La prova del budino – Il governo giallo-verde e la classe lavoratrice
6 Luglio 2018L’Offensiva del Têt: il punto di svolta nella Guerra del Vietnam
13 Luglio 2018Una volta, Lenin scrisse un articolo intitolato “Materiale infiammabile nella politica mondiale”. Ma la quantità di materiale infiammabile presente nell’attuale situazione mondiale non ha nulla a che vedere con quella che il leader bolscevico aveva in mente. Ovunque si guardi c’è instabilità, turbolenze e convulsioni: il conflitto tra Russia e Ucraina; la sanguinosa guerra civile in Siria; il conflitto tra Iran, Israele e Arabia Saudita; la questione irrisolta della Palestina e la lunga, ed ugualmente irrisolta, guerra in Afghanistan.
In questa scena mondiale esplosiva arriva Donald Trump. La sua ascesa al potere è stata accolta con sgomento dai politici dell’establishment sia negli Stati Uniti che su scala internazionale. È accusato da più parti di far sprofondare il mondo in una crisi politica ed economica sempre più profonda. Naturalmente, tali affermazioni sono esagerate. La crisi che stiamo attraversando non è una creazione di Trump, né di nessun altro individuo. È la manifestazione della crisi organica di un sistema che ha raggiunto i suoi limiti storici e si ritrova in un vicolo cieco.
Tuttavia, il marxismo non ha mai negato il ruolo dell’individuo nella storia. Sebbene Trump non abbia creato la crisi, con le sue azioni l’ha indubbiamente approfondita, conferendogli un carattere ancora più febbrile, instabile e imprevedibile. Ha sconvolto l’ordine globale e fatto a pezzi accordi raggiunti a fatica dalla borghesia internazionale per conservare una parvenza di normalità.
Ian Bremmer, il presidente di Eurasia Group, ha detto:
“A livello nazionale, il presidente non ha avuto un enorme impatto sulla politica. La “palude”, la burocrazia e il Congresso, ha resistito a tutto. A livello internazionale, il mondo già si stava allontanando dall’ordine a guida statunitense quando Trump è entrato in carica. Ma lui sta spingendo molto più velocemente una roccia che già stava rotolando giù per la collina“.
Naturalmente Trump non vede le cose in questo modo. Negli ultimi discorsi si è vantato del successo della sua politica internazionale: “Non ci scuseremo per l’America, noi difenderemo l’America. Basta scusarci. Loro tornano a rispettarci. Sì, l’America è tornata. “
Quando parla di America, Trump sta davvero parlando di se stesso. Proprio come lui deve essere sempre il vincitore: il più grande, il più ricco, il più potente e il migliore, così deve essere anche il paese di cui è alla guida. Non molto tempo fa ha detto ai cadetti allo stadio di Annapolis: “Vincere è davvero un sentimento grandioso, vero? Niente è come vincere. Devi vincere”. Ogni cosa o persona sulla sua strada deve essere spietatamente schiacciata nello stesso modo in cui ha schiacciato i suoi concorrenti nel mondo degli affari.
Ma perché vinca l’America, gli altri dovranno perdere. Non ha realmente usato queste parole, ma sono il significato sottinteso essenziale di tutto ciò che dice e fa. Trump non ha interesse nel lavorare con gli alleati, che vede come un vincolo alla sua libertà d’azione. Con la sua ricerca determinata della politica di “America First” (prima l’America), Trump ha minato le relazioni con gli alleati di vecchia data. A livello internazionale, gli Stati Uniti si trovano ora più isolati che mai nell’ultimo mezzo secolo.
Il significato di Donald Trump
L’ideologia trumpiana di “America First” ha molte somiglianze con quella dei presidenti isolazionisti del passato. Ma questri ultimi cercavano almeno di nascondere la vera natura della loro politica, coprendone la nudità con il velo rispettabile della democrazia. Trump non è interessato ai veli, alla rispettabilità né alla democrazia. Non cerca di nascondere la sua ammirazione per gli “uomini forti” e autoritari come Abdel Fattah El-Sisi, o anche Vladimir Putin. Segretamente, invidia la loro libertà di azione e si chiede perché le restrizioni della democrazia borghese gli leghino continuamente le mani dietro la schiena.
