Grecia – I lavoratori impediscono lo svogimento del congresso di Alba Dorata!
29 Marzo 2016Dalla parte dei lavoratori Almaviva in lotta!
30 Marzo 2016di Vladimir Ilic Lenin
Estratto dal Che Fare? di Lenin
A tutti è noto che la grande estensione e il rafforzamento della lotta economica degli operai russi hanno proceduto di pari passo con lo sbocciare di una “letteratura” di denunce economiche (di fabbrica e di mestiere). I “fogli” denunciavano principalmente il regime delle officine, e ben presto si manifestò fra gli operai una vera e propria passione per queste denunce. Non appena gli operai constatarono che i circoli socialdemocratici1 volevano e potevano offrir loro dei fogli di nuovo genere, che dicevano tutta la verità sulla loro vita miserabile, il loro lavoro estenuante e il loro asservimento, cominciarono, si può dire, a inondarci di corrispondenze di fabbrica e di officina. Questa “letteratura accusatrice” produceva un’impressione enorme non soltanto nella fabbrica della quale quel determinato foglio fustigava il regime, ma in tutte le fabbriche dove si era sentito parlare dei fatti denunciati. E, poiché i bisogni e le sofferenze degli operai delle diverse aziende e mestieri hanno molti punti comuni, la “verità sulla vita operaia” impressionava tutti. (…) Più di una volta accadde che la pubblicazione di un solo foglio fu sufficiente per ottenere che fossero soddisfatte tutte le rivendicazioni o una parte di esse. In una parola, le denunce economiche (sulle fabbriche) erano, e continuano a essere, uno strumento notevole di lotta economica: e così sarà finché esisterà il capitalismo, il quale incita necessariamente gli operai a difendersi da sé. Nei paesi europei più avanzati si può osservare ancora adesso che la denuncia di intollerabili condizioni di lavoro in qualche “mestiere” poco noto, o in qualche branca di lavoro a domicilio a cui nessuno pensa, diventa il punto di partenza di un risveglio della coscienza di classe, l’inizio di una lotta professionale e della diffusione del socialismo.
In questi ultimi tempi la schiacciante maggioranza dei socialdemocratici russi è stata quasi interamente assorbita da questo lavoro di denuncia delle condizioni nelle fabbriche. Basta pensare alla Rabociaia Mysl2 per vedere fin dove si è arrivati: si è dimenticato che questa attività di per sé, sostanzialmente, non è ancora socialdemocratica, ma soltanto tradunionista (…). Queste denunce possono servire come punto di partenza e parte integrante dell’attività socialdemocratica (a condizione di essere convenientemente utilizzate dall’organizzazione dei rivoluzionari), ma possono anche (e, se ci si sottomette alla spontaneità, devono) sboccare in una lotta “puramente tradunionista” e in un movimento operaio non socialdemocratico.
La socialdemocrazia dirige la lotta della classe operaia non soltanto per ottenere condizioni vantaggiose nella vendita della forza-lavoro, ma anche per abbattere il regime sociale che costringe i nullatenenti a vendersi ai ricchi. La socialdemocrazia rappresenta la classe operaia non nei suoi rapporti con un determinato gruppo d’imprenditori, ma nei suoi rapporti con tutte le classi della società contemporanea, con lo Stato, come forza politica organizzata. È dunque evidente che i socialdemocratici non soltanto non possono limitarsi alla lotta economica, ma non possono nemmeno ammettere che l’organizzazione di denunce economiche sia la parte prevalente della loro attività. Dobbiamo occuparci attivamente dell’educazione politica della classe operaia, dello sviluppo della sua coscienza politica. (…) Mi ci si chiede: in che cosa deve consistere l’educazione politica? Ci si può limitare a diffondere l’idea che la classe operaia è ostile all’autocrazia? Certamente no. Non basta spiegare agli operai la loro oppressione politica (allo stesso modo che non basta spiegare il contrasto dei loro interessi con quelli dei padroni). Bisogna fare dell’agitazione a proposito di ogni manifestazione concreta di questa oppressione (come abbiamo fatto per le manifestazioni concrete dell’oppressione economica). E poiché questa oppressione si esercita sulle più diverse classi della società, poiché si manifesta nei più diversi campi della vita e dell’attività professionale, civile, privata, familiare, religiosa, scientifica, ecc., non è forse evidente che non adempiremmo il nostro compito di sviluppare la coscienza politica degli operai se non ci incaricassimo di organizzare la denuncia politica dell’autocrazia sotto tutti i suoi aspetti? Ma per fare dell’agitazione sulle manifestazioni concrete dell’oppressione, non è forse necessario denunziare queste manifestazioni (allo stesso modo che per condurre l’agitazione economica bisogna denunziare gli abusi commessi nelle fabbriche)?
