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Grecia, nessuna resa alla Troika!

di Roberto Sarti

Sono passati cinque mesi dalle elezioni politiche del 25 gennaio, quando lo scenario politico in Grecia è cambiato in maniera drammatica. Milioni di lavoratori e giovani hanno concesso la loro fiducia ad un partito, Syriza (acronimo per “Coalizione della sinistra radicale”) che fino a tre anni fa non riusciva a raggiungere il quattro per cento dei voti. Il 25 gennaio scorso, il 36,3%, oltre due milioni e duecentomila persone hanno votato per Syriza.

Partiti come il Pasok, che avevano dominato la politica e la società greca per quattro decenni, sono stati relegati al ruolo di comparse; Nuova democrazia, il partito del primo ministro Antonis Samaras, destinata all’opposizione per tutto un periodo. Tutto questo è il risultato di grandi lotte di massa che hanno attraversato il paese ellenico. Trenta e più scioperi generali, assieme agli effetti pesantissimi della crisi, hanno cambiato profondamente la coscienza di milioni di giovani e lavoratori. Giovani e lavoratori che hanno votato Syriza per dire no ai ricatti della Troika e per uscire da una crisi che ha condotto le masse sul baratro del Terzo mondo. I dati sono sconvolgenti. Tra il 2008 e il 2015 il Prodotto interno lordo è crollato del 26,4%. Il tasso di disoccupazione all’inizio del 2015 era del 27%, quello giovanile al 50%. Alla fine del 2014 il 44% delle famiglie viveva al di sotto della soglia di povertà (fonte: ekathimerini.com).

La cura da cavallo imposta dalla Troika non ha affatto migliorato lo stato dell’economia. Alla fine del 2014 il debito pubblico ammontava a 317 miliardi di euro, il 177% del Pil, una crescita rispetto al 2013 quando era al 175%.Nel programma elettorale elaborato a Salonicco il gruppo dirigente di Syriza annunciava di voler operare una svolta decisa rispetto alle politiche di austerità imposte dal capitalismo greco e internazionale. I primi mesi trascorsi ci permettono di operare una prima valutazione dell’operato di Alexis Tsipras e compagni.

Il governo Syriza – Anel

Il risultato ottenuto alle urne non ha permesso a Syriza di governare da sola. La ricerca di alleanze per formare una maggioranza non è stata fatta a sinistra, verso il Partito comunista greco (Kke), ma alla sua destra, verso il partito degli Indipendenti greci (Anel), una scissione di Nuova democrazia che contestava l’appoggio dato al Memorandum con la Troika. La critica tuttavia era del tutto strumentale e volta a mantenere una parte dei consensi della piccola e media borghesia arrabbiata nel campo della borghesia. Al suo principale leader, Kammenos, è stato concesso il Ministero della difesa, un dicastero che da sempre assorbe un fetta importante del bilancio statale. Dal governo delle sinistre, Tsipras ora era passato al “governo di tutti i greci” e di “salvezza nazionale”.

Il governo Tsipras è quindi condizionato dalla nascita da un vizio, quello della collaborazione di classe tra un partito espressione del movimento operaio e uno borghese. Nelle prime settimane, tuttavia, l’entusiasmo e la speranza di cambiamento rimanevano molto grandi. Le manifestazioni e i presidi in sostegno al governo contro i creditori internazionali crescevano sempre di partecipanti. Si poteva notare anche una consistente presenza giovanile. Il protagonismo delle masse poteva rappresentare l’alleato più prezioso per il governo, e fornirgli un vantaggio, quello dell’appoggio popolare, che certamente non poteva vantare su altri terreni, particolarmente quelli economico e diplomatico.

Ed invece Tsipras e Varoufakis hanno puntato tutto sul terreno della diplomazia, sul tentativo di operare una divisione tra i governi europei “buoni” e quello tedesco, “cattivo”. Il presunto fronte dell’Europa anti-Merkel è crollato nel giro di pochi giorni, se mai era esistito. Da Hollande a Renzi passando per Rajoy, tutti hanno ribadito un concetto: la Grecia deve onorare i suoi impegni. Un ragionamento spietato, se si vuole, ma assolutamente naturale dal punto di vista delle classe dominanti. Creare un precedente per la Grecia avrebbe prodotto un esempio pericoloso all’interno dei rispettivi paesi. Non può assolutamente passare il concetto che all’austerità si può derogare e che addirittura lo può fare un governo della sinistra.

