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A 30 anni da Chernobyl – Energia nucleare: guadagni per pochi e gravi rischi per tutti

Trent’anni fa la tragedia di Chernobyl (località oggi in Ucraina, allora parte dell’Unione sovietica), la più grande catastrofe nella storia del nucleare civile. Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 si verificò l’esplosione al reattore numero 4 della centrale atomica di Chernobyl.  Fuoriuscirono circa il 50% di iodio e il 30% di cesio, disperdendosi nell’atmosfera, con un’emanazione di radioattività tra i 50 e i 250 milioni di Curie, quantità circa cento volte maggiore rispetto a quella delle bombe americane su Hiroshima e Nagasaki nel 1945. I morti furono migliaia, le nubi radioattive si diffusero in gran parte dell’Europa, cambiando totalmente la percezione dei rischi del nucleare nella mente di decine di milioni di persone.
Ripubblichiamo un articolo scritto cinque anni fa, all’epoca dell’incidente alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone.

Da una settimana il Giappone soffre le conseguenze di uno sciame sismico di proporzioni colossali (fino al grado 9 della scala Richter), di un successivo tsunami che ha spazzato 500 km di costa con un numero di vittime che facilmente arriverà a decine di migliaia di morti e della contaminazione nucleare provocata dal blocco del raffreddamento del combustibile in diversi reattori della centrale di  Fukushima.

Dopo 6 giorni di fiato sospeso non sappiamo ancora se ci sarà una nuova Cernobyl, ma le conseguenze sulla vita di centinaia o migliaia di persone, oltre a quelle economiche sono già sufficienti per mettere una grossa ipoteca sul futuro dell’industria nucleare a livello mondiale. Il governo Berlusconi che dopo 25 anni di blocco aveva provato a far risuscitare il nucleare in Italia ha provato a mantenersi “fermo” e non lasciarsi “influenzare dall’emotività e dall’allarmismo”. Ma ha retto appena quattro giorni, e già nella serata di martedì un ministro come Alfano smentiva i suoi colleghi dell’ambiente (Prestigiacomo) e delle attività produttive (Romani) e ammetteva la necessità di una pausa di riflessione.

Ciò è un fatto politico di primo ordine. Un governo abituato a ridere della “volontà popolare” ha dovuto ammettere che nel paese “non tira aria” per certe prepotenze. Noi da comunisti prendiamo atto e crediamo che bisogna andare oltre. Occorre far diventare i referendum contro il nucleare e sull’impossibilità di privatizzare l’acqua un’occasione per travolgere la propaganda oscena che pretende identificare l’interesse dei capitalisti con quelli del “paese”.

Come abbiamo scritto in occasione dei referendum a Pomigliano e a Mirafiori facciamo notare che è possibile opporsi alle prepotenze dei padroni. Che si può dire no e costruire una forza sociale e politica attorno agli interessi di quella maggioranza della popolazione che per campare vende la propria forza lavoro.

Ma allo stesso modo che i lavoratori Fiat non si limitano a dire no al metodo Marchionne e parlano di auto ecologica, di un nuovo modo di produrre per i bisogni e non per il profitto di pochi è necessario trarre una lezione di questi avvenimenti. Quella maggioranza che paga le bollette, che subisce decisioni di una minoranza di capitalisti che decide per loro cosa produrre, come farlo, con quali costi e con quali rischi… deve e può dire basta. Il cambiamento climatico in corso, le catastrofi ambientali ed economiche sono le prove di uno stato ci cose insostenibile. Un mondo complesso dove viviamo in 7 milliardi non può essere alla mercè di qualche migliaio di banchieri, industriali e politici leccapiedi!

Mancanza di informazione, un altro modo di mentire

Dopo una settimana è evidente che governo giapponese e soprattutto la Tepco hanno provato ostinatamente a nascondere la gravità dell’accaduto. La Tokyo Electric Power, proprietaria della centrale di Fukushima, al centro dell’emergenza nucleare, è la prima azienda energetica  dell’Asia e tra le maggiori al mondo. La sua potenza produttiva arriva a 64,487 Gigawatt. La fetta più importante della produzione è rappresentata da centrali termoelettriche. La Tepco ne ha 25 per una potenza totale di 38,189 Gigawatt. La capacità produttiva delle tre centrali nucleari (Kashiwazaki Kariwa, Fukushima Daiichi e Fukushima Dani) è invece di 17,308 Gigawatt. Significativo quanto sia insignificante la quota delle rinnovabili (4 megawatt).

L’anno 2010 è stato quello del ritorno all’utile per la società con profitti per 115 miliardi di yen. Aveva avuto perdite sia nel 2009 (-84 miliardi di yen) che nel 2008, quando ha registrato la prima perdita di bilancio in 28 anni (-150 miliardi di yen).

