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La decisione da parte della giunta DiPiazza di procedere alla privatizzazione del nuovo asilo nido in costruzione nel rione di Roiano è stata giustamente accompagnata da un’ondata di indignazione che ha coinvolto molti cittadini ma in primo luogo le lavoratrici e i lavoratori dei servizi educativi comunali, scesi immediatamente sul piede di guerra.
La rabbia è diffusa: le educatrici sanno sulla propria pelle cosa significa gestione privata nel campo dei servizi educativi. Moltissime lavoratrici, sia di ruolo che in graduatoria, provengono (o meglio: fuggono) dal settore dei nidi privati, che in Regione gode di importanti sovvenzioni pubbliche. Turni di lavoro massacranti, bassi salari, malattie e ferie non corrisposte, mansioni non previste: è questa la quotidianità per moltissimi lavoratori del settore privato.
La decisione della giunta di affidare ad una cooperativa 33 dei 66 posti previsti per il nuovo nido è l’incubo che queste condizioni di lavoro possano riproporsi anche nel pubblico e che questo sia solamente il primo passo per una più vasta privatizzazione del settore, con conseguenze sulla qualità del lavoro e quindi del servizio offerto.
L’agitazione sindacale vista finora è stata significativa: tutte le sigle sindacali hanno sostenuto la protesta in forma unitaria e i 2 presidi finora organizzati hanno richiamato alcune centinaia di lavoratrici e cittadini. In particolare nel corso del primo presidio (29/04) la rabbia tra le lavoratrici era palpabile ed è esplosa quando l’assessore competente è sceso per spiegare le “ragioni” di una scelta che è stata accolta da fischi, urla ed insulti.
Ma come incanalare questa rabbia e trasformarla in un percorso di lotta in grado di costringere la giunta a fare un passo indietro?
La strategia sindacale finora è stata gravemente insufficiente. L’unità di facciata tra CGIL, CISL, UIL e UGL nasconde infatti importanti divergenze sul piano della proposta, che possono trovare un punto di accordo comune solamente in una strategia inoffensiva e in una piattaforma generica.
Finora infatti ciò che le 4 sigle sindacali insieme sono riuscite ad escogitare è stata una raccolta firme su change.org attorno ad un generico appello contro la privatizzazione.
Questo è lungi dall’essere sufficiente, ed il rischio è che se non si alza il tiro della battaglia in tempo, la giunta approfitti di questo immobilismo e del periodo estivo per procedere indisturbata sulla sua strada.
Una privatizzazione strisciante
La logica degli appalti non è certamente una novità e sono anzi 30 anni che assistiamo alla sua progressiva affermazione in ogni ambito produttivo e dei servizi, dall’industria alla sanità, dalla logistica all’istruzione. Il tutto, come sempre, a scapito di salario, diritti e sicurezza dei lavoratori. In questo sono completamente coinvolti i servizi educativi comunali a Trieste.
Non solo nei servizi scolastici (educatori scolastici, ricreatori, centri estivi, dopo-scuola, mense) ma anche nei servizi educativi della prima nfanzia nei quali il personale mensa e il personale ausiliario è già gestito da cooperative in appalto. Sono decine le lavoratrici che oggi, in questi stessi servizi, vivono gli orrori della privatizzazione: full-time mascherati da part-time, straordinari non pagati, malattie non godute, bassi salari e spesso conseguente necessità di doppio lavoro.
Il passo che DiPiazza sta compiendo verso la gestione in appalto anche del personale educativo è solamente il coronamento finale di un percorso già avanzato e sostenuto più o meno attivamente da tutti gli schieramenti politici che si sono alternati alla guida della città e che i sindacati hanno nei fatti accolto con silenzio e rassegnazione nel migliore dei casi, con favore e complicità nel peggiore.
Essere coerentemente contrari alla privatizzazione oggi, come dicono di essere i sindacati, significa per noi il pieno coinvolgimento del personale ausiliario in una vertenza che deve avere al centro del suo programma la re-internalizzazione di tutti i servizi, un elemento centrale per la vittoria di questa vertenza.
Purtroppo buona parte delle sigle sindacali che animano la protesta ha una visione fortemente corporativa del problema, chi rappresentando le preoccupazioni delle sole educatrici, chi puntando ad un pubblico ancora più ristretto: le educatrici precarie in graduatoria che temono di rimanere tali.
Si tratta di preoccupazioni giuste e condivisibili, ma il compito di un sindacato è quello di creare solidarietà e unità tra i lavoratori, non quello di alzare steccati (spesso funzionali ad una mera logica di far tessere).
L’intera storia del movimento dei lavoratori ci insegna che solo l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici, indipendentemente da mansioni, inquadramenti e naturalmente genere e nazionalità, può garantire la vittoria.
Il contesto internazionale
L’altro grande limite che spesso esprimono le organizzazioni sindacali è quello di un estremo provincialismo, ovvero di considerare le dinamiche in atto in città come assolutamente specifiche e legate a questioni puramente locali, se non addirittura personali (un sindaco particolarmente reazionario, un dirigente particolarmente disattento…).
Come abbiamo provato a spiegare più sopra, la privatizzazione è un processo in corso da anni e che, senza giri di parole, abbiamo il dovere di definire come uno dei precisi strumenti con cui la classe dominante di questo paese (e non solo del nostro) ha condotto la sua propria lotta contro il movimento operaio organizzato per spostare dai salari ai profitti sempre maggiori porzioni di ricchezza, precarizzare e atomizzare i lavoratori e quindi disinnescare ogni possibilità di resistenza sindacale per la difesa di diritti certi e salari dignitosi.
