Elezioni in Sudafrica – Sconfitta storica per l’ANC mentre la crisi si intensifica

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Elezioni in Sudafrica – Sconfitta storica per l’ANC mentre la crisi si intensifica

Pubblichiamo questa analisi molto interessante apparsa su marxist.com, il sito web della nostra internazionale. Le trattative fra i vari partiti (trattate nel testo che segue) hanno portato alla rielezione di Ramaphosa alla Presidenza della Repubblica e alla formazione di una coalizione di governo schierata apertamente a destra, formata dall’Anc, dalla Democratic Alliance, partito della borghesia bianca, e da altri tre partiti nazionalisti neri. Una ricetta per una ulteriore instabilità per uno dei paesi più importanti del continente africano.

 

di Shanti Stewart

Il partito di governo, il Congresso Nazionale Africano (African National Congress, ANC), ha subito un colpo di portata storica nelle elezioni politiche della scorsa settimana, perdendo la sua maggioranza parlamentare per la prima volta dalle prime elezioni democratiche del 1994 in Sudafrica.

La crisi economica e sociale che si sta sviluppando in Sudafrica ora comincia ad esprimersi sul piano politico, dopo un periodo in cui coalizioni precarie e fratture aperte nella classe dominante sono state all’ordine del giorno.

L’umiliazione dell’ANC

Questo risultato rappresenta, innanzitutto, una condanna senza appello dell’ANC, che è stato al potere per trent’anni: ha ottenuto solo il 40% dei voti, un calo netto rispetto al 62% del 2019, e molto al di sotto di quanto atteso. In realtà, i germi di questo crollo erano stati posti già dallo storico compromesso di classe sancito dai dirigenti dell’ANC durante il crollo dell’apartheid.

Dagli anni ’40 in poi, l’ANC venne riconosciuto come la direzione della lotta anti-apartheid. Quando il movimento rivoluzionario delle masse dei giovani e dei lavoratori scoppiò negli anni ’80, l’ANC si pose alla sua testa, unendosi al Partito Comunista Sudafricano e alla Confederazione dei Sindacati Sudafricani (Confederation of South African Trades Unions, COSATU) per formare l’“Alleanza Tripartita”.

Di conseguenza, quando il National Party al governo passò dalla bruta repressione ai negoziati, come mezzo per impedire che la rivoluzione andasse “troppo in là”, l’ANC naturalmente si intestò in questi negoziati la rappresentanza del movimento di liberazione.

All’epoca, il programma ufficiale dell’ANC era la “Freedom charter” (la Carta della Libertà), che combinava rivendicazioni democratiche, come il suffragio universale, con rivendicazioni sociali radicali, inclusa la nazionalizzazione della terra, delle miniere, delle banche e dei monopoli industriali. Per la base operaia combattiva dell’Alleanza Tripartita, questo significava niente meno che la rivoluzione socialista. Tuttavia, mentre l’ANC godeva dell’appoggio attivo di un ampio settore dei lavoratori e dei giovani sudafricani, la sua direzione mantenne sempre una concezione piccolo-borghese e riformista.

Nel corso di questi negoziati, l’ANC barattò sostanzialmente gli elementi socialisti del suo programma con la gestione politica del paese per conto dei capitalisti. Nelle numerose “Sunset Clauses” [“Clausole provvisorie”, che garantivano la sostanziale continuità dell’apparato statale dell’apartheid, NdT], promisero, insieme con i propri alleati “comunisti” del Partito Comunista Sudafricano, di non toccare la proprietà dei capitalisti bianchi quando sarebbero giunti al potere.

In seguito a questo compromesso con i capitalisti sudafricani e con gli imperialisti stranieri, l’ANC, sotto Nelson Mandela, ottenne una maggioranza schiacciante nelle prime elezioni democratiche dell’aprile 1994. Milioni di sudafricani neri votarono per portare al potere il proprio partito, l’ANC, il partito che aveva posto fine all’apartheid, che aveva promesso di trasformare le loro condizioni di vita.