Sembra che la cosa sia chiara; ma in realtà risulta che la necessità di sviluppare in tutti i sensi la coscienza politica è riconosciuta “da tutti” soltanto a parole. Così il Raboceie Dielo3, per esempio, lungi dall’organizzare delle campagne di denunce politiche che riguardino tutti i campi della società (o di fare i primi passi in tal senso) si è messo a tirar indietro l’Iskra4 che si era posta su questa via (…).
Denunce politiche e “tirocinio all’attività rivoluzionaria”
La coscienza della classe operaia non può diventare vera coscienza politica se gli operai non si abituano a reagire contro ogni abuso, contro ogni manifestazione dell’arbitrio e dell’oppressione, della violenza e della soperchieria, qualunque sia la classe che ne è colpita, e a reagire da un punto di vista socialdemocratico e non da un punto di vista qualsiasi. La coscienza delle masse operaie non può essere una vera coscienza di classe se gli operai non imparano a osservare, sulla base dei fatti e degli avvenimenti politici concreti e attuali, ognuna delle altre classi sociali in tutte le manifestazioni della vita intellettuale, morale e politica; se non imparano ad applicare in pratica l’analisi e il criterio materialistico a tutte le forme d’attività e di vita di tutte le classi, strati e gruppi della popolazione. Chi induce la classe operaia a rivolgere la sua attenzione, il suo spirito di osservazione e la sua coscienza esclusivamente, o anche principalmente, su se stessa, non è un socialdemocratico, perché per la classe operaia la conoscenza di se stessa è indissolubilmente legata alla conoscenza esatta dei rapporti reciproci di tutte le classi della società contemporanea, e conoscenza non solo teorica, anzi, non tanto teorica, quanto ottenuta attraverso l’esperienza della vita politica.
Ecco perché la predicazione dei nostri economisti, i quali sostengono che la lotta economica è il mezzo più largamente applicabile per trascinare le masse nel movimento politico, è così profondamente reazionaria nei risultati pratici. Per diventare socialdemocratico, l’operaio deve avere una chiara visione della natura economica, della fisionomia politica e sociale del grande proprietario fondiario e del prete, dell’alto funzionario e del contadino, dello studente e del vagabondo, conoscerne i lati forti e quelli deboli, saper discernere il significato delle formule e dei sofismi di ogni genere con i quali ogni classe e ogni strato sociale maschera i propri appetiti egoistici e la propria vera “sostanza”, saper distinguere quali interessi le leggi e le istituzioni rappresentano, e come li rappresentano. Ma non si potrà trovare in nessun libro questa “chiara visione”: la potranno dare solo gli esempi tratti dalla vita, le denunce che battano il ferro mentre è caldo e che trattino di ciò che avviene intorno a noi in un dato momento, di ciò che si dice e si sussurra nei crocchi, di ciò che dimostrano questo o quel fatto, certe cifre e certe sentenze dei tribunali, ecc. Queste denunce politiche relative a tutte le questioni della vita sociale sono la condizione necessaria e fondamentale per educare le masse all’attività rivoluzionaria.
