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25 APRILE – Non “arruoleremo” i partigiani nella NATO!

Intervenendo alla manifestazione guerrafondaia del PD, il presidente dell’Ucraina Zelensky aveva difeso così la richiesta di no-fly zone: “dopo l’Ucraina ci sarete solo voi a difendere la libertà”. Anche i governi ed i mezzi di comunicazione dei paesi imperialisti dell’Europa occidentale e del Nord America ripetono alla nausea che la posta in gioco in Ucraina è la difesa del “nostro stile di vita”, dello Stato di diritto e di altre essenze care ai liberali.

Il governo Draghi ed in particolare il PD intensificano questa propaganda col parallelismo tra la Resistenza antifascista del 1943-1945 e quella contro l’invasione russa guidata dallo stato maggiore dell’esercito ucraino. Peraltro, creare un clima di unità nazionale – rafforzato dall’adesione della destra di Fratelli d’Italia al bellicismo governativo – servirà ad imporre meglio i prossimi attacchi allo stato sociale ed ai diritti dei lavoratori. Opporsi a questa propaganda è necessario: giù le mani dalla Resistenza!

 

L’inganno della “guerra per i valori”

L’operazione è disgustosa. Quale sarebbe il “nostro stile di vita” sotto l’ombrello di UE e NATO? Quello dell’accoglienza fatta di filo spinato, annegamenti nel Mediterraneo e campi di detenzione sub-appaltati a Turchia e Libia per coloro che fuggono dalla guerra e dalla miseria provocate dai “nostri” capitalisti? Il rispetto dello Stato di diritto include bombardamenti e invasione di paesi quando conviene alla “nostra” classe dominante, come in ex-Jugoslavia, in Libia, in Afghanistan ed in Iraq? Oppure l’amicizia e la vendita di armi a regimi dittatoriali come l’Arabia Saudita ed il Marocco?

L’ipocrisia delle potenze imperialiste occidentali è rivoltante. Appropriarsi della Resistenza partigiana per nobilitare la propria politica in Ucraina ed il riarmo generale è altrettanto inaccettabile.

 

Il miraggio della “resistenza ucraina”

Appena a sinistra del PD, molti si agitano per l’invio di armi all’Ucraina in nome dei valori della Resistenza antifascista. Secondo Sergio Cofferati, ex-segretario generale CGIL, “se non difendiamo i nostri valori non saremo più credibili”. Lo scrittore Erri De Luca schiva le osservazioni sul carattere reazionario del governo Zelensky affermando che “quando ci si batte contro un invasore le distinzioni contano poco”. Su MicroMega l’ex-combattente delle milizie curde YPG Davide Grasso subordina l’aiuto militare ad una condizione: “il Battaglione Azov e i gruppi analoghi devono essere sciolti, giacché mettono a rischio la sicurezza di noi europei non meno del gruppo Wagner sguinzagliato da Putin. Miliziani del genere dovrebbero essere obbligati a battersi senza insegne e senza costituire gruppi politici organizzati. Fino a che questo non accadrà, occorre dare sostegno soltanto ai resistenti ucraini che non adottano ideologie del genere e non hanno legami con questi gruppi”. Grasso rimuove che non esiste in Ucraina una resistenza armata “popolare”, indipendente dallo stato maggiore e non egemonizzata dal nazionalismo.

Queste posizioni sono accomunate da un errore cruciale: la guerra è presentata soltanto come fatto militare, le classi sociali che dirigono gli eserciti scompaiono. Però, la natura e gli obiettivi di una guerra dipendono in modo decisivo dalle forze sociali che ne hanno il comando. In questo caso, il governo Zelensky è il rappresentante della borghesia ucraina, subordinata all’imperialismo statunitense, e conduce una guerra per procura nella quale usa cinicamente la gioventù e i lavoratori come “fanteria” della Nato. Peraltro, la guerra accentua il bonapartismo del regime: Zelensky ha messo al bando i rimanenti partiti di sinistra e d’opposizione e unificato i canali televisivi in una sola antenna governativa. Non possiamo rimanere ipnotizzati dal carattere armato della resistenza, che in sé non le conferisce alcun aspetto progressista.

D’altra parte, anche la propaganda putiniana sulla “denazificazione” è soltanto un orpello ideologico utilizzato dall’imperialismo russo (finanziatore dell’estrema destra in Europa) per nobilitare la propria azione che, al contrario, è parte della politica di potenza regionale che il Cremlino porta avanti almeno sin dall’invasione della Georgia nel 2008. Anche in Russia, inoltre, la guerra rafforza il bonapartismo del regime.

La Resistenza antifascista scoppiò sulla base del protagonismo di milioni di operai e contadini che volevano annientare il fascismo ed erano animati da idee internazionaliste e socialiste. Questa è l’eredità più preziosa: per questo non permetteremo che i partigiani di ieri vengano “arruolati” sotto le insegne di nessuno dei due blocchi reazionari oggi in guerra.

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