Oggi, i risultati di quel compromesso di classe sono chiari come non mai. Il Sudafrica è la più grande economia in Africa, ma non si è mai davvero ripreso dal crollo del 2008. Il Pil pro capite è ancora inferiore a quello del 2009. La disoccupazione ha raggiunto quasi il 35%, i trasporti e le infrastrutture economiche sono al collasso e l’elevata inflazione sta erodendo i salari dei lavoratori.

La disuguaglianza economica è di fatto aumentata da quando l’ANC è arrivato al potere. Con un coefficiente di Gini di circa 0,67, il Sudafrica è classificato come il paese più diseguale del pianeta. Secondo la World Population Review: “L’1% più ricco detiene quasi il 20% del reddito e il 10% più ricco il 65%. Ciò significa che il 90% dei sudafricani ricevono solo il 35% del reddito complessivo”.

I bianchi sono tuttora avvantaggiati nella ricerca di un lavoro (e di un lavoro con un salario più alto) rispetto ai neri; le donne guadagnano circa il 30% in meno degli uomini e i lavoratori nelle città guadagnano grossomodo il doppio di quelli delle campagne. Il governo si è dimostrato incapace di offrire una qualsiasi soluzione alla grave crisi inflattiva che devono affrontare non solo la classe lavoratrice, ma anche settori della piccola borghesia.

Di conseguenza, sia il consenso elettorale dell’ANC sia la partecipazione alle elezioni in generale sono crollati in maniera marcata dal loro apice nel 1999, quando l’ANC ottenne il 70% dei voti e l’affluenza raggiunse il 90%. Ed è evidente che esso non sarà mai più in grado di governare come ha fatto nel passato.

Divisioni al vertice

Al contempo, il rifiuto generalizzato nei confronti dell’ANC non ha portato a una crescita di consensi per il partito dell’opposizione ufficiale borghese, l’Alleanza Democratica (Democratic Alliance, DA). Il DA ha ottenuto il 21,8% dei voti in questa tornata elettorale, mentre aveva conquistato il 22,2% nel 2019. Questo mostra che non c’è alcun appoggio alle politiche di destra di privatizzazione, di austerità e di appoggio all’imperialismo americano, che il DA e i suoi dirigenti fanno proprie.

Il principale beneficiario del declino dell’ANC è stato il partito uMkonto we Sizwe (MK), che significa “Lancia della Nazione” in lingua zulu, guidato dall’ex-presidente caduto in disgrazia, l’ottantaduenne Jacob Zuma. La rapida ascesa di questo partito, che è stato fondato soltanto lo scorso dicembre, riflette una divisione molto aspra all’interno della stessa classe dominante sudafricana.

Il programma dell’ANC nel corso degli ultimi trent’anni può essere riassunto in tre parole: Emancipazione Economica Nera. Ma questo non ha comportato alcuna emancipazione per la classe lavoratrice nera. Al contrario, l’ANC si è sforzato di creare una borghesia nera nel paese piazzando sudafricani neri nelle posizioni di vertice dello Stato e nei consigli di amministrazione delle principali aziende sudafricane.

Tuttavia, le posizioni di comando nell’economia rimangono nelle mani dei monopoli di proprietà dei bianchi o degli stranieri. Il 39% delle aziende presenti sul listino della Borsa di Johannesburg è classificato come di proprietà di sudafricani neri, ma le principali aziende minerarie e i monopoli industriali rimangono sotto il controllo della borghesia bianca e dell’imperialismo straniero.

Essendo priva del capitale sufficiente per competere con questi giganti economici, un ampio settore della borghesia nera non riesce a trovare altra fonte di profitti al di fuori del saccheggio dello Stato, in particolare attraverso contratti governativi.

Questa lotta tra capitalisti per la spartizione della torta si è espressa per decenni all’interno dell’ANC. Nel 2008, il presidente in carica, Thabo Mbeki, dovette dare le dimissioni a causa di una ribellione all’interno dello stesso ANC, che alla fine portò al potere Jacob Zuma, in quanto espressione della sua fazione “radicale”.