(…) I nostri economisti, compreso il Raboceie Dielo, hanno avuto dei successi perché si piegavano alla mentalità degli operai arretrati. Ma l’operaio socialdemocratico, l’operaio rivoluzionario (e il numero di questi operai aumenta continuamente) respingerà con indignazione tutti questi ragionamenti sulla lotta per le rivendicazioni “che possono promettere risultati tangibili”, ecc. (…) Esso dirà ai “consiglieri” della Rabociaia Mysl e del Raboceie Dielo: “Avete torto, signori, di preoccuparvi tanto e di immischiarvi con troppo zelo in cose che risolveremo noi stessi e di sottrarvi invece all’adempimento dei vostri veri compiti”. Non è dar prova di molta intelligenza dire, come voi dite, che i socialdemocratici devono imprimere un carattere politico alla stessa lotta economica: questo è solo l’inizio e non è questo il compito essenziale dei socialdemocratici, perché in tutto il mondo, e anche in Russia, è spesso la polizia stessa che comincia ad imprimere un carattere politico alla lotta economica; gli operai cominciano a comprendere da che parte è il governo. Infatti questa “lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo”, che voi esaltate come la scoperta di una nuova America, è condotta anche nei luoghi più sperduti della Russia dagli operai stessi che hanno sentito parlare degli scioperi, ma che quasi nulla hanno sentito dire del socialismo. La nostra “attività”, l’attività di noi operai che voi volete aiutare lanciando rivendicazioni concrete tali da offrire risultati tangibili, esiste già nel nostro paese; nella nostra piccola azione tradeunionista quotidiana noi stessi presentiamo siffatte rivendicazioni concrete, senza bisogno, nella maggior parte dei casi, dell’aiuto degli intellettuali. Ma questa attività non ci basta; non siamo dei bambini che possono essere nutriti solo con la pappa della politica puramente “economica”; vogliamo sapere tutto quanto sanno gli altri, vogliamo conoscere particolareggiatamente tutti gli aspetti della vita politica e partecipare attivamente ad ogni avvenimento politico.
Bisogna quindi che gli intellettuali ci ripetano un po’ meno ciò che sappiamo già e ci diano un po’ più di ciò che ignoriamo ancora, di ciò che la nostra vita di fabbrica e la nostra esperienza “economica” non ci permettono mai di imparare: le cognizioni politiche. Queste cognizioni, voi intellettuali, potete acquistarle e dovete trasmetterle cento e mille volte più generosamente di quanto abbiate fatto finora. Dovete trasmettercele non solo con ragionamenti, opuscoli, articoli (che sono spesso — perdonate la nostra franchezza — alquanto noiosi), ma anche con denunce vivaci di ciò che fanno, proprio in questo momento, il nostro governo e le nostre classi dominanti in tutti i campi della vita. Assolvete con un po’ più di entusiasmo questo compito che è il vostro, e parlate un po’ meno di “elevare l’attività delle masse operaie”. Attività ne diamo molto più di quanto non pensiate e sappiamo difendere con la lotta aperta nelle piazze anche le rivendicazioni che non offrono alcun “risultato tangibile”. E non sta a voi “elevare” la nostra attività, perché voi stessi non siete abbastanza attivi. Non prosternatevi tanto dinanzi alla spontaneità e pensate un po’ di più, o signori, ad elevare la vostra attività!
Che cosa hanno in comune l’economismo e il terrorismo
(…) A prima vista, la nostra affermazione può sembrare paradossale, tanto grande sembra la differenza tra coloro che antepongono a tutto la “grigia lotta quotidiana” e coloro che propugnano la lotta che esige la massima abnegazione: la lotta di individui isolati. Ma non si tratta per niente di un paradosso. Economisti e terroristi si prosternano davanti ai due poli opposti della tendenza della spontaneità: gli economisti dinanzi alla spontaneità del “movimento operaio puro”, i terroristi dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità. È infatti difficile, per chi non ha più fiducia in tale possibilità o non vi ha mai creduto, trovare al proprio sdegno e alla propria energia rivoluzionaria uno sbocco diverso dal terrorismo. (…) L’attività politica ha una propria logica, indipendente dalla coscienza di coloro che, con le migliori intenzioni del mondo, fanno appello al terrorismo oppure domandano che si dia alla stessa lotta economica un carattere politico. L’inferno è lastricato di buone intenzioni, e in questo caso le buone intenzioni non salvano ancora dal lasciarsi attrarre dalla “linea del minimo sforzo”. (…) Fare appello al terrorismo o fare appello a che sia dato alla stessa lotta economica un carattere politico, sono due modi diversi di sottrarsi al dovere più imperioso dei rivoluzionari russi: l’organizzazione di una multiforme agitazione politica. Il gruppo Svoboda5 vuole sostituire all’agitazione il terrorismo, riconoscendo apertamente che “dal momento in cui comincerà tra le masse una agitazione energica e vigorosa, la funzione stimolatrice del terrorismo sarà finita” (p. 68 della Rinascita del rivoluzionarismo). Questa confessione mostra appunto che terroristi ed economisti sottovalutano l’attività rivoluzionaria delle masse, che pure è chiaramente dimostrata dagli avvenimenti della primavera. Gli uni cercano degli “stimolanti” artificiali, gli altri parlano di “rivendicazioni concrete”. Gli uni e gli altri non rivolgono sufficiente attenzione allo sviluppo della loro attività per l’agitazione politica e per l’organizzazione di campagne di denunce politiche. Eppure non c’è niente che possa sostituirle né oggi, né in qualsiasi momento.
