

Gli Stati Uniti hanno immediatamente annunciato di aver ordinato il dispiegamento in Medio Oriente della USS Georgia, un sottomarino lanciamissili a propulsione nucleare.

Le forze armate statunitensi hanno anche dato istruzioni al gruppo d’assalto della portaerei USS Abraham Lincoln di dirigersi verso l’area, mentre il gruppo d’assalto della portaerei USS Theodore Roosevelt si trova nel Golfo di Oman. Altri jet da combattimento F-22 sono giunti nella regione, mentre la USS Wasp, una grande nave da assalto anfibia che trasporta jet da combattimento F-35, si trova nel Mar Mediterraneo.

E questo è ciò che Washington definisce “evitare l’escalation”! È impossibile pensare a una provocazione più palese contro gli iraniani, che invece dovrebbero starsene tranquilli a braccia conserte.

Inoltre, gli israeliani hanno recentemente annunciato che alcuni degli alleati più stretti dell’America (leggi, “fantocci”) dovrebbero unirsi ai combattimenti al fianco di Israele, una volta scoppiata la guerra. Questa dichiarazione è stata frettolosamente cancellata dal web, ma per quanto ricordo, include la Gran Bretagna e la Francia.

Tutto questo, ovviamente, sarà una novità per i cittadini di Gran Bretagna e Francia che, come il resto del mondo, sono tenuti completamente all’oscuro dei piani dei guerrafondai.

Il rischio di un allargamento della guerra

Il Libano ha ottime ragioni per non entrare in guerra. La sua economia è già fragile. Si è a malapena ripreso dalla guerra con Israele del 2006 e un nuovo conflitto su larga scala avrebbe un impatto devastante sulle infrastrutture del paese e sulla sua popolazione.

Tuttavia, la minaccia immediata è lo scoppio di una guerra tra Israele e Libano. In realtà, i due Stati sono già in guerra. Le schermaglie quotidiane sul confine, tra le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e Hezbollah, la milizia sciita sostenuta dall’Iran, hanno già causato centinaia di morti, soprattutto in Libano.

Più di 60mila israeliani sono stati costretti ad abbandonare le loro case e i loro beni nel nord e un numero ancora maggiore di persone sul lato libanese. La pressione interna sta aumentando affinché il governo israeliano “affronti” Hezbollah, spingendo le sue forze a nord del fiume Litani in Libano, da dove avrebbero meno possibilità di inviare razzi verso Israele.

Hezbollah, da parte sua, risponderebbe probabilmente a un attacco e a un’invasione israeliana con una massiccia e prolungata raffica di missili, droni e razzi che potrebbe potenzialmente travolgere le difese aeree Iron Dome di Israele. E nessun luogo di Israele è fuori dalla sua portata.

A questo punto, la Marina statunitense, posizionata al largo, si schiererà quasi certamente dalla parte di Israele. E l’Iran verrebbe inevitabilmente coinvolto nel conflitto. Costituisce una forza formidabile con cui fare i conti. Dispone di un notevole arsenale di missili balistici e una rete di milizie alleate in Iraq, Yemen e Siria che potrebbero essere mobilitate per intensificare gli attacchi contro Israele.

Abbasso i guerrafondai!

C’è un’altra dimensione in questa già complicata equazione, che raramente, se non mai, viene commentata dai media occidentali. Nelle ultime settimane, funzionari russi sono stati impegnati in discussioni con l’Iran.

La Russia rimane uno dei pochi fornitori internazionali di armamenti avanzati disposti a fare affari con l’Iran. E i russi, nella loro guerra contro l’Ucraina, hanno usato droni di fabbricazione iraniana che trasportano bombe.

Il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo, Sergei Shoigu, ha recentemente visitato Teheran. Senza dubbio questa visita era stata programmata da tempo. Ma date le circostanze, l’assassinio di Haniyeh era “impossibile da aggirare”.

Inevitabilmente, i colloqui con il governo iraniano avranno affrontato molte più questioni, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione militare tra Teheran e Mosca. La cooperazione tra i due Stati è aumentata notevolmente nell’ultimo periodo. Ciò ha serie implicazioni per un eventuale conflitto nella regione.

Da parte sua, anche la Cina ha aumentato silenziosamente la propria influenza in Medio Oriente. L’anno scorso, i cinesi hanno fatto da mediatori a un accordo tra Iran e Arabia Saudita che ha visto i paesi raggiungere una distensione, facendo di fatto naufragare i piani di Washington per un riavvicinamento tra Arabia Saudita e Israele.

A luglio la Cina, sempre con estremo disappunto di Washington, ha ospitato la firma di un accordo tra Hamas e Fatah, la principale forza dell’Autorità palestinese sostenuta dagli Stati Uniti nella Cisgiordania occupata. La Cina ha anche inasprito la sua posizione nei confronti di Israele, criticandolo apertamente per la sua condotta di guerra, invece di seguire il suo tipico schema di invito alla moderazione da parte di tutti.

Ma il tempo della moderazione sta passando rapidamente. E in qualsiasi conflitto futuro, anche la Cina avrà un ruolo da svolgere. Tutti questi elementi si stanno combinando per produrre un cocktail estremamente esplosivo. E una volta iniziato, è difficile prevedere come finirà.

Milioni di persone in Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Stati Uniti vivono in uno stato di beata ignoranza, mentre le nubi oscure della guerra si addensano sul Medio Oriente. Gli effetti di un conflitto più ampio si faranno sentire in molti paesi lontani dall’immediato teatro d’azione.

Sono le politiche criminali dell’imperialismo – in particolare dell’imperialismo statunitense, la forza più feroce e controrivoluzionaria del pianeta – a trascinare il mondo intero su una strada che può portare solo a distruzione, sofferenza e morte di massa per milioni di persone.

Un ruolo criminale è svolto dalla cosiddetta “stampa libera”, che mente, manipola i fatti e nasconde in modo sistematico alla conoscenza dell’opinione pubblica importanti sviluppi. In questo modo, la lotta contro la guerra e il militarismo viene soffocata da una fitta nube di ignoranza e disinformazione.

Ma il ruolo peggiore di tutti è svolto dalla cosiddetta “sinistra”, che ha perso ogni traccia di coscienza di classe o di spirito combattivo e ha svolto un ruolo desolante, mettendosi costantemente a rimorchio dei leader riformisti di destra come Starmer, che da tempo hanno venduto l’anima al diavolo e sono saliti sul carro dei guerrafondai imperialisti.

È giunto il momento di lanciare l’allarme!

Basta con le avventure all’estero!

Lottiamo contro i guerrafondai!

Abbasso la NATO e l’imperialismo americano!

Basta armi o aiuti a Netanyahu o a Zelensky!

Il vero nemico è in casa propria!

Lavoratori di tutto il mondo, unitevi!

 

 

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