La ragione di questo tonfo sta in un episodio che ricorda molto, anche se in scala infinitamente inferiore, quanto avvenuto in conseguenza del violento tsunami che ha colpito il Giappone mandando in panne i reattori della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Nel luglio del 2007 infatti un sisma di magnitudo 6,8 Richter colpì il Giappone danneggiando la centrale di Kashiwazaki Kariwa, la più grande al mondo. Ci fu un incendio. Le immagini del fumo che usciva dalla centrale furono viste in diretta tv per un’ora. L’incidente provocò la dispersione di oltre 1000 litri di acqua contaminata da sostanze radioattive nel mare.

Vennero fatti dei controlli sulla sicurezza. Venne fuori era stata costruita nelle vicinanze di una faglia  sismica attiva. Inoltre la scossa che colpì l’impianto fu di una potenza due volte superiore al massimo previsto in fase di costruzione. Kashiwazaki Kariwa fu chiusa per due anni. Uno stop che spiega il profondo rosso dei conti della società nel 2008 e nel 2009.

La Tokyo Electric Power si giustificò dicendo che, quando la centrale era stata costruita alla fine degli anni ’70, non era emersa la presenza della faglia. Allora in molti sollevarono dubbi su questa giustificazione, anche perché la società non aveva certo una fama di grande trasparenza. Solo cinque anni prima infatti i vertici della società si erano dovuti dimettere per aver falsificato rapporti sulla sicurezza delle centrali per un periodo di oltre 15 anni. Il presidente Nobuya Minami, si dovette dimettere, ammettendo, di fronte all’evidenza, quanto contestatogli dalle autorità.

Una settimana da incubo

Torniamo all’11 marzo. Sono trascorse cinque ore dalla scossa al largo del Pacifico e meno di quattro dall’onda di Tsunami. La Tepco già sa che i sistemi di raffreddamento dei reattori 1, 2 e 3 di Fukushima sono fuori uso e sa del rischio legato a un prolungato surriscaldamento del loro combustibile.

Ma non  lo dice.

Si limita ad informare il Governo del “problema del raffreddamento dei reattori”. Yukio Edano, portavoce del primo ministro giapponese dichiara: “È stata dichiarata l’emergenza nucleare a scopo precauzionale. Non c’è fuga radioattiva. La linea di evacuazione è di 3 chilometri dal sito”.

Nella notte tra l’11 e il 12, la Tepco sa che il sistema di raffreddamento dei reattori non ha nessuna possibilità di essere riparato.

Nella mattina del 12, avverte che nei reattori 1 e 2 il livello dell’acqua che copre le barre di combustibile è sceso per la progressiva evaporazione e che “un rilascio di materia radioattiva è possibile”. Chiede permesso al governo per attivare l’uscita controllata nell’atmosfera di vapore di idrogeno radioattivo che abbassi la pressione nei reattori. Insieme al pompaggio nel sistema di raffreddamento di acqua marina e boro. C’è una prima esplosione che scoperchia l’edificio del reattore 1. Ma a Vienna, la Aiea, sulla base delle informazioni che arrivano da Tokyo, rassicura il mondo. La sera del 12, quando in Giappone è ormai la mattina del 13, un comunicato annuncia infatti che “la Nisa ha classificato l’incidente di livello 4 della scala Ines. Con conseguenze locali”.

Ma la agenzia nucleare francese segnala un’oggettiva incongruenza tra le rassicurazioni di Tokyo e le misure che il governo dispone sul terreno. Il 13 marzo, l’area di evacuazione intorno alla centrale sale a 20 chilometri e comincia la distribuzione di pillole di iodio alla popolazione. Mentre alle 11 del mattino del 14 marzo un’esplosione scuote l’edificio del reattore 3. È la prova che a Fukushima, a distanza ormai di tre giorni, le operazioni di raffreddamento dei reattori, non hanno prodotto nessun effetto.

La mattina del 15 marzo, si ci sono due esplosioni nei reattori 2 e 4. Il primo ministro Naoto Kan ne viene informato dalla stampa e, in pubblico, mostra la sua furia con la Tepco: “Vorrei sapere che diavolo sta succedendo”. Quindi, aggiunge: “Il rischio di fuga radioattiva sta crescendo”.

