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Francia – La tempesta che si avvicina

di Francesco Giliani

Il risultato delle elezioni europee e lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale hanno innescato in Francia un’onda d’urto con ripercussioni che si susseguono a ritmo impressionante. Tanto di ciò che era latente, che stava maturando lentamente, è bruscamente giunto a compimento. Per la classe dominante, ma anche per il movimento dei lavoratori, si tratta dell’inizio di una navigazione in acque inesplorate.

Crisi del campo borghese

La vittoria alle europee del Rassemblement National (RN) di Marine Le Pen (31,4%), sommato al 5,4% di Reconquête di Zemmour, portano l’estrema destra al suo massimo. Già indebolito dalla lotta contro la riforma delle pensioni e dipendente da una maggioranza relativa in parlamento, Macron ha scommesso su una propaganda contro “gli estremi”– “o me o il caos” – ma, nei fatti, la sua azione ha ulteriormente polarizzato lo scontro tra destra e sinistra. Precisamente ciò che voleva evitare sin dalla sua prima elezione a presidente della repubblica nel 2017. Il centro di Macron è un campo demoralizzato che s’avvia verso una severa débâcle elettorale. La sua disfatta sbriciola definitivamente la disciplina del cosiddetto “arco repubblicano”: i dirigenti macroniani, infatti, rifiutano l’eventualità di votare al secondo turno per un candidato di sinistra opposto ad uno del RN – fatta eccezione per i socialisti più moderati. Finisce un’era.

A destra, i neo-gollisti dei Repubblicani e l’estrema destra di Zemmour sono implosi tra espulsioni e recriminazioni. La crisi interna ai Repubblicani è consumata, col suo strascico di carte bollate e tribunali. Alleandosi col RN, il presidente Eric Ciotti, estromesso dal partito, porta alle logiche conseguenze la radicalizzazione verso destra che quel partito vive da anni. L’indignazione dei suoi avversari ai vertici del partito suona ipocrita se si considera che, per il resto del tempo, parlano più o meno come i demagoghi ultra-reazionari del RN.

Quanto a Reconquête, l’espulsione di Marion Maréchal Le Pen riflette le differenze tra il suo fondatore e la nipote di Marine Le Pen. Zemmour sogna di essere il nuovo Pétain; Marion Maréchal s’accontenta d’un ministero e s’integrerà nell’alleanza RN-Ciotti, non essendo disposta ad assecondare un megalomane che trascura che in Francia non ci sono affatto le condizioni per una dittatura militar-poliziesca.

L’ascesa del RN

Il RN ha prosperato sulla crisi del capitalismo e sui tradimenti dei partiti della sinistra riformista, che dal 1981 sono stati complessivamente al governo per più di vent’anni. Governi di sinistra che hanno attaccato pensioni, servizi pubblici e condizioni di lavoro, consentendo alla “riverniciatura sociale” del programma del RN di apparire seducente.

Comunque, più il RN si avvicina al governo più i suoi dirigenti moltiplicano le rassicurazioni nei confronti dei grandi capitalisti. Già nel 2022, Marine le Pen spiegava ai suoi neo-deputati: “quando sarete in parlamento dovrete essere rispettosi, gentili e portare una cravatta”. Ovviamente, abbigliamento e buone maniere rimandano ad altro.

Il candidato di RN al ruolo di primo ministro, Bardella, ha chiarito la questione: l’abbassamento dell’IVA sui prodotti di prima necessità sarà rimandato a una seconda fase dell’azione governativa, la cancellazione della riforma delle pensioni non è “una priorità”, la nazionalizzazione delle autostrade è subordinata al parere della Corte dei Conti. Per vincere, Bardella pensa che ora possa bastare insistere sulla propaganda razzista, con infamie come l’abolizione dello ius soli o la riduzione della copertura medica per gli immigrati senza documenti.

La Confindustria, pur fustigando “gli estremi”, non s’è schierata esplicitamente con Macron, come richiesto dal ministro dell’Economia uscente, Le Maire, che ha superato il grottesco definendo “marxista” il programma del RN.

I sondaggi danno in vantaggio il blocco attorno al RN, che beneficia del sostegno dell’impero mediatico di Bolloré, a sua volta molto vicino a Ciotti. La linea di Bolloré, azionista di maggioranza di Vivendi e presidente del sesto gruppo mondiale nella pubblicità, indica le tendenze di fondo in un settore del padronato. Ma i rapporti di forza potrebbero modificarsi. In molte città, decine di migliaia di giovani e lavoratori già manifestano contro l’estrema destra. La settimana tra il primo ed il secondo turno potrebbe essere “bollente” e favorire un sussulto per il Fronte Popolare in un contesto che sarà di radicalizzazione dello scontro tra destra e sinistra.

Il Fronte Popolare: un’alternativa?

A sinistra, La France Insoumise (LFI) di Mélenchon, il Partito Comunista Francese (PCF), i Verdi ed i Socialisti hanno formato un Fronte Popolare.

Il flusso di accuse dei dirigenti socialisti, Verdi ed anche del PCF contro Mélenchon (“antisemita”, “divisivo”) s’è fermato mentre si spartivano i seggi per poi riprendere ed indirizzarsi anche contro i singoli candidati della France Insoumise ritenuti più radicali e vicini al movimento per la Palestina o a quello contro le violenze della polizia. Il segretario del PCF s’è distinto nell’affermare che per risolvere i problemi delle periferie ci vuole più polizia. Ciliegina sulla torta, i vertici del Fronte Popolare hanno candidato l’ex-presidente della Repubblica Hollande, responsabile di anni di austerità, e un ex-ministro di Macron.

Queste manovre non possono che suscitare scetticismo, particolarmente tra i più sfruttati. Tuttavia, molti milioni di giovani e di lavoratori sosterranno il Nuovo Fronte Popolare, vedendolo come l’unica alternativa praticabile al RN.

In generale, il programma del Nuovo Fronte Popolare è ancora più moderato di quello della Nupes, nome dell’alleanza della sinistra nelle elezioni del 2022. Ad esempio, non è prevista alcuna nazionalizzazione: la “rottura” proposta non tocca la grande proprietà capitalistica, cioè le fondamenta dell’ordine costituito. Anche gli interessi dell’imperialismo francese sono preservati, come dimostra l’impegno a fornire armi al regime di Zelensky.

Ciononostante, politici e giornalisti borghesi profetizzano un’apocalisse se le misure progressiste contenute in quel programma – tra cui un salario minimo di 1.600 euro e l’abrogazione della riforma delle pensioni – saranno attuate. Per questo, in caso di vittoria della sinistra, una mobilitazione di massa sarà necessaria anche per assicurare l’applicazione di queste misure. Ma è necessario mirare più in alto e più avanti e costruire un partito che lotti contro l’estrema destra sulla base di un programma di rovesciamento del capitalismo.

 

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