I dirigenti di Syriza semplicemente non capivano perché la Troika avesse tanta ostilità nei confronti del programma di Salonicco, un programma più moderato di quello delle elezioni del 2012. Ad esempio Syriza aveva abbandonato la proposta della nazionalizzazione delle banche e del non pagamento del debito. Eppure anche misure come portare il salario minimo a 750 euro (quando un terzo dei lavoratori ne guadagna meno di 470); ripristinare i diritti sindacali e i contratti collettivi (attualmente il 93 per cento di lavoratori non ne gode); riaprire la televisione pubblica; garantire forniture elettriche e di gas gratuite alle famiglie che vivono nella povertà, costituiscono una vera e propria provocazione per la borghesia internazionale. Non c’è “emergenza umanitaria” che tenga, i primi mesi del governo Tsipras dimostrano che non c’è spazio per le misure riformiste.

Trovatasi isolata a livello internazionale, Syriza ha dovuto subire anche il sabotaggio interno, della borghesia greca. Tale sabotaggio ha assunto la forma di una massiccia fuga di capitali. I depositi bancari, conteggiando sia quelli dei privati che delle imprese, sono diminuiti costantemente, mese dopo mese. L’ultimo rapporto della Banca centrale greca illustra come siano usciti dalla Grecia ancora 1,9 miliardi di euro a marzo, portando l’ammontare totale dei depositi nel mese di aprile a 133,6 miliardi di euro, il livello più basso dal dicembre 2004. Solo negli ultimi tre mesi dalle banche greche sono stati ritirati 27 miliardi di euro. Si crea così una situazione senza uscita, dove i prestiti del fondo di emergenza della Bce servono in sostanza a coprire i buchi creati dai grandi capitalisti.

L’accordo con l’Eurogruppo del 20 febbraio

In tempi piuttosto brevi si è dunque arrivati all’accordo del 20 febbraio tra la Grecia e l’Eurogruppo che ha rappresentato la subordinazione di Atene alle “tre istituzioni”, la nuova denominazione della Troika.

La successiva lettera inviata da Varoufakis accetta pienamente le logiche che in campagna elettorale Syriza aveva detto di voler ribaltare. Il governo ha accettato la pratica umiliante, propria dei governi precedenti, di inviare il piano delle riforme ai creditori e subordinarne l’applicazione alla loro approvazione.

L’accordo del 20 febbraio costituisce dunque uno spartiacque.

Si accetta il principio della sostenibilità del debito e non c’è alcun impegno preciso sui criteri tramite i quali recuperare i crediti dello Stato. Ne consegue la necessità di “identificare misure di risparmio della spesa attraverso una ‘spending review’ di ogni ministero” e la “revisione e controllo della spesa pubblica e sociale in tutti i settori”. Il controllo pubblico delle banche, previsto dal programma di fondazione del partito, è abbandonato. “Le banche opereranno sulla base di solide leggi commerciali e di mercato”. Verranno mantenute le privatizzazioni già concluse e quelle per cui è già stato emesso il bando pubblico di acquisto. Inoltre, non si escludono nuove privatizzazioni.

Il governo “si impegna a non ritirare le privatizzazioni già completate e a rispettare in base alla legge quelle per cui è stato lanciato il bando”. Opererà una “revisione di quelle non ancora avviate, in modo da massimizzare i benefici a lungo termine dello Stato”. Si mantengono i contratti a tempo determinato per i disoccupati, comprese condizioni salariali e lavorative degradanti. Viene ritirato l’impegno a ripristinare il contratto collettivo nazionale di lavoro, così come viene rimandato a un tempo indefinito l’aumento del salario minimo.

Tutto questo è stato fatto nella logica della politica dei due tempi: concediamo qualcosa oggi per guadagnare tempo e potere approfittare di una situazione migliore domani. Sono passati oltre tre mesi. La Troika non ha fatto alcuna concessione, pretende che i debiti vengano pagati e la Grecia rispetta le scadenze con la precisione di un orologio svizzero. Il 9 aprile ha versato 450 milioni di euro, a maggio altri 950 milioni in due tranche. A giugno, mentre andiamo in stampa, c’è una scadenza di un altro miliardo e mezzo mentre tra luglio e agosto è collocato lo scalino più arduo: la restituzione di 6,7 miliardi di euro. Senza investimenti statali, né privati, lo stato dell’economia non può che peggiorare. Le previsioni di crescita del Pil per il 2015 si sono ridotte dall’1,2% dell’inizio del 2014 allo 0,5%.

