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15 Febbraio 2016In Italia, come nella maggior parte degli altri paesi, si sa poco su quello che sta succedendo in Egitto oggi e soprattutto su quella che è la condizione dei diritti umani, democratici e sindacali. L’attenzione degli italiani verso questo paese è stata risvegliata nel peggiore dei modi: il barbaro assassinio di Giulio Regeni.
Giulio non era un turista sprovveduto o uno studente in cerca di avventure. Parlava bene l’arabo e da ottobre si trovava al Cairo per scrivere del movimento sindacale egiziano, in particolare dei sindacati indipendenti e della ripresa degli scioperi di questi mesi (completamente oscurata nei media). Aveva promesso ad un suo amico che non sarebbe andato a fare interviste ad attivisti sindacali fino al 25 gennaio, giorno del quinto anniversario della rivoluzione che portò alla caduta di Mubarak.
Cosa è successo?
25 gennaio, mattina: Giulio manda un messaggio ad un suo amico chiedendo se ci fossero programmi per la festa di compleanno di un loro amico comune.
25 gennaio, ore 20: viene visto per l’ultima volta mentre va con la metro dalla fermata di El-Behoos (nel quartiere di Dokki, Giza, dove abitava) verso Piazza Babelouk (a pochi passi da Piazza Tahrir).
3 febbraio, pomeriggio: il cadavere di Giulio viene ritrovato in un fosso accanto l’autostrada Cairo-Alessandria
3 febbraio, sera: il direttore del Diparimento Investigazioni di Giza, Khaled Shalabi (condannato dal Tribunale di Alessandria nel 2003 per falsificazione di rapporti di polizia e per aver torturato a morte un uomo), comunica che il ragazzo è stato vittima di un incidente stradale e non ci sono segni di percosse: “non è stato un atto criminale”.
4 febbraio, ore 10: il Ministero degli Esteri italiano convoca d’urgenza l’ambasciatore egiziano.
4 febbraio, ore 12: prime osservazioni sul cadavere riscontrano torture, bruciature di sigarette, tagli, fratture, segni di una morte lenta.
6 febbraio: l’autopsia fatta in Italia conferma le torture; anche se non è sicura la data della morte, è chiaro che Giulio è stato nelle mani dei sequestratori per diversi giorni.
Il regime di Al-Sisi
La cronologia degli eventi chiarisce che le autorità egiziane hanno cercato subito di depistare ed insabbiare il caso, liquidandolo come incidente. La ragione: attraverso le proprie forze di sicurezza, sono totalmente coinvolte nell’omicidio.
Giulio Regeni è stato individuato come obiettivo perché si interessava del risveglio del movimento operaio. E in Egitto il movimento sindacale viene considerato un “argomento sensibile”, ovvero: non se ne deve parlare.
La ragione è presto detta: il movimento operaio è stato decisivo nel rovesciare prima Mubarak, nel gennaio del 2011, e poi il leader dei Fratelli musulmani, Morsi, nel luglio 2013. Il regime di Al-Sisi è il prodotto di questa rivoluzione tradita. I militari hanno riempito il vuoto di direzione di quel gigantesco movimento che portò il 30 giugno del 2013 diciassette milioni di lavoratori e giovani egiziani in piazza, e lo hanno deragliato, accreditandosi come i suoi legittimi rappresentanti ma in realtà operando una svolta controrivoluzionaria che in primo luogo ha cercato di annientare ogni forma di organizzazione indipendente della sinistra e del movimento sindacale.
Al-Sisi teme come la peste un risveglio della classe operaia che possa rovesciare il suo regime come è successo per quelli di Mubarak e Morsi.
L’omicidio di Giulio avviene in un periodo in cui la repressione del regime sta dando un’ulteriore stretta. L’Egitto ha il record di giornalisti incarcerati e ogni giorno 3 persone “spariscono”, rapite dalla polizia.
Il governo italiano ha fatto molte dichiarazioni in cui dice che farà tutto il possibile per accertare la verità ed ha mandato degli investigatori italiani ad indagare insieme alle autorità egiziane. In realtà, però, non è una novità che quello egiziano sia un regime dittatoriale e che i militari al potere stanno portando avanti una repressione spietata. Dodicimila arresti solo nel 2015 con l’accusa di terrorismo, 1600 “desaparecidos”, condanne pesantissime ai ragazzi del movimento “6 aprile” che avevano dato il via alla Rivoluzione del 2011… Malgrado tutto ciò, il governo italiano non ha mai detto nulla sul regime di Al-Sisi. Al contrario, l’Egitto è per l’Italia un partner strategico, sia da un punto di vista militare (Medio Oriente, Libia, Isis) sia da un punto di vista economico (130 aziende italiane operano in Egitto, prima fa tutte l’Eni, ma anche Edison, Banca Intesa, Italcementi, Pirelli, Gruppo Caltagirone). Anzi, l’Istituto nazionale per il commercio con l’estero ha descritto nell’ultima nota congiunturale (gennaio 2106) come “Il processo di stabilizzazione politica, che ha visto nell’elezione del presidente Abdel Fattah Al-Sisi il suo momento culminante, si sta riverberando positivamente sull’economia dell’Egitto”. Tradotto: la dittatura militare garantisce meglio i nostri affari in Egitto.
Questa “stabilizzazione” si basa non solo sull’abolizione dei diritti umani e politici (come l’infame “legge anti-protesta” del 2013), ma anche di quelli sindacali. Oltre a cercare di aumentare i poteri del sindacato ufficiale controllato dallo Stato (negli ultimi 5 anni i suoi leader sono stati nominati dal Ministro del Lavoro), il governo sta portando avanti una serie di processi per far condannare come illegali tutte le strutture locali e di categoria dei sindacati indipendenti. E non è un caso che proprio in questo periodo stia aumentando la repressione contro gli attivisti sindacali, visto che c’è una ripresa del movimento operaio, soprattutto dei sindacati indipendenti, e sono ricominciati gli scioperi nelle fabbriche, come ha spiegato molto bene Giulio nel suo ultimo articolo, pubblicato postumo da Il Manifesto.
L’Egitto è anche un alleato prezioso dell’Italia dal punto di vista militare e per la “stabilizzazione” dell’area. La grande coalizione che avrebbe il compito di debellare l’Isis in Libia, a cui le potenze occidentali, tra cui l’Italia, stanno lavorando alacremente ma finora con scarsi risultati, non può prescindere dall’Egitto.
Egitto che da tempo bombarda non solo le basi dell’Isis in Libia, ma tutti gli avversari del governo di Tobruk, suo alleato strategico.
Non abbiamo alcun dubbio che, qualora iniziasse un intervento militare in Libia, il governo Renzi molto velocemente metterebbe in secondo piano la ricerca di giustizia per Regeni di cui il ministro Gentiloni si è riempito la bocca, e imbarcherebbe subito Al-Sisi nella coalizione contro il terrorismo, come uno degli alleati più affidabili.
Quindi tutte le dichiarazioni di Renzi e compagnia sul caso Regeni lasciano il tempo che trovano, visto che lo Stato italiano ha collaborato e sostenuto attivamente il regime di Al-Sisi, ben sapendo che è una dittatura militare che reprime, incarcera e uccide migliaia di lavoratori e di giovani. E lo continuerà a fare accontentandosi, quando l’attenzione mediatica verso Giulio Regeni scemerà, di un capro espiatorio o di una delle tante spiegazioni di comodo che una polizia segreta è esperta a fabbricare ad arte…
Verità e giustizia per Giulio Regeni!
No alla repressione in Egitto! Sì ai diritti sindacali!
Abbasso il regime assassino di Al-Sisi!