La classe operaia, combattente d’avanguardia per la democrazia
(…) La lotta economica “spinge” gli operai a porsi soltanto i problemi che concernono i rapporti tra governo e classe operaia. Perciò, per quanti sforzi facciamo per “dare alla stessa lotta economica un carattere politico”, non potremo mai, mantenendoci in questi limiti, sviluppare la coscienza politica degli operai (fino al livello della coscienza politica socialdemocratica) perché i limiti stessi sono troppo ristretti. La formula di Martynov6 è preziosa per noi, non perché dimostra l’attitudine di Martynov a creare confusione, ma perché mette in rilievo l’errore capitale di tutti gli economisti: la convinzione che si può sviluppare la coscienza politica di classe degli operai, per così dire, dall’interno, con la lotta economica, partendo cioè solo (o almeno principalmente) da tale lotta, basandosi solamente (o almeno principalmente) su tale lotta. Questo punto di vista è radicalmente sbagliato, e lo è appunto perché gli economisti, furiosi per la nostra polemica contro di loro, non vogliono riflettere sulla causa fondamentale delle nostre divergenze, e accade così che letteralmente non ci comprendiamo a vicenda, ci mettiamo a parlare due linguaggi diversi.
Se il socialdemocratico non è solo a parole per lo sviluppo integrale della coscienza politica del proletariato, egli deve, abbiamo detto, “andare fra tutte le classi della popolazione”. Sorgono le domande: ma come? Abbiamo forze sufficienti per farlo? Esiste un terreno per questo lavoro? non significherà questo o non si giungerà con questo a un abbandono del punto di vista di classe? Fermiamoci su queste questioni.
Dobbiamo “andare fra tutte le classi della popolazione” come teorici, come propagandisti, come agitatori e come organizzatori. Non vi è dubbio che il lavoro teorico dei socialdemocratici deve essere rivolto allo studio di tutte le particolarità della situazione sociale e politica delle varie classi. Ma si fa molto poco da questo punto di vista, in relazione a quanto si fa per lo studio delle particolarità della vita di fabbrica. Nei comitati e nei circoli incontrerete persone che si specializzano persino nello studio di una branca qualsiasi della metallurgia, ma non troverete quasi mai esempi di iscritti alle nostre organizzazioni (obbligati, come capita spesso, per una ragione o per l’altra, ad abbandonare l’attività pratica) i quali si occupino in modo particolare di raccogliere materiali su una questione sociale e politica di attualità che possa dare alla socialdemocrazia l’occasione di lavorare fra altri strati della popolazione. Quando si parla della scarsa preparazione della maggioranza degli attuali dirigenti del movimento operaio, non bisogna dimenticare questo aspetto della loro preparazione, poiché anch’esso è collegato al modo “economista” di intendere lo “stretto legame organico con la lotta proletaria”. Ma la questione principale è senza dubbio la propaganda e l’agitazione in tutti gli strati del popolo. (…) Perché non è socialdemocratico colui il quale di fatto dimentica che “i comunisti appoggiano dappertutto ogni movimento rivoluzionario” e che, per conseguenza, noi dobbiamo esporre e sottolineare i nostri compiti democratici generali dinanzi a tutto il popolo, senza nascondere neppure per un momento le nostre convinzioni socialiste. Non è socialdemocratico chi dimentica, in pratica, il proprio dovere di essere alla testa di tutti quando si deve porre, approfondire e risolvere qualsiasi questione democratica generale.