A quel punto si fornisce il primo dato ufficiale sul livello di radiazioni registrate nella centrale il 15 marzo: 400 millisievert l’ora. La dose che in media un uomo assorbe in un anno per esposizione alla radioattività naturale è di 2,4 millisievert. Una radiografia ordinaria comporta per il paziente un assorbimento di 1 millisievert, una TAC comporta una dose di 3 ~ 4 millisievert, invece per una PET o una scintigrafia si va dai 10 ai 20 millisievert. In radioterapia si forniscono invece dosi molto più massicce di radiazioni, dell’ordine delle decine di millisievert, anche oltre i 40 millisievert, ma concentrate limitatamente ed esclusivamente sul tumore da distruggere.

Sempre i francesi (forse per  evitare dubbi sul loro nucleare) che hanno un team della Protezione civile a Sendai, ritengono di poter affermare con sicurezza che il nocciolo e il combustibile di almeno due dei tre reattori “è danneggiato” (circostanza che i giapponesi confermeranno solo nelle 24 ore successive). Che l’esplosione dell’edificio che ospita il reattore 4, in corrispondenza della piscina di decadimento del combustibile esausto aggiunge un nuovo elemento di assoluta criticità. Che, come era possibile prevedere, la catastrofe ora si allarga anche a quei reattori che pure erano in manutenzione al momento del terremoto. “È un incidente di livello 6”. Oggi, a una settimana dell’inizio dell’incidente, anche i giapponesi cominciano ad ammetterlo.

Quello che ha reso più complicato l’incidente non è stato mantenere raffreddati i nuclei dei reattori ma le piscine di stoccaggio delle barre di combustibile che una volta utilizzate nel nucleo mantengono una forte radioattività e perciò richiedono un continuo raffreddamento. Di fatto i reattori 4 e 5 non erano operativi nel momento del terremoto… ma i loro sistemi di raffreddamento delle piscine di stoccaggio sono stati bloccati dallo Tsunami. Al momento nel deve del nucleare dobbiamo mettere il sacrificio di centinaia di “volontari” che hanno subito le radiazioni… non sappiamo quanto gravi e l’abbandono della centrale che non produrrà più energia e dovrà anche essere “stabilizzata” con costi enormi.

Il colpo alla propaganda della lobby nucleare è gigantesco… ma non può bastare. Occorre andare oltre e porsi il problema di rendere veramente democratiche quelle decisioni che, come la scelta delle fonti di energia, di cosa produrre e come farlo e per soddisfare quali bisogni sono decisive per la nostra vita e quella dei nostri figli. Porsi questo obiettivo comporta mettere in discussione il dominio dei capitale sulla finanza, le grandi industrie e compagnie di assicurazione. Se ci guardiamo attorno, dalla energia, alla salute o la pensione, passando per la scuola e il tempo libero il desiderio dei capitalisti di fare di ognuno di noi un “consumatore” senza volontà critica… ci porta a un vicolo cieco e infine alla crisi planetaria.


E in Italia?

Fino alla settimana scorsa il governo aveva dimostrato un grande disprezzo per la democrazia. Mentre i sondaggi dicevano che ancora una maggioranza degli italiani non era convinta del nucleare Berlusconi aveva fatto accordi per l’acquisto dalla Francia di almeno 5 centrali. Allo stesso tempo – dimostrando paura del referendum abrogativo promosso dall’IdV- aveva preferito buttare dalla finestra 300 milioni di euro negando il suo svolgimento in occasione delle elezioni amministrative di maggio e proponendo la data del 12 giugno sperando che non si raggiungesse il quorum.

Sapevano di aver realizzato una forzatura e che i loro argomenti non avrebbero resistito un’analisi seria. Nel 2009 Enel sosteneva che una nuova centrale Epr sarebbe costata 3 miliardi di euro. Di fronte all’esplosione dei costi dei prototipi finlandese e francese ha dovuto alzare a 4 miliardi. In realtà il costo non sarà inferiore agli 8 miliardi di euro a centrale. Se a questi costi aggiungiamo quelli della dismissione e del controllo sui residui il costo dell’elettricità di origine nucleare diventa molto più alto di quello dichiarato ufficialmente.

La sicurezza totale non esiste si dichiara in tutte le salse. Ciò è senz’altro vero… ma non è precisamente un argomento a favore di un sistema come il nucleare, dove anche se ridotta esiste la possibilità di un incidente e in quel caso le conseguenze sono molto più catastrofiche di qualsiasi altro sistema di produzione di energia. Solo nel 2010 ci sono stati circa un migliaio di incidenti nell’industria nucleare. Certo non tutti come quello di Fukushima… ma questo – oltre ai danni materiali e umani – ha già provocato il crollo del 16% nella Borsa nipponica e perdite di centinaia di miliardi nelle borse mondiali. Come contabilizziamo queste perdite (non più ipotetiche) nei costi del nucleare?