Zuma appartiene alla vecchia guardia dell’ANC ed è stato una figura di riferimento della sua organizzazione armata, uMkonto we Sizwe. Ma, sotto la sua presidenza, è presto diventato chiaro che il suo “radicalismo” non aveva niente a che vedere con le aspirazioni socialiste dei lavoratori sudafricani. Al contrario, egli fornì una direzione politica a un settore di borghesia nera che si sentiva esclusa dai proventi degli affari che si svolgevano ai vertici dello Stato e provava rancore nei confronti dei politici borghesi “responsabili” e degli imprenditori neri, che avevano ottenuto un posto alla tavola dei potenti, limitandosi poi a gettare loro saltuariamente qualche briciola. “È il nostro turno a tavola”, era il loro slogan.

Quello che ne seguì, sotto Zuma, fu un’orgia di corruzione, cui ci si riferisce spesso chiamandola “cattura dello Stato”. Il termine “tenderpreneur” [crasi tra “tender”, appalto pubblico, e “enterpreneur”, imprenditore, NdT] che indica chi si arricchisce con i contratti pubblici sfruttando i propri contatti nel partito di governo, spesso in cambio di favori di vario tipo (e non sempre legali), è diventato parte del vocabolario sudafricano.

Dopo anni di scandali, decadenza e delusioni, Zuma venne alla fine deposto dall’ala “moderata” (cioè, i rappresentanti del grande capitale all’interno dell’ANC) e rimpiazzato da Cyril Ramaphosa, uno degli uomini più ricchi del Sudafrica, che aveva fatto parte dei consigli di amministrazione di molte delle più grandi aziende.

Dopo essere stato estromesso dal potere, Zuma venne accusato di corruzione e persino mandato in prigione, nel luglio 2021, per oltraggio alla corte, per non essere apparso dinnanzi a una commissione di inchiesta sulla “cattura dello Stato” sotto la sua presidenza. Dopo che l’imprigionamento di Zuma aveva provocato rivolte nella provincia di KwaZulu-Natal, che portarono alla morte di 300 persone, Zuma venne rilasciato per “ragioni mediche” soltanto due mesi dopo.

Nell’agosto 2023, il ministro della Giustizia confermò che Zuma non era tornato in prigione per “alleggerire il sovraffollamento”, ma che le sue imputazioni per corruzione erano ancora pendenti e che egli era ancora atteso a processo. È probabile che Zuma avesse questo in mente quando, soltanto alcuni mesi dopo, ha lanciato il suo nuovo partito, per trarre vantaggio dalla crisi dell’ANC e dal malcontento che cresceva nei suoi confronti.

Ramaphosa aveva promesso di ripulire la politica sudafricana, ma niente è cambiato nei sette anni in cui è stato al potere. La ragione di ciò è semplice: egli non può toccare la proprietà dei monopoli, che pagano quasi letteralmente il suo salario, e non può attaccare i “tenderpreneur” e gli speculatori corrotti, perché costituiscono il nucleo del suo partito. I media sudafricani parlano spesso dell’approccio “collaborativo” di Ramaphosa e della sua disponibilità al compromesso, ma in concreto non può fare nient’altro che questo. E nel frattempo, le condizioni delle masse sudafricane sono peggiorate continuamente.

Adesso, questa frattura all’interno della classe dominante è emersa apertamente su una scala inedita. Il fatto che il partito di Zuma abbia ottenuto il 15% dei voti e sia ora il primo partito nella provincia natale di Zuma, Kwazulu-Natal (KZN), riflette il fatto che egli gode del sostegno attivo di una vasta rete di capitalisti neri, di funzionari statali e di capi tribali.

Zuma ha i suoi obiettivi, non ultimo quello di conservare la propria libertà, ma ci sono molti nel MK, e anche nello stesso ANC, che vorrebbero usare il MK come una leva per deporre Ramaphosa e riportare l’equilibrio nel governo a favore dell’ala “radicale” dell’ANC.

Tuttavia, l’appoggio a Zuma va ben oltre quello della borghesia nera e dei capi tribali. È chiaro che una sezione della popolazione impoverita del KZN sta attualmente guardando a Zuma per un miglioramento delle proprie condizioni. Come ha detto un giovane disoccupato, “Quello che mi fa riporre la mia fiducia nel MK è che so che Zuma può lottare per noi sotto molti aspetti, per noi gente nera”.