Donald Trump mostra apertamente la natura aggressiva dell’imperialismo USA. Spudoratamente prevarica e intimidisce altri paesi, compresi i tradizionali alleati degli Stati Uniti. Si vanta dell’infinito potere dell’imperialismo americano e non esita a umiliare anche i suoi migliori amici.
Dice apertamente quello che gli altri prima sussurravano negli angoli bui dello Studio Ovale, del Dipartimento di Stato e del Pentagono. Questo è il suo peccato principale e qualcosa per cui l’establishment di Washington non può perdonarlo.
Tuttavia, nella critica di Trump da parte dei suoi avversari borghesi c’è abbastanza ipocrisia. La politica portata avanti da Trump è poi così diversa dalla politica perseguita in passato da Truman, Eisenhower, Kennedy, Nixon, Reagan o Bush? Peraltro, è qualitativamente diversa dalla politica perseguita da Barack Obama? Ricordiamoci le attività criminali dell’imperialismo americano in Vietnam, Guatemala, Cile, Nicaragua, Indonesia, Cuba e Iraq e vedremo immediatamente che la violenza, l’inganno e la brutalità sono sempre stati il segno distintivo della politica imperialista americana.
La differenza è che la politica di Donald Trump è più aperta, sfacciata (si potrebbe anche dire onesta) rispetto a quella dei suoi ipocriti predecessori che agirono, più o meno allo stesso modo di Gloucester nell’opera di Shakespeare, l’Enrico VI:
“Posso sorridere, e mentre sorrido uccidere,
posso gridare ‘Va bene!’ a ciò che mi opprime il cuore,
e bagnare le mie gote con lacrime finte,
e atteggiare la faccia per ogni occasione”. (Enrico VI, Parte III, scena 3)
Questo non è il posto per entrare in una profonda analisi psicologica – un campo nel quale il sottoscritto non è un esperto. Ma è difficile resistere alla conclusione che nella sua ossessiva spinta al potere c’è un elemento di una psiche squilibrata. La somiglianza tra Donald Trump, il politico e Donald Trump, lo speculatore immobiliare è stata oggetto di diffuse speculazioni. La filosofia cane-mangia-cane del Trump politico è una conseguenza diretta delle leggi dell’economia capitalista di mercato. Donald Trump, nella sua personalità, psicologia e istinto riflette perfettamente la vera natura della classe che egli rappresenta nelle sue maniere inimitabili.
L’economia di mercato è una giungla in cui bestie fameliche si rincorrono l’un l’altra. È una questione di sopravvivenza del più adatto. Non c’è spazio per la moralità o il sentimentalismo. È semplicemente una questione di uccidere o essere ucciso. Mostrare pietà ai propri concorrenti significa mostrare debolezza e la debolezza nella giungla è un modo sicuro per finire morti.
Se questa è follia, è una follia che proviene direttamente da un folle sistema socio-economico. La maschera sorridente della democrazia è scivolata via per rivelare la faccia brutta e reale del capitalismo americano e del suo primogenito, l’imperialismo. Questa è la scuola in cui Trump è cresciuto fin dai suoi primi anni e ha profondamente plasmato il suo atteggiamento nei confronti della vita, della politica e del mondo in generale. L’insaziabile sete di successo che l’ha guidato nell’avanzata nel campo del mercato l’ha portato a un’ossessiva ambizione per il potere politico.
I principi fondamentali del mercato sono sepolti nel profondo del suo subconscio, e plasmano ogni suo pensiero e azione. Volgare, ignorante, meschino, avido, egoista e totalmente indifferente alle conseguenze delle sue azioni sulla vita degli altri: è l’incarnazione assoluta dello spirito del capitalismo. Donald Trump è il riassunto del sistema, la sua intrinseca amoralità, brutalità e violenza. Lui ne è l’espressione più assoluta e pura.
