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8 Marzo 2018Il voto del 4 marzo costituisce un nuovo terremoto nella politica italiana, sia pure visto attraverso le lenti deformanti di una campagna elettorale.
Il primo dato fondamentale è il tracollo dei partiti che da anni garantivano la governabilità del capitalismo italiano. Il Pd lascia sul campo oltre 2,5 milioni di voti, Forza Italia 2,7. A questo si aggiunga che nel 2013 la coalizione di Mario Monti, centrista e borghese per eccellenza, aveva raccolto quasi 3,6 milioni di voti.
Quello che i commentatori politici chiamano il “centro”, ossia i partiti che la borghesia considera affidabili, si è letteralmente liquefatto. È impraticabile qualsiasi ipotesi di larghe intese basata su Forza Italia e il Pd.
Il capitale, italiano e internazionale, ha quindi per le mani il problema assai scottante di garantirsi un governo che risponda ai suoi interessi fondamentali, sulla base di un parlamento in cui i numeri non indicano chiare maggioranze. In questo crollo dei partiti che hanno governato per decenni c’è un elemento di profondo odio di classe che dobbiamo saper leggere al di sotto e al di là della demagogia dei 5 Stelle o delle campagne reazionarie della destra.
5 Stelle verso il governo?
I beneficiari principali, quasi esclusivi, di questo tracollo sono stati i 5 Stelle e la Lega. Il M5S è andato ben oltre quanto gli attribuivano i sondaggi, raccogliendo un consenso schiacciante in particolare nel Mezzogiorno con percentuali del 45-55%. Come già nel referendum del 2016, il Mezzogiorno esprime un massiccio voto di opposizione.
Il voto ai 5 Stelle si raccoglie in larghissima parte fra operai, lavoratori, precari, disoccupati, ceto medio rovinato. È un voto caratterizzato socialmente fra i settori che sono stati schiacciati negli anni della crisi, dove si concentra una protesta che nasce innanzitutto dalla condizione economica e dal crollo di ogni fiducia nel sistema. Per milioni di persone che sono consapevoli di essere state derubate di ogni futuro, le varie campagne antigrilline dei media borghesi (in testa la Repubblica) sono risultate del tutto ininfluenti quando non si sono addirittura ritorte contro la classe dominante.
Anche il nettissimo sorpasso della Lega su Forza Italia non era stato indicato dai sondaggi. La Lega abbatte il muro delle ex regioni rosse, per la verità già largamente diroccato, con percentuali del 17-20 per cento in Emilia, Marche, Umbria, Toscana: cifre pari o superiori al dato nazionale a cui si aggiunge, per la prima volta, un voto significativo anche in diverse zone del sud.
Il balzo della Lega, che cresce di 4,3 milioni di voti, indica indubbiamente che una parte dell’elettorato popolare ha ceduto alla demagogia della guerra fra poveri e alla campagna razzista che da tempo imperversa nel paese e che si riflette anche nella crescita delle forze neofasciste.
Una parte del voto alla Lega va però anche ascritta al generale sentimento antisistema, sia pure espresso in modo estremamente distorto e reazionario: votare la Lega, all’interno dello schieramento di destra, significava anche prendere le distanze da una Forza Italia vista come troppo disponibile a futuri compromessi col Pd sulla linea di quanto era avvenuto sia col governo Monti che, in forma meno aperta, anche con Letta e Renzi. La campagna (del tutto abusiva) per l’abolizione della Legge Fornero è stata spesa a piene mani per qualificare la Lega nell’elettorato operaio.
Non è questa la sede per ipotizzare le future combinazioni parlamentari. I 5 Stelle si sentono a un passo dal governo: è un passaggio probabilmente necessario e ineludibile. Vada pure, Luigi Di Maio, a Palazzo Chigi e dimostri come pensa di conciliare gli interessi dei milioni di persone che lo hanno votato con quelli di un capitalismo che non potrà che imporre nuove politiche antipopolari e antisociali, in Italia come in tutta Europa.
Una volta di più abbiamo visto la conferma che in questa fase le masse si orientano soprattutto per esclusione, mettendo alla prova i diversi schieramenti, partiti e leader, e traendo le loro conclusioni sulla base dell’esperienza. Nessuna predica, nessuna propaganda può sostituire questo processo di cui in Italia la messa alla prova e lo smascheramento dell’equivoco interclassista incarnato dai 5 Stelle è un passaggio ineludibile.