La strategia internazionale è chiara: soffocare la Grecia, fino a quando, col paese stremato, Tsipras non sarà costretto a firmare tutto ciò che il capitale desideri. Per questo la prospettiva di compromesso onorevole agognata da Tsipras non potrà mai realizzarsi.

L’asse centrale della proposta del governo Syriza-Anel sulla questione del debito è che una parte significativa dei debiti nazionali dei paesi membri dell’Eurozona dovrebbe essere presa in carico dalla Banca centrale europea. Su questa base si potrebbe avviare una ristrutturazione del debito e concedere un po’ di respiro alla Grecia.

Il ragionamento verte sull’assunto che la Bce abbia una politica indipendente dalle nazioni che la finanziano, e che quindi si possa operare una politica di “convincimento” su di essa. Tuttavia, questa è una pia illusione. I debiti che Draghi contrae devono essere prima poi ripagati e di essi si devono fare garanti i paesi “reali” e in primo luogo la Germania. La riprova di questo è come la Grecia sia stata esclusa dalla politica di quantitative easing della Banca europea. La Bce, come ogni altra istituzione economica capitalista, non è un istituto di beneficenza, e tratta la Grecia di conseguenza.

Con un’ostinazione che rasenta l’ottusità, per convincere i “partner” e le istituzioni europee, la direzione di Syriza ha fatto di tutto: ripetuti tour nelle principali capitali europee, estenuanti trattative notturne, ha perfino ridimensionato il ruolo di Varoufakis. Il Ministro dell’economia, ritenuto troppo indipendente, è stato sostituito da Euclid Tsakalotos, il Viceministro degli esteri, come nuovo coordinatore del gruppo che dovrà negoziare con Fondo monetario internazionale e Commissione Ue. Ma, naturalmente, non è servito a nulla.

Grexit?

Se Atene non cede in maniera significativa, la prospettiva di un’uscita dall’euro non è da scartare. Gli analisti si interrogano sul fatto che possa avvenire come “grexit” cioè sia in qualche modo concordata, oppure sia una “grexident”, dove la situazione precipita improvvisamente.

Un settore della borghesia non vede l’ipotesi di una grexit in maniera negativa: gli effetti di una uscita della Grecia dall’euro sarebbero oggi più contenuti che nel 2010, soprattutto per il fatto che la grande parte del debito non è più nelle mani delle banche private ma degli Stati. In questo settore, c’è anche chi calcola che gli effetti di un’uscita della Grecia dall’euro sarebbero meno negativi delle concessioni che i creditori dovrebbero fare per mantenerla all’interno dell’eurozona. Ad oggi comunque, soprattutto in Germania, la prospettiva di una uscita della Grecia dall’euro non è maggioritaria all’interno dei circoli della borghesia che contano.

C’è chi invece a sinistra prefigura il ritorno alla dracma come una soluzione per la crisi greca. Noi crediamo invece che all’interno del capitalismo, l’uscita dall’eurozona sarebbe una sciagura con conseguenze diverse ma altrettanto tragiche. In primis, la fuga di capitali, già preoccupante oggi, assumerebbe proporzioni drammatiche. Quale milionario manterrebbe infatti il proprio conto legato a una moneta che sarebbe totalmente svalutata? Alcuni dicono che la svalutazione aiuterebbe le esportazioni. Il piccolo problema è che la Grecia, paese totalmente privo di materie prime, dovrebbe importare prima tali materie per poter produrre merci, e lo dovrebbe fare a prezzi insostenibili. Per non parlare del crollo del potere d’acquisto di salari e pensioni e dell’esplosione dell’inflazione. La borghesia nazionale, che in questo piano rimarrebbe saldamente al potere, non esiterebbe un attimo a far pagare tutto il conto della crisi ai lavoratori e alle loro famiglie. I fautori del ritorno a una vera “sovranità nazionale” all’interno del capitalismo non capiscono che la soluzione alla crisi non risiede all’interno dei confini della Grecia. E soprattutto che non esiste una reale sovranità nazionale all’interno del mercato mondiale.