Abbiamo imparato che la terza unità di Fukushima utilizzava combustibile MOX che contiene anche ossido di plutonio e rilascia molto più calore anche dopo che il reattore è stato spento. In caso di fusione o danneggiamento del combustibile nel reattore si libererebbe più gas radioattivo rispetto alla stessa quantità di combustibile a uranio normale usato nella prima unità. E con un’incidenza sulla salute dell’umanità senza paragoni.

Gli americani nel 1999, dopo che dal 1978 l’avversione delle popolazioni per l’impatto sanitario delle centrali in condizioni di routine aveva causato il blocco di ogni ordinativo, dopo l’incidente di Three Mile Island e dopo Chernobyl, Sono coistretti a dare il via al consorzio di ricerca Generation IV. L’obiettivo proclamato è quello di ripensare dalle fondamenta la sostenibilità del nucleare. Non un lavoretto di maquillage: un aggiustamento per pompe, tubi e valvole, alla luce degli «insegnamenti» di Three Mile Island – ciò che oggi si intende per III generazione – ma quei cambiamenti radicali che diano alla parola sicurezza un significato non probabilistico, ma di certezza. Si possono infatti migliorare i dispositivi, ma questo, anche se riduce la probabilità di un incidente, non cambia il fatto che l’incidente resta possibile con i suoi effetti enormi. Cambiare invece la fisica del reattore pone evidentemente problemi difficili di ricerca, il cui approdo si allontana nel tempo: 2035? 2040?. Carlo Rubbia, considerando l’insieme dei progetti di Generation IV, ne metteva in evidenza il carattere di soluzioni incomplete. Generation IV è tuttavia una sfida sulla tecnologia. Non a caso le centrali che si dovrebbero costruire in Italia sono di III generazione.

Recuperare il tempo perso

Il deserto a sinistra lasciato dopo il secondo governo Prodi ha permesso la maggior vittoria elettorale della destra e tra i provvedimenti avviati il ritorno al nucleare bandito dal referendum del 1987. Il dirigente del Pd Veltroni si è mostrato  nel 2008 “aperto sul nucleare” a condizione di avere “chiarimenti” per poter “giudicare nel merito i provvedimenti”. D’altronde il cosiddetto “ambientalismo del fare” proclamato nel programma del Pd altro non prevede che un insieme di incentivi e sgravi fiscali Trent’anni fa la tragedia di Chernobyl (località oggi in Ucraina, allora parte dell’Unione sovietica), la più grande catastrofe nella storia del nucleare civileper gli eco-padroni che ricorrono alle energie rinnovabili. Ora invece Bersani si dichiara contrario al nucleare.

Prodi ha avviato la politica degli incentivi al fotovoltaico agevolando la diffusione in termini di acquisti da parte degli utenti. La maggior parte dei sistemi istallati sono “made in Germany” o cinesi ma l’industria italiana ha creato circa 50.000 posti di lavoro come installatori e manutentori. Ora il governo scopre che in tre anni si potrebbe arrivare a 8 gigawatt istallati e propone bloccare la politica degli incentivi. La rapida diffusione del fotovoltaico mette in evidenza la spesa enorme e i tempi lunghi del nucleare!

Il movimento operaio deve difendere un forte no al nucleare, ma allo stesso tempo occorre un forte investimento per la ricerca pubblica sulle fonti rinnovabili. Una proposta che troverebbe d’accordo i ricercatori precari e i laureati disoccupati che potrebbero entrare in un piano decennale per trasformare l’uso dell’energia in Italia e infine gli utenti che pagherebbero meno la bolletta energetica e vivrebbero in un ambiente più vivibile.

L’Italia “non ha bisogno del nucleare. Non ne ha bisogno oggi, visto che conta su una potenza installata di oltre 105mila MW, quando il picco dei consumi ha superato di poco i 50.000 MW’. E non ‘ne avrà bisogno domani, perchè le alternative sono già una realtà, come dimostrato dal recente Energy Report in base al quale in quattro decenni potremmo avere una società interamente alimentata da energia pulita, a basso costo e rinnovabile.

È necessario lottare per il coordinamento di tutte le vertenze ambientali e dei comitati di lotta (contro la Tav, i rigassificatori, gli inceneritori, le discariche, le basi Usa e Nato). Occorre un salto di qualità che passi dal no allo sfruttamento del territorio ad un’alternativa complessiva dove ci si ponga come alternativa un’altro modo di vivere e di produrre. Democratico e collaborativo. Anticapitalista e nel rispetto delle generazioni future. L’unico che può impedire la rovina dell’umanità.

Sulle basi di questi obiettivi occorre avviare un piano di lotta per la rinazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori e dei consumatori di tutte le aziende che  gestiscono il ciclo dei rifiuti, la distribuzione dell’acqua e dell’energia.

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