Zuma ha fatto leva demagogicamente sul malcontento di massa che si è sviluppato contro Ramaphosa e l’ANC, chiamando ostentatamente il suo partito come il braccio armato dell’ANC e combinando slogan che facevano appello alla nazionalizzazione della terra senza indennizzo con appelli a un maggiore potere ai capi tradizionali, a misure protezionistiche e a un controllo dell’immigrazione a sfondo xenofobico. Egli ha anche giocato sul nazionalismo Zulu presente nel KZN.

Dopo anni di crisi, e in assenza di qualsiasi alternativa all’interno della politica di regime, un piccolo settore si è rivolto al nazionalismo e alla xenofobia, come abbiamo visto in molti altri paesi. Le imprese di proprietà di cittadini stranieri sono state prese d’assalto. Gli immigrati sono stati aggrediti violentemente e persino uccisi. Solo un programma socialista audace può permettere di superare questo stato d’animo, che è un’espressione del vicolo cieco in cui è finito il capitalismo sudafricano.

La delusione degli EFF

Insieme con l’ANC, anche gli Economic Freedom Fighters [Combattenti per la Libertà Economica, EFF, NdT] sono rimasti delusi dai risultati di queste elezioni. Gli EFF sono nati come una scissione di sinistra dell’organizzazione giovanile dell’ANC e il partito ufficiale venne fondato nel 2013, sulla scia del massacro di 34 minatori da parte della polizia a Marikana nel 2012, un’atrocità appoggiata tanto da Zuma quanto da Ramaphosa.

Sulla base del loro programma di sinistra e del loro linguaggio radicale, gli EFF sono riusciti a trascinare con sé un settore importante di giovani e, circa un anno fa, hanno celebrato il decimo anniversario dalla loro fondazione con un comizio di più di 100mila persone al First National Bank Stadium di Soweto, a Johannesburg.

I sondaggi li avevano dati comodamente sopra il 10% dei suffragi e si parlava persino di un superamento del DA da parte degli EFF, che sarebbero così diventati il principale partito di opposizione. Ma, alla fine, gli EFF hanno ottenuto il 9,5%, una percentuale dei voti inferiore a quella del 2019, con un’astensione maggiore.

Malema ha imputato questa perdita di voti alla “crescita ammirevole e decisiva del partito MK, che ha fatto meglio degli EFF nel KZN e nel Mpumalanga”. Tuttavia, questa non è l’unica ragione della mancata crescita degli EFF in queste elezioni. Nonostante la notevole campagna del partito per far registrare gli elettori, hanno votato ancora meno persone che nel 2019. Entrambi questi fattori dovrebbero spingere a una seria discussione ad ogni livello negli EFF, al fine di determinare la strada corretta da seguire.

Malema ha descritto il MK come un “cugino” degli EFF. Questo è corretto nel senso che entrambi i partiti sono emersi da scissioni dell’ANC. Ma queste elezioni mostrano che è esattamente l’associazione con l’ANC e le sue ramificazioni nazionaliste come il MK ad essere il problema.

Da un lato, gli EFF sono stati fondati come un’alternativa socialista all’ANC, e si definiscono come organizzazione marxista ma, dall’altro, essi mantengono l’ambigua posizione di classe difesa dall’ANC.

Negli ultimi anni, gli EFF hanno teso la mano ai vertici del capitalismo nero, per formare un fronte ampio contro il “capitale monopolistico bianco”. Ma se sei un imprenditore nero in Sudafrica, chi sceglierai: gli EFF, con i loro appelli al socialismo e allo sradicamento della corruzione, o Zuma, che ti è più vicino sia socialmente che politicamente?

La conclusione è che gli EFF non sono riusciti a distinguersi politicamente. È una legge della politica che, se due partiti hanno fondamentalmente lo stesso programma, allora sarà quello con l’apparato più potente, alla fine, a inglobare l’altro. Oltre alle cospicue risorse di Zuma, il MK gode dell’appoggio finanziario e organizzativo di settori della borghesia nera, dei capi tribali nelle campagne, della burocrazia dello Stato e persino dello stesso ANC. In una competizione per l’ala “radicale” nazionalista nera degli elettori dell’ANC, gli EFF possono soltanto perdere.