Un’alternativa può certamente iniziare in Grecia, ma a condizione che il governo di Syriza adotti delle misure appropriate per difendersi dal sabotaggio interno ed esterno. Misure che non possono che essere rivoluzionarie, partendo dal controllo della circolazione dei capitali attraverso la nazionalizzazione del sistema bancario e finanziario sotto il controllo dei lavoratori. È evidente che in questo scontro duro, dove verrebbero prese chiare misure antisistema, la questione dell’uscita dall’euro sarebbe posta, ma sarebbe in tal caso la conseguenza inevitabile della rottura con il capitalismo, e non la premessa di una impossibile politica di riforma del capitalismo.

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Anche in una situazione del genere, dove i rapporti di forza fra le classi sarebbero radicalmente cambiati a favore della classe operaia, la Grecia dovrebbe lanciare comunque un appello alla rivoluzione negli altri paesi europei. Un’economia pianificata, controllata dai lavoratori, non potrebbe durare a lungo, nel XXI secolo, all’interno di un mondo capitalista. Solo nel contesto di un’Europa socialista, che rovesci l’anarchia dell’economia capitalista risiede la certezza di un futuro delle masse greche.

Ad oggi la prospettiva di un’uscita dall’euro non è maggioritaria all’interno della direzione di Syriza. Se avvenisse, assumendo dunque le caratteristiche di un grexident, non sarebbe affatto preparata e condurrebbe al peggiore degli scenari possibili.

Il movimento operaio

Stretto nella morsa della Troika, il gruppo dirigente di Syriza ha tuttavia intrapreso alcune iniziative previste nel suo programma.

Ha riaperto il canale televisivo statale Ert, chiuso dal 2013, riassumendo oltre 1.500 dipendenti. Ha avviato le procedure per riassumere 3.900 dipendenti pubblici, tra cui 450 lavoratrici delle pulizie del Ministero dell’economia, celebri per una lotta che è durata mesi e che è diventata un simbolo per la classe lavoratrice greca. Il provvedimento sta instaurando una dinamica di protagonismo anche all’interno di altri settori della classe lavoratrice greca che vogliono seguire l’esempio delle lavoratrici del Ministero dell’economia. Insegnanti, lavoratori dei servizi sociali, altri pulitori, chiedono di essere riassunti dal governo Syriza-Anel. Vedono che la lotta paga e che c’è un governo amico.

All’interno delle confederazioni sindacali c’è un clima di attesa e di incertezza. Bisogna considerare che dopo gli anni del Memorandum e l’abolizione del Contratto collettivo nazionale di lavoro, il tasso di sindacalizzazione è sceso al 15% circa. In diverse categorie, soprattutto nel settore privato, il sindacato è praticamente scomparso.

Questo indebolimento complessivo e la mutata situazione politica hanno condotto i sindacati in una situazione di transizione. La maggioranza di Adedy, la Confederazione dei dipendenti del settore pubblico, è ora in mano alla corrente che fa capo a Syriza. La Confederazione dei lavoratori del settore privato, Gsee, è ancora controllata da un’alleanza tra la componente del Pasok e quella di Nuova democrazia. Tuttavia non assume una posizione avversa al nuovo esecutivo, visto il discredito di cui godono i due partiti tra la classe lavoratrice.

La questione centrale è che i vertici sindacali hanno un’autorità minore sul movimento. È possibile che nuove mobilitazioni si sviluppino fuori dal controllo delle direzioni sindacali, differentemente dal periodo 2008-2013, quello dei trenta scioperi sindacali, per intenderci.

Il dibattito all’interno di Syriza

Syriza si è formato come partito nel suo congresso del 2013. Originariamente si era costituito nel 2004 come fronte elettorale del Synaspismos, il partito nato all’inizio degli anni ’90 come scissione dal Kke (Partito comunista) successivamente al crollo dell’Urss.

Dato il carattere fortemente stalinista del Kke, Syriza era già diventato prima del suo straordinario successo elettorale del 2012 un approdo per tutta una serie di piccoli gruppi di sinistra ed estrema sinistra.La maggioranza di essi, insieme a un settore proveniente dal Synaspismos, ha costituito la Piattaforma di sinistra (Aristeri platforma), che ha ottenuto al congresso del 2013 il 30% dei consensi.

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La piattaforma di sinistra non ha mai sviluppato in questi anni un’alternativa complessiva alla maggioranza del partito, ma si è caratterizzata sempre per un atteggiamento emendatario. Non si è opposta alla formazione del governo con Anel, anzi ha accettato di avere ministri e sottosegretari nel governo. Panagiotis Lafazanis, il suo principale esponente, è Ministro dell’energia. Non è per il rifiuto del pagamento del debito, ma per una sua ristrutturazione radicale. Nella sua parte maggioritaria, è per l’uscita della Grecia dall’euro.