Il pubblico ideale per le denunce politiche è precisamente la classe operaia, che ha bisogno innanzitutto e soprattutto di cognizioni politiche vive e multiformi e che è la più atta a trasformare queste cognizioni in una lotta attiva, anche senza la prospettiva di “risultati tangibili”. (…) Solo il partito che organizzerà veramente delle denunce che interessino tutto il popolo potrà diventare l’avanguardia delle forze rivoluzionarie. E queste parole: “tutto il popolo” hanno un significato molto vasto. L’immensa maggioranza dei denunciatori che non appartengono alla classe operaia (poiché per diventare avanguardia dobbiamo attirare le altre classi) sono dei politici sensati, dei tranquilli uomini d’affari. Sanno perfettamente quanto sia pericoloso “lagnarsi” anche di un piccolo funzionario e, a maggior ragione, dell’“onnipotente” governo russo. Ed essi rivolgeranno a noi le loro proteste solo quando vedranno che possono raggiungere qualche risultato, che noi siamo veramente una forza politica. Per diventare una forza politica agli occhi del pubblico non basta appiccicare l’etichetta “avanguardia” a una teoria e a una pratica da retroguardia, ma bisogna lavorare molto e tenacemente, per elevare la nostra coscienza, il nostro spirito di iniziativa e la nostra energia.
Ma – ci domanderanno e già ci domandano i partigiani troppo zelanti del “legame stretto ed organico con la lotta proletaria” – se noi dobbiamo incaricarci di organizzare denunce che interessino veramente tutto il popolo, come si manifesterà il carattere di classe del nostro movimento? Si manifesterà appunto nel fatto che l’organizzazione di tali denunce popolari sarà opera nostra, di noi socialdemocratici, nel fatto che l’esposizione di tutte le questioni sollevate nell’agitazione sarà fatta con uno spirito coerentemente socialdemocratico e senza nessuna concessione alle deformazioni, volute o no, del marxismo, nel fatto che questa multiforme agitazione politica sarà sviluppata da un partito che lega, in un tutto indissolubile, l’offensiva contro il governo in nome di tutto il popolo, l’educazione rivoluzionaria del proletariato, la salvaguardia della sua indipendenza politica, la direzione della lotta economica della classe operaia e l’utilizzazione degli urti spontanei con i suoi sfruttatori, urti che sollevano e attraggono continuamente nel nostro campo sempre nuovi strati proletari.
Note
1. Ai tempi di questo scritto (1902) il termine socialdemocratico aveva ancora un significato rivoluzionario. Fu solo a partire dal 1914 con il tradimento della socialdemocrazia europea (che votò nei parlamenti i crediti della Prima guerra mondiale) che si produsse una separazione tra socialdemocratici e comunisti, di cui Lenin fu il principale artefice.
2. Rabociaia Mysl (Il pensiero operaio), il cui primo numero uscì a San Pietroburgo nell’ottobre del 1897, esprimeva nella socialdemocrazia russa le idee economiste nel modo più aperto e crudo, si trattava della corrente riformista più vicina alle posizioni revisioniste di Bernstein (“il movimento è tutto, il fine è nulla”). Ne uscirono 16 numeri fino al dicembre del 1902. Principali esponenti erano S. N. Prokopovic e sua moglie Y. D. Kuskova. Il primo numero aveva posto con chiarezza l’atteggiamento della rivista: “Fintanto che il movimento non era altro che un mezzo per calmare gli intellettuali presi dal rimorso (!), esso era alieno agli operai stessi… la base economica del movimento era oscurata dal costante tentativo di ricordare l’ideale politico… L’operaio medio restava al di fuori del movimento… Tale è la legge di natura. La politica segue sempre docilmente l’economia, e come risultato generale di ciò, le conquiste politiche vengono ottenute di passata, strada facendo. La lotta per lo status economico (?), la lotta contro il capitale nel campo degli interessi vitali quotidiani, e gli scioperi come mezzo di questa lotta – tale è il motto del movimento operaio” (citato in F. Dan, The origins of Bolschevism, Londra, 1964). Gli intellettuali della Rabociaia Mysl, che a parole mettevano gli operai su un piedistallo, in pratica mostravano il loro disprezzo verso i lavoratori parlando loro con condiscendenza dalle pagine del loro giornale, il quale era poco più che un bollettino di scioperi. Con il loro desiderio di essere “popolari” e di produrre un “giornale di massa”, gli economisti non facevano altro che porsi alla coda della classe operaia.