Peggio ancora, volendo apparire come fondamentalmente identici all’ANC e all’MK, gli EFF non sono riusciti a raggiungere i milioni di lavoratori e di giovani che hanno voltato le spalle all’ANC, ma non vedono tuttora un’alternativa da votare in parlamento.

Come previsto, la partecipazione alle elezioni del 2024 è stata la più bassa della storia democratica del Sudafrica. Visto il grande slancio impresso dai principali partiti politici nell’imminenza delle elezioni e le code che inizialmente si sono create il giorno del voto, alcuni avevano previsto che la partecipazione sarebbe aumentata. Ma non è stato così, dal momento che l’afflusso ai seggi è crollato al di sotto del 60% degli iscritti al registro elettorale. Su una popolazione in età di voto di 43 milioni di persone, solo 27,7 milioni di persone si sono registrate e solo circa 16 milioni hanno effettivamente votato.

In realtà, quello che mostrano queste persone è l’assenza di entusiasmo e di fiducia nei confronti di tutti i partiti politici. Ma questo non significa che i sudafricani siano apolitici. Negli ultimi anni, al crollo nella partecipazione alle elezioni è corrisposta un’intensificazione dell’azione politica, come con il movimento Fees Must Fall [movimento studentesco contro l’aumento delle tasse universitarie, Ndt] nelle università e con l’esplosione di scioperi per lo più spontanei nell’industria metalmeccanica, nella sanità pubblica e nell’istruzione pubblica.

Se si parla con i lavoratori, i loro racconti confermano le statistiche. Rispondendo all’intervistatore, un addetto alla sicurezza del V&A Waterfront [il quartiere dello shopping, NdT] di Città del Capo, ha detto: “Non riesco a vedere il senso del voto, ma ciò che è più importante è che non ci sono buone opzioni per noi [lavoratori]”. Quando gli è stato chiesto che tipo di slogan lo motiverebbero a recarsi al seggio elettorale, ha risposto: “Abbiamo bisogno che coloro che si definiscono socialisti si comportino da socialisti”.

Bisogna riconoscere che la strategia di comportarsi come un ANC dipinto di rosso ha fallito. È chiaro che strada seguire: solo rompendo completamente con il collaborazionismo di classe dell’ANC e delle sue appendici più “radicali”, e difendendo esclusivamente gli interessi della classe lavoratrice e delle masse rurali povere del Sudafrica, gli EFF possono diventare il partito socialista rivoluzionario che aspira a diventare e mobilitare finalmente quei lavoratori e quei giovani che sono pronti alla lotta, ma che stanno cercando una direzione coerente e indipendente.

Coalizioni instabili

L’ANC non dispone più del numero di seggi necessari per formare un governo di maggioranza da solo, ma rimane il primo partito nell’Assemblea Nazionale. I giorni successivi alla pubblicazione dei primi risultati elettorali sono stati occupati da colloqui febbrili e trattative nei corridoi. Tuttavia, quale che sia la coalizione che l’ANC riuscirà a imbastire, essa non produrrà altro che ulteriore crisi e instabilità nella politica sudafricana.

L’ala “moderata” borghese dell’ANC, insieme con la gran parte degli investitori stranieri, propende per una qualche forma di coalizione o accordo con il DA, che gode dell’appoggio del grande capitale. Ma per l’ANC portare avanti un programma di destra, in alleanza con il partito del capitale bianco, non solo alienerebbe in maniera ancora più profonda il partito dalla maggioranza nera del paese, ma potrebbe provocare una ribellione persino all’interno dello stesso ANC.

Sotto molti aspetti, il MK è un partner di coalizione naturale per l’ANC, dal momento che non è nient’altro che una parte dell’ANC che si è scissa per far pendere la bilancia in favore del piccolo capitale nero. È probabilmente questo il motivo per cui Zuma ha preso ispirazione da Donald Trump, denunciando frodi elettorali e minacciando che i parlamentari del MK si rifiuteranno di prendere posto in parlamento: una tattica di negoziazione indirizzata a utilizzare la minaccia della paralisi politica e di disordini nel KZN per strappare concessioni all’ANC.