Successivamente all’accordo del 20 febbraio, le voci critiche all’interno di Syriza si sono rafforzate. Una parte della maggioranza ha espresso numerose perplessità: tra di essi, Manolis Glezos, europarlamentare ed eroe della resistenza contro il nazismo, e la presidente del parlamento, Zoe Kostantopoulou.

Tale critica si è espressa nel comitato centrale del 28 febbraio-1 marzo scorsi, ottenendo il 41% dei consensi per un emendamento al documento di maggioranza. Un settore della maggioranza, attorno a Yannis Milios, ex capo del Dipartimento delle politiche economiche di Syriza, si è unito in maniera strutturale all’opposizione e di recente ha pubblicato un appello che vede anche la firma di tre membri della segreteria politica di Syriza (su 13), dal titolo “Rottura con i creditori ora”.

La stessa tendenza di maggioranza (Unità a sinistra, Aren) si è divisa e il gruppo più ristretto attorno al Primo ministro ha lanciato una nuova iniziativa chiamata “Movimento unitario” con lo scopo di serrare le fila attorno al governo.

Una strategia che non sembra essere servita a molto. Nel Comitato centrale del 23-24 maggio l’appoggio alla linea governativa è ancora diminuito, con 75 membri del comitato centrale (il 44%) che hanno sostenuto un emendamento della Piattaforma di sinistra che invita, tra le altre proposte, a una moratoria del pagamento del debito e a una rottura con i creditori. È chiaro che i margini di manovra per Syriza si fanno sempre più stretti. Le pressioni della borghesia greca e internazionale sono sempre maggiori, mentre il gruppo dirigente del partito ha scelto coscientemente di non mobilitare più le piazze dopo il 20 febbraio.

Un governo così sospeso nel vuoto potrebbe non conoscere limiti nel proprio spostamento a destra. Davanti alla firma di un accordo che ceda alle richieste della Troika in maniera sostanziale, la spaccatura all’interno di Syriza sarebbe probabile e non si può escludere che Tsipras e il nucleo più fedele attorno a lui cerchi un appoggio in partiti di centro-sinistra come To potami.

L’occasione che il Partito comunista greco sta sprecando è clamorosa. L’unico compromesso possibile per i dirigenti del Kke è quello che avviene sulla condivisione al 100 per cento della propria piattaforma. Ad esempio, hanno ribadito più volte che non sono disposti a votare la fiducia nemmeno a un governo che rompesse i negoziati con i creditori. Questo cieco settarismo fornisce una scusa su un piatto d’argento a Tsipras per non cercare alleanze a sinistra.

Oggi un appello al fronte unico da parte del Kke, per rompere con le politiche di compromesso, riaccenderebbe le speranze di migliaia e migliaia di attivisti, oggi in balia dell’incertezza più totale. È proprio nel sostegno popolare che può risiedere la speranza per il governo Tsipras. Un governo che spiegasse la propria disponibilità ad andare fino in fondo nel rispetto del programma elettorale, ad abolire il Memorandum e a non pagare il debito, riempirebbe di nuovo le piazze di Atene, di Salonicco e delle altre città greche di giovani e di lavoratori entusiasti.

Questi sono gli assi programmatici centrali per cui si batte la Tendenza comunista di Syriza. Non facendo mai mancare i propri voti per una battaglia di opposizione comune all’interno degli organismi dirigenti, i nostri compagni hanno sempre sviluppato una battaglia coerente sulla base di un’analisi e un programma marxisti. Si sono schierati contro il governo di coalizione con Anel e per un governo delle sinistre. Hanno spiegato che il debito non si può né pagare né ristrutturare, ma solo rifiutare nella sua integrità. Hanno ribadito che per rispettare il programma di Salonicco bisogna nazionalizzare le banche e il sistema finanziario. Che non è più il tempo delle mezze misure, o delle terze vie, ma quello di un’alternativa rivoluzionaria al capitalismo.

Le prossime settimane e mesi saranno decisivi per il governo Tsipras. La direzione contraddittoria e confusa presa in questi primi mesi non è ancora senza ritorno. Alla domanda: “quale sarà il destino di Syriza?” sarà, in ultima analisi, la lotta di classe a fornire la risposta.

 

giugno 2015

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