La sconfitta a sinistra
La sinistra, infine, vive una nuova e clamorosa sconfitta. Il voto conferma che nel sentimento di massa la sinistra è identificata con la gestione del potere borghese e con le politiche di austerità imposte dall’Unione europea. Una sinistra in cui a livello di massa non si perde più di tanto tempo a distinguere fra le diverse liste, ma che viene accomunata in un giudizio comune tanto sommario quanto meritato.
È da questo dato di fatto che si deve partire, rifiutando il piagnisteo di chi attribusce la sconfitta alla presunta arretratezza delle masse.
Il distacco fuori tempo massimo dal Pd non ha quindi risparmiato a Liberi e Uguali un risultato assai misero. Partiti sognando le percentuali a doppia cifra, hanno raccolto lo stesso numero di voti della sola Sel nel 2013. Nell’operazione di Bersani, Grasso e co. rimane sconfitta anche quella parte cospicua del gruppo dirigente della Cgil che sperava da avere trovato finalmente la famosa “sponda politica”.
Quanto a Potere al popolo, ha scoperto a proprie spese che si può ripetere anche un milione di volte frasi fatte sulla politica “dal basso” ma col populismo c’è chi sa giocare molto meglio di loro. Pap raccoglie meno della metà dei voti di Rivoluzione Civile (Ingroia) nel 2013. In particolare per Rifondazione, che fu parte centrale allora come oggi, è un nuovo e duro colpo, per non parlare di quelle aree come Eurostop, che hanno sacrificato gran parte del loro programma per partecipare a un cartello elettorale fallimentare.
Il voto per il Pc di Marco Rizzo (0,32) riflette dinamiche simili: un voto raccolto soprattutto in alcune delle ex zone rosse, ma di natura quasi completamente residuale.
Di fatto la sinistra continua a dilapidare a ritmo accelerato il residuo e sempre più esiguo patrimonio ereditato dalle fasi precedenti; questo influisce anche sul risultato della nostra lista, se consideriamo che l’altra organizzazione promotrice della lista, il Pcl, nel 2008 raccoglieva 208mila voti (0,57%). Le norme oggi molto più restrittive che ci hanno impedito una presentazione su tutto il territorio nazionale non bastano a dare conto di questa traiettoria.
Il nostro risultato
Il dato negativo di Sinistra rivoluzionaria va quindi letto in questo quadro. Sapevamo e abbiamo detto in ogni sede che la nostra era una battaglia in salita, controcorrente, e il dato lo conferma oltre ogni dubbio. Vediamo tuttavia confermata in questi dati la giustezza della scelta di presentarci.
Non presentarci avrebbe significato semplicemente assistere passivamente al processo sopra descritto, anziché usare la campagna elettorale se non per invertirlo (cosa assolutamente al di fuori delle nostre forze e soprattutto della condizione oggettiva), almeno per indicare chiaramente attraverso il nostro programma una prospettiva di costruzione della sinistra di classe nel nostro paese.
I tempi della costruzione di sinistra di massa nel nostro paese saranno dettati innanzitutto dall’evoluzione del conflitto di classe. Anche le forme e i percorsi difficilmente sono prefigurabili. Vediamo in queste ore vaste parti del cosiddetto “popolo della sinistra” abbandonarsi a recriminazioni, pessimismo e dibattiti di livello infimo. Consigliamo di tenersene a debita distanza: si deve ricostruire tra i giovani, i lavoratori, tra quelle forze fresche che hanno accolto con interesse ed entusiasmo il nostro programma e che sono disposti a impegnarsi per il futuro.
Il morale positivo e la determinazione che registriamo tra i nostri militanti nascono dalla consapevolezza di questa realtà e soprattutto dall’eccellente campagna elettorale condotta nella maggior parte delle realtà (e i dati, nella loro esiguità, ci danno utili indicazioni rispetto al nostro lavoro di costruzione e di insediamento), che ha mostrato che disponiamo di un patrimonio di quadri e militanti capaci di sostenere il confronto e lo scontro politico ai livelli più alti. Su questo capitale continuiamo con maggiore forza la nostra battaglia.