Al momento, il MK sta chiedendo che Ramaphosa non venga rieletto alla presidenza della Repubblica [elezione invece avvenuta, Ndt] e l’ha posta come condizione preliminare a qualsiasi potenziale coalizione. Questo corrisponderebbe essenzialmente a una nuova presa di possesso dell’ANC da parte della “fazione di Zuma”. Finora, questo è stato liquidato come un qualcosa di inaccettabile da parte dell’ANC, che è stato pertanto costretto a cercare altrove alleati per una coalizione.

Nel momento in cui scriviamo, il Comitato Esecutivo Nazionale dell’ANC ha proposto pubblicamente un governo di “unità nazionale”. “Vogliamo mettere dentro tutti”, ha confermato il segretario generale dell’ANC, Fikkile Mbalula. Se non puoi formare una coalizione con qualcuno, allora formala con tutti!

Una simile soluzione potrebbe dare un’apparenza di stabilità nel breve periodo, ma alla fine screditerebbe tutti i partiti coinvolti ed accrescerebbe soltanto la rabbia delle masse nei confronti del regime post-apartheid nel suo complesso. Senza un partito rivoluzionario di massa preparato a rovesciare l’intero establishment politico corrotto, i demagoghi come Zuma non possono che vincere.

Gli EFF non dispongono di abbastanza seggi per formare una coalizione a due con l’ANC, ma potrebbero formare una coalizione più ampia con altri partiti, e hanno avanzato la richiesta di ottenere il ministero delle Finanze e la presidenza dell’Assemblea Nazionale come parte di un eventuale accordo. Intraprendere questa strada potrebbe costituire un errore disastroso.

Come è successo molte volte in tutto il mondo, quando un partito di sinistra che promette cambiamenti entra in un governo con i partiti della classe dominante, esso diventa responsabile della crisi che vivono le masse, senza avere nessuno strumento per portare avanti il proprio programma. Così facendo, esso si scredita davanti agli occhi delle stesse persone che pretende di rappresentare.

Qualsiasi accordo senza principi con l’ANC corrisponderebbe, nei fatti, a un accordo con la classe dominante sudafricana e può essere solo una trappola per gli EFF e per la classe lavoratrice.

Per un partito rivoluzionario

Da qualsiasi lato lo si guardi, il Sudafrica si trova dinnanzi un futuro di instabilità ancora più profonda. Con queste elezioni, la crisi economica e sociale che si è sviluppata per anni in Sudafrica si è finalmente espressa sul piano politico. In un contesto di crisi globale del capitalismo, questo comporta che non ci sarà alcuna soluzione alla crisi energetica, alla disoccupazione e alla stagnazione economica.

Il compromesso del 1994 sta andando in frantumi. La classe dominante è divisa e non è più in grado di governare come faceva in passato. La crisi sta colpendo sia i lavoratori che la piccola borghesia. Grandi svolte a destra e a sinistra sono implicite nella situazione.

Sotto i colpi della crisi, le masse metteranno alla prova tutti i partiti politici nel tentativo di trovare una via d’uscita. Non riuscendo a trovare una soluzione politica ai propri problemi, i lavoratori cominceranno a muoversi in maniera determinata contro questo sistema capitalista marcio.

La classe operaia sudafricana vanta tradizioni rivoluzionarie gloriose e potenti organizzazioni. Quando imbraccerà nuovamente la via della rivoluzione, scuoterà l’Africa intera.

Ciò di cui c’è urgente bisogno è un partito rivoluzionario della classe operaia che rifiuti qualsiasi compromesso e collaborazione di classe e lotti per un programma socialista audace.

Un tale partito deve essere pronto a lottare al fianco dei lavoratori, fornendo la direzione per le loro lotte al di fuori del parlamento e unirli per rovesciare il capitalismo sudafricano nella sua interezza, non per limitarsi a ridistribuire i profitti estratti dal sudore dei lavoratori.

Il materiale per un tale partito è presente in abbondanza in Sudafrica. Una nuova generazione si sta preparando a lottare e si sta orientando alle idee comuniste. Lo dobbiamo costruire insieme.

 

6 giugno 2024

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