Se a questo processo di lungo corso aggiungiamo gli effetti nefasti e irrisolti della crisi del 2008, della pandemia e della crisi attuale (guerra in Ucraina, genocidio a Gaza, protezionismo e inflazione), capiamo perfettamente che quello di DiPiazza è solamente un frammento minuscolo di un attacco generalizzato alle condizioni di vita e lavoro di milioni di persone.
Per questo non solo serve avere le idee chiare su ciò che sta accadendo fuori da questa città, ma anche sapersi ispirare alle sempre più numerose esperienze di lotte che i lavoratori e le lavoratrici stanno mettendo in campo in un paese dopo l’altro per resistere a questi attacchi.
E’ di pochi giorni fa (mercoledì 21/06) la notizia di una vertenza sindacale tra le educatrici degli asili nido comunali di Pola, in Croazia. Le educatrici lamentano bassi salari (974 euro) e chiedono vengano equiparati agli stipendi del settore scolastico (1320 euro). Alla proposta del sindaco Filip Zoricic di un percorso a tappe per arrivare al pieno aumento tra 3 anni, le organizzazioni sindacali hanno risposto con un rifiuto secco, minacciando azioni di sciopero.
Questo è solamente uno dei numerosi episodi di vertenze sindacali che stanno iniziando ad attraversare la Croazia in particolar modo nel settore pubblico, in risposta ai tagli del governo.
Una vera e propria palestra di lotta di classe per migliaia di lavoratori che, esercitando una pressione positiva sulle proprie organizzazioni sindacali, stanno creando un clima nel quale ogni piccola vertenza locale guadagna fiducia dal clima generale di mobilitazione, spingendo i lavoratori a rifiutare le proposte della controparte, rendendoli confidenti nella propria forza e del proprio ruolo nella società.
Si tratta di un processo embrionico, ma che ha le caratteristiche per somigliare all’ondata di lotte sindacali che ha interessato la Gran Bretagna nell’ultimo anno e mezzo e che ha portato alcune categorie di lavoratori a conquistare aumenti salariali a tripla cifra.
Non c’è nessuno dubbio che queste condizioni, esistendo in Croazia, UK, Stati Uniti, Francia, ecc.. esistano anche qui. Ma per coglierle serve una strategia sindacale adeguata, ed è questo il compito che pensiamo debba assumersi la CGIL.
Una proposta di piattaforma e metodo
La strategia sindacale messa in campo finora dalla CGIL sul tema “servizi educativi a Trieste” non è che la riproposizione in sedicesimi della strategia referendaria su grandi temi del Jobs Act: l’illusione che qualche firma possa invertire il rapporto di forze tra capitale e lavoro che si è andato a costruire in 30 anni di arretramenti, cessioni e sconfitte e che su questa base la nostra controparte possa essere portata a più miti consigli.
Per portare avanti questa vertenza è innanzitutto necessario che i lavoratori e le lavoratrici riprendano in mano l’iniziativa affiancando al sindacato un comitato dei lavoratori che promuova tra i colleghi la necessità di una mobilitazione.
Il problema del programma resta centrale. E’ il programma la base sulla quale costruiamo unità, solidarietà e complicità, che sono in ultima analisi gli unici strumenti per misurare veramente la nostra forza e farla pesare nel corso della vertenza.
Una strategia articolata solamente in presidi pubblici fuori dal Municipio ed è totalmente insufficiente.
Rivendichiamo assemblee sindacali nelle quali i lavoratori abbiano l’opportunità di confrontarsi, discutere, proporre, e verificare l’operato delle organizzazioni sindacali. Il posto di lavoro è il primo posto in cui costruire questa unità, per questo pensiamo che la CGIL invece di accodarsi ad una pratica di ricerca di visibilità pubblica e mediatica, dovrebbe offrire le proprie risorse, competenze e strutture per la mobilitazione delle lavoratrici nei propri asili, costruendo legami di solidarietà tra personale ausiliario ed educativo, tra lavoratrici e famiglie, con volantinaggi davanti ai posti di lavoro, nei quartieri popolari e verso altre categorie di lavoratori in lotta, a partire nella sanità e nei consultori.
Come comunisti, sindacalmente attivi nella CGIL, avanziamo quindi un programma di lotta alle lavoratrici in agitazione, dando il nostro contributo politico non solo per la vittoria di questa vertenza ma perché questa possa essere di ispirazione a lotte simili.
-No alla privatizzazione dell’asilo di Roiano!
– Internalizzazione dei servizi già appaltati nei servizi scolastici ed educativi. Fuori le cooperative private dagli asili, dalle scuole e dagli ambulatori!
– Abolizione dei finanziamenti pubblici ai nidi privati. Vogliamo nidi pubblici, capillari e gratuiti per tutti. L’educazione non è una merce!
– Per una Nuova Scala Mobile dei salari che agganci gli stipendi all’inflazione reale. Salario minimo intercategoriale non inferiore ai 1400 euro mensili. Salario garantito ai disoccupati pari all’80% del salario minimo.
– Scuole, non carriarmati. Mentre si spendono miliardi per armamenti, Governo, Regioni e Sindaci hanno la faccia tosta di dirci che non ci sono soldi per scuola e sanità. Fuori l’Italia dalla NATO, taglio alle spese militari, blocco all’invio di armi in Ucraina e Israele.
– Riaprire i consultori di San Giacomo e San Giovanni ed estendere la rete di consultori pubblici come previsto dalla legge 194! Aborto libero e sicuro per tutte. Fuori obiettori e associazione pro-vita!
– Solidarietà alle educatrici degli asili nido di Pola. All’austerità dei padroni rispondiamo con la solidarietà dei lavoratori!
– Lavoratori di tutti i paesi, unitevi! Proleteri svih zemalja, ujedinite se!