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24 Aprile 2020Le interviste di Scr
25 Aprile 2020“Prima del 25 Aprile, per dieci giorni, le masse popolari esercitarono il potere reale nel Nord Italia, le truppe alleate erano ancora lontane, e per qualche tempo ancora disposero dell’appoggio entusiasta della maggioranza della popolazione, del controllo delle fabbriche, di una grande spinta contadina in numerose zone”.
(G. Quazza, Resistenza e storia d’Italia, 1976)
Non appena l’ANPI nazionale ha proposto che il 25 aprile ci si affacci alle finestre e si canti Bella Ciao, il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, onnipresente nei talk-show, ha inveito contro “questa farsa del fascismo e dell’antifascismo che ha avvelenato l’aria dal Dopoguerra a oggi” (Il Giornale, 6-4-2020), per poi concludere disgustosamente che una cosa buona l’epidemia di Covid-19 l’ha prodotta, ovvero impedire agli antifascisti di scendere in piazza per il 25 aprile.
Se ce ne fosse bisogno, potremmo prendere questa sparata reazionaria come l’ennesima dimostrazione di quanto la classe dominante – in questo caso un suo scribacchino – continui ad essere perseguitata dallo spettro di quelle centinaia di migliaia di partigiani in armi (giovani, operai, contadini) che il 25 aprile del 1945 schiacciarono definitivamente il fascismo con l’idea che quello fosse l’inizio dell’abbattimento del capitalismo.
L’ANPI, ad essere precisi, invita anche ad esporre bandiere tricolori ma con questo afflato patriottico, comprensibilmente, Sallusti non ha polemizzato.
La proposta dell’ANPI va oltre. Lanciando l’hashtag #iorestolibero, l’associazione guidata da Carla Nespolo ha fatto appello a donare almeno 2 euro alla Caritas o alla Croce Rossa Italiana per aiutare chi non ha un tetto o chi gestisce mense per poveri.
L’appello dell’ANPI, generico, prova a darsi un orizzonte politico: in questo 75° anniversario della liberazione dal nazi-fascismo, l’urgenza sarebbe quella di “porre fine a tutte le guerre fratricide per unirci tutti nell’unica lotta contro i tre nemici comuni: il virus, il riscaldamento del pianeta e le disuguaglianze socio-economiche”. Naturalmente, segue nutrito elenco di adesioni delle cosiddette personalità i cui meriti antifascisti, a dire il vero, ci sfuggono: dal privatizzatore Romano Prodi allo chef di grido Carlo Cracco, dal conformista Fabio Fazio al direttore de la Repubblica. Non manca neanche la firma del segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, e di esponenti delle formazioni riformiste a sinistra del PD, organicamente incapaci di prendere una posizione indipendente.
Quello che, invece, manca nell’appello dell’ANPI è uno spirito di lotta. Mentre il governo Conte si fa garante per centinaia di miliardi di prestiti ai padroni e Confindustria è in pressing per riaprire tutte le aziende non essenziali, in uno sfoggio disinvolto di disumanità capitalista, l’ANPI invita ad “unirci tutti”.
È possibile continuare ad affermare che davanti a “virus, riscaldamento globale e disuguaglianze socio-economiche” siamo tutti sulla stessa barca? Nell’appello dell’ANPI i nemici diventano entità evanescenti, impalpabili, “meteoriti” che hanno colpito, rigorosamente dall’esterno, il nostro sistema solare.
Per noi il 25 aprile significa altro. Significa, in primo luogo, indicare le forze contro cui bisogna lottare per tutelare la salute pubblica, salvare il pianeta dalla catastrofe climatica e abolire le disuguaglianze socio-economiche. Ed in cima a quella lista c’è Confindustria: quelli che, giusto per fare un esempio, a inizio marzo hanno prodotto un video, “Bergamo is running”, per tranquillizzare gli investitori stranieri sulla gravità dell’epidemia in corso nella zona.
Ma Confindustria è la stessa che all’inizio degli anni Venti del ‘900 fornì un appoggio finanziario e politico decisivo alle bande ancora male organizzate del Partito Nazionale Fascista di Mussolini. Quali furono gli obiettivi degli industriali ? Schiacciare e terrorizzare con ogni mezzo il movimento operaio che, in quegli anni, ispirato dalla Rivoluzione d’Ottobre e ricordando gli orrori della guerra, cercava anche in Italia di cambiare la società dalle fondamenta.
Case del popolo, sedi sindacali, socialiste e comuniste prese d’assalto e bruciate, “caccia al rosso” con la complicità dei prefetti e di tutto l’apparato statale : questa fu l’ascesa al potere del fascismo.
Non c’è nessuna seria ragione per festeggiare il 25 aprile con un abbraccio, fisico o simbolico che sia, tra “tutti gli italiani”.
Pochi mesi fa è mancato il partigiano Giovanni Gerbi, combattente nelle brigate “Garibaldi”, ultimo protagonista in vita della cosiddetta rivolta di Santa Libera, scoppiata in Piemonte nel 1946. In quell’occasione, migliaia di ex partigiani si ribellarono contro l’amnistia del ministro della Giustizia, Togliatti, che scarcerava migliaia di fascisti, torturatori compresi, e contro l’allora governo di unità nazionale intento a normalizzare la situazione.
È con quello spirito di rivolta che vogliamo unirci. Come con quello dei tanti partigiani che, nella Repubblica di Montefiorino o altrove, non vollero mai togliersi i simboli degli sfruttati (stella e bandiera rossa, falce e martello), neanche davanti alle pressioni dei dirigenti stalinisti del PCI che volevano una lotta soltanto “nazionale” in ossequio agli ordini impartiti dal capo del Cremlino.
Il 25 aprile, per questo, dopo Bella Ciao intoneremo Fischia il vento e Bandiera Rossa. E troveremo nuova energia e unità per batterci contro governo e padroni che, oggi, vorrebbero scaricare tutto il peso della catastrofe sanitaria su lavoratori, pensionati e giovani.
Per i giovani rivoluzionari è decisivo riappropriarsi della Resistenza senza farsi intrappolare dalle prediche dei liberali, sempre pronti a impartire lezioni di “buone maniere” e di moderazione. Solo così la “Resistenza continua”, riannodando il filo della lotta per una società senza ingiustizie, il comunismo.