3. Raboceie Dielo (La causa operaia). Laddove Rabociaia Mysl rappresentava una difesa aperta e chiara delle teorie bernsteiniane e dell’economismo, il Raboceie Dielo rappresentava una tendenza che, come osservò Lenin, era “diffusa e indefinita, ma proprio per questo la più persistente, la più capace di ripresentarsi sotto forme diverse”. Il giornale venne pubblicato come organo dell’Unione dei socialdemocratici russi all’estero dall’aprile 1899 al febbraio 1902, con la redazione centrale a Parigi e la tipografia a Ginevra. Ne uscirono 12 numeri. Fra i redattori principali vi erano portavoce di primo piano dell’economismo come B. N. Kricevskij e A. S. Martynov.
4. Iskra (La Scintilla). Primo giornale marxista illegale fondato da Lenin nel 1900, allo scopo di condurre la battaglia contro le tendenze revisioniste nel partito. Era chiaro che una simile impresa poteva riuscire solo se si fosse unito a Plekhanov, il padre della socialdemocrazia russa. Il rapporto tra di loro non fu mai semplice ma alla fine il giornale prese forma con una redazione formata oltre che da Lenin e Plekhanov, da Vera Zasulic, Axelrod, Martov e Potresov. L’Iskra ebbe un grande successo perché rispondeva a numerose necessità. Come giornale operaio era un modello. Si esprimeva in un linguaggio semplice ma senza traccia di condiscendenza, comprensibile da qualsiasi operaio intelligente, c’era la risposta teorica alle idee degli economisti e dei loro alleati. Accanto alla denuncia sistematica dei crimini dello zarismo si trovavano nel giornale spiegazioni dettagliate della politica estera, che mettevano a nudo le complessità e le manovre della diplomazia borghese. La vita del movimento operaio internazionale veniva seguita da vicino. Ma soprattutto l’Iskra era un giornale che rifletteva accuratamente la vita, le lotte e le aspirazioni della classe operaia. In ogni numero un ampio spazio veniva occupato da brevi rapporti dalle fabbriche e dai quartieri operai, faticosamente raccolti dai corrispondenti dell’Iskra in Russia e inviati alla redazione con mezzi clandestini. In questo modo, a volte con un ritardo di mesi, i lavoratori delle diverse parti della Russia, apprendevano delle lotte dei loro fratelli e sorelle in altre parti del paese e all’estero. Il numero di comitati locali del partito che aderivano al nuovo giornale crebbe rapidamente, aprendo ogni giorno nuove possibilità, ma anche imponendo un carico severo sull’apparato ancora inadeguato a disposizione del centro in esilio. Nel numero 7 dell’Iskra (agosto 1901), la lettera di un tessitore esprimeva vividamente l’entusiasmo con il quale ogni numero veniva accolto dagli operai più avanzati in Russia: “Ho mostrato l’Iskra a molti compagni di lavoro e la copia è stata ridotta a brandelli: quanto la teniamo cara, molto più della Rabociaia Mysl, anche se non c’è stampato niente di nostro. L’Iskra scrive della nostra causa, della causa di tutta la Russia che non può essere valutata in copechi o misurata in ore: quando si legge il giornale, si capisce perché la polizia e i gendarmi hanno paura di noi operai e degli intellettuali che seguiamo. È un fatto che siamo una minaccia non solo per le tasche del padrone, ma per lo zar, per gli imprenditori e tutto il resto… Non ci vorrà molto per infiammare la gente. Serve solo una scintilla, e il fuoco divamperà. Come sono vere le parole ‘Dalla scintilla sorgerà la fiamma’! In passato, ogni sciopero era un avvenimento importante, ma oggi tutti capiscono che gli scioperi da soli non bastano e che dobbiamo lottare per la libertà, conquistarla con la lotta. Oggi tutti, giovani e vecchi, vogliono leggere, ma la cosa triste è che non ci sono libri. La scorsa domenica ho radunato 11 persone e ho letto loro ‘Da che cosa cominciare’ (il testo di Lenin del 1901, NdR). Ne abbiamo discusso fino alla sera tardi. Come tutto è ben espresso, come va al centro delle questioni… E vogliamo scrivere una lettera alla vostra Iskra e chiedervi di insegnarci non solo da dove cominciare, ma come vivere e morire.”
