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“I sindacati devono cambiare, perché il mondo è cambiato. Questo astio tra le parti che esisteva una volta e che storicamente faceva parte della lotta di classe, è scomparso.”
Sono le parole dell’amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, uno che guadagna 150mila euro al giorno. Tradotto per noi poveri mortali significa: sindacati (e lavoratori), noi padroni vogliamo continuare a fare affari e guadagnare, quindi non disturbateci.
In effetti, con il governo Renzi l’Italia è diventata uno dei posti migliori dove vivere per lorsignori. È di questi giorni uno studio della Cgil che analizza gli effetti del Jobs act. Nel 2015 sono stati creati 40mila posti di lavoro a tempo (non più) indeterminato, a fronte di ben 6,1 miliardi di euro di incentivi alle imprese, di cui 3,4 miliardi di decontribuzioni e 2,7 di deduzioni Irap.
Sulle pensioni, gli “sfigati” (Renzi dixit) rimasti intrappolati in azienda dalla riforma Fornero potranno uscire “anticipatamente” dal lavoro. Attenzione però: saranno penalizzati fino al 12% rispetto all’assegno pensionistico e dovranno accendere un mutuo con le banche. Nulla ci toglie dalla testa che questa proposta, oggi prevista per le classi dal 1951 al ’53, non sarà poi resa permanente per tutti coloro che non vorranno continuare a lavorare fino a 70 anni.
Salari, diritti, pensioni… Renzi e di Marchionne pretendono di avere carta bianca. Il contratto nazionale non deve esistere, il posto fisso ve lo dovete scordare, la pensione idem.
Come tuttavia abbiamo studiato a scuola “ad ogni azione corrisponde sempre una opposta reazione”, anche nel caso in cui l’azione si produca su corpi apparentemente inerti. Ed è quello che sta accadendo oggi.
I vertici sindacali messi con le spalle al muro e con la prospettiva reale di non contare più nulla ai tavoli contrattuali, stanno cominciando a mettere in campo una reazione.
Le scadenze di lotta, che hanno avuto il loro battesimo con lo sciopero dei metalmeccanici del 20 aprile, sono molteplici e in numerosi settori. Nel pubblico impiego, gli scioperi a livello regionale si sono aperti nel mese di aprile e si susseguiranno per tutto il mese di maggio. Da sette anni i salari dei dipendenti pubblici sono al palo. Anche nel settore del commercio il contratto nazionale è una chimera. I lavoratori dei fast food, del turismo e delle pulizie hanno incrociato le braccia venerdì 6 maggio. Nel settore la giungla dei voucher ormai domina e Renzi si è affrettato ad assicurare che continuerà, affermando che “noi siamo contrari all’abolizione dei voucher”. Le maestranze della grande distribuzione sciopereranno il 26 maggio, i sindacati confederali della scuola hanno indetto una giornata di astensione dal lavoro per venerdì 20 maggio.
Potremmo elencare altre decine di vertenze locali o aziendali, come nel call center Almaviva dove i lavoratori hanno bocciato a stragrande maggioranza un accordo-truffa, oppure lo sciopero degli straordinari dei lavoratori delle poste lombarde per tutto il mese di maggio o del trasporto pubblico locale dal Lazio alla Puglia…
Un’altra novità è che i lavoratori quando sono stati chiamati alla mobilitazione hanno risposto affermativamente. Allo sciopero dei metalmeccanici l’adesione è stata del 75%, nelle regioni come Lombardia e Toscana dove i dipendenti pubblici hanno già scioperato le percentuali non sono state da meno.
C’è dunque una disponibilità alla lotta, c’è il desiderio di presentare il conto a padroni e governo. Allo stesso tempo i lavoratori vogliono che questi scioperi siano veri, non hanno alcuna intenzione di buttare via tempo e denaro per passeggiate rituali nei centri cittadini. Il fatto che tanti siano disponibili a “bloccare tutto” ma che allo stesso tempo non dicano no a qualche ora di straordinario è una contraddizione solo apparente e rappresenta un atteggiamento in linea con l’epoca di crisi del capitalismo che viviamo.
L’epoca attuale esige una direzione sindacale che sia all’altezza dello scontro, che si ponga sul terreno della lotta e dell’incompatibilità tra gli interessi dei padroni e quelli dei lavoratori. Se l’attacco padronale è a tutto campo, la risposta deve essere speculare: deve essere sviluppata dai vertici sindacali una strategia di unificazione delle lotte.
Le energie degli attivisti sindacali e di sinistra sono preziose e devono essere concentrate nell’organizzazione di questo scontro e non disperse, come sta avvenendo in queste settimane, in raccolte di firme su decine di referendum il cui esito negativo, e lo conferma la consultazione del 17 aprile, è ormai scontato. La svolta non potrà nemmeno avvenire, oggi, sul terreno elettorale, dove in occasione delle prossime amministrative assistiamo alla riproposizione di cartelli elettorali a sinistra del Pd che difficilmente resisteranno al cambio di stagione.
È alla ripresa delle mobilitazioni che oggi partecipiamo con fiducia, offrendo ad esse la nostra forza militante e il nostro programma rivoluzionario, consapevoli che solo con il ritorno di un sano “astio” di classe e attraverso una rottura con le compatibilità del sistema le masse lavoratrici sapranno riprendersi tutto quello che ci hanno tolto.
9 maggio 2016