5. Svoboda (La Libertà) era una rivista per gli operai, edita dal Gruppo rivoluzionario socialista Svoboda. Di tendenza populista, incline al terrorismo individuale, la rivista venne apostrofata da Lenin in termini molto duri nel 1901: “La rivistucola Svoboda non vale niente. Il suo autore – la rivista dà appunto l’impressione di essere scritta dalla prima parola all’ultima dalla stessa persona – pretende di scrivere per gli operai” in modo popolare. Questa però non è divulgazione, ma volgarizzazione nel senso deteriore della parola. Non vi è una sola parola semplice, tutto è smanceria… L’autore non scrive una sola frase che non sia lambiccata, zeppa di paragoni “popolari” e parolette “popolari”, come “gli” invece di “loro”. E con questo mostruoso linguaggio vengono masticate, senza nuovi dati, senza nuovi esempi, senza una nuova elaborazione, fruste idee socialiste volgarizzate per l’occasione. La divulgazione, vien fatto di dire all’autore, è cosa ben diversa dalla volgarizzazione. Lo scrittore popolare guida il lettore a un pensiero profondo, a uno studio approfondito, partendo dai dati più semplici e conosciuti, indicando, mediante facili considerazioni o esempi appropriati, le conclusioni principali da trarre da questi dati, stimolando il lettore che pensa a porsi sempre nuovi problemi. Lo scrittore popolare non presuppone un lettore che non pensa, che non vuole o non sa pensare, ma, al contrario, presuppone nel lettore poco colto la seria intenzione di lavorare con la testa e lo aiuta a compiere questo serio e difficile lavoro, lo guida, sorreggendolo nei primi passi e insegnandogli ad andare avanti da solo. Lo scrittore volgare presuppone un lettore che non pensa e non è capace di pensare, non lo spinge verso i primi fondamenti di una scienza seria, ma verso un genere mostruosamente semplificato, colorito di scherzucci e di lepidezze, gli offre «pronte» tutte le conclusioni di una determinata dottrina, di modo che il lettore non ha neanche bisogno di masticare, ma solo d›inghiottire la pappa già pronta.”
6. Alexander Martynov (1865-1935), fu il principale esponente della redazione del Raboceie Dielo, nel congresso del Posdr (Partito operaio socialdemocratico russo) del 1903, appoggiò la componente menscevica nella quale era il principale esponente della destra interna fino al 1917. Si oppose alla Rivoluzione d’Ottobre e ai governi sovietici fino al 1923, anno in cui decise di aderire al Partito comunista dell’Unione Sovietica (Pcus). Dopo la morte di Lenin si schierò con Stalin, contro l’Opposizione di sinistra guidata da Trotskij. Fu il principale architetto delle teorie staliniane sui fronti popolari, utilizzate per giustificare la subordinazione del proletariato alla borghesia “progressista”. Martynov passò dall’economicismo al menscevismo e poi allo stalinismo, senza dover per questo cambiare mai i propri principi fondamentali. Lenin, nel 1915, si espresse in questi termini: “L’‘economicismo’ e il liquidatorismo sono forme diverse dello stesso opportunismo intellettuale, piccolo-borghese, che esiste da 20 anni. Il legame non solo ideologico, ma anche personale fra tutte queste forme di opportunismo è un fatto innegabile. Basta ricordare il capo degli ‘economisti’ A. Martynov, che è diventato in seguito menscevico e che oggi è un liquidatore”.