Come uomo privo di principi o ideologie particolari, Trump ha un senso della storia limitato e una scarsa conoscenza degli affari mondiali. Il suo approccio al mondo è basato su un controllo esclusivo da parte del presidente. Questo monomaniaco estremo diffida dell’establishment addetto alla politica estera presso il Dipartimento di Stato, del Consiglio di sicurezza nazionale e dei servizi segreti. Questo è qualcosa che ha in comune con Richard Nixon, un individuo simile. Li ha disconosciuti perché “lo hanno trattato come un signor nessuno” prima che venisse eletto e da allora l’hanno infastidito e perseguitato.
Questo è qualcosa che il suo ego fuori misura non potrebbe mai sopportare. Pertanto, ignorando gli “esperti”, crede di poter controllare il mondo dall’alto della Trump Tower. In un discorso a una platea di suoi sostenitori adoranti, il Presidente ha recentemente dato sfogo ai suoi sentimenti di frustrazione per questo ingiusto e iniquo rifiuto. In un raduno elettorale in Minnesota si vantava del suo denaro e della sua intelligenza, chiedendo perché non fosse considerato tra i ‘migliori’ nonostante il suo portafoglio immobiliare:
“Chiamano sempre l’altra parte l’”élite “. Perché sono loro, l’elite? Ho un appartamento molto migliore dei loro“, ha detto il presidente statunitense. “Sono più intelligente di loro. Sono più ricco di loro. Sono diventato presidente e loro no e io sto rappresentando le più grandi, le più intelligenti, le più leali e le migliori persone [sic] sulla Terra – ricordatelo? I deplorabili”.
Questa è la voce di un parvenu amareggiato a cui è stato vietato l’ingresso in un club esclusivo in cui cerca di entrare. Il suo odio per l’establishment di Washington è in gran parte motivato da sentimenti di invidia e risentimento. Rappresenta esattamente gli stessi interessi di classe, solo che, a suo parere, li rappresenta in modo molto più efficace dei liberali fiacchi e deboli del Partito Democratico o dell’establishment repubblicano. Eppure il suo genio unico non trova il riconoscimento che merita. Essendo stato eletto presidente del paese più potente della terra, non riesce a capire perché gli sia ancora impedito l’ingresso al club.
L’accordo con l’Iran
Niente illustra meglio la natura della visione del mondo di Trump che la demolizione da parte sua dell’accordo del 2015 con l’Iran. In due anni di intensa attività diplomatica, Europa e Stati Uniti, insieme a Cina e Russia, hanno discusso e negoziato e alla fine sono riusciti a ottenere importanti concessioni da Teheran, che successivamente ha scrupolosamente seguito i termini dell’accordo. Se vogliamo parlare di qualcuno che lo ha violato, non sono stati gli iraniani ma gli americani, persino sotto Obama.
Tale accordo veniva salutato come il più significativo trattato di non proliferazione da più di un quarto di secolo. Per il presidente Obama l’accordo, che prevedeva la revoca delle sanzioni contro l’Iran in cambio di garanzie che non sarebbe proseguito il programma di armamento nucleare, era una “intesa storica”. Ma per Donald Trump è stato “il peggior accordo che io abbia mai visto in un negoziato”. Aveva detto che smantellarlo sarebbe stata la sua “priorità numero uno”, ma non aveva specificato cosa volesse fare.
Nel film “Il padrino” Marlon Brando pronunciò le celebri parole: “Gli farò un’offerta che non può rifiutare”. Il presidente Trump ha fatto all’Iran un’offerta che sapeva non avrebbero potuto accettare. Non solo ha falsamente accusato Teheran di non aver rispettato l’accordo sul nucleare, ma ha anche chiesto di limitare le azioni nel Medio Oriente, in particolare nel conflitto siriano. Queste richieste erano state deliberatamente escluse dall’accordo originale proprio perché lo avrebbero reso impossibile.
Donald Trump è risolutamente passato dalla parte dell’Arabia Saudita e di Israele – i due regimi più reazionari del Medio Oriente – nel loro conflitto con l’Iran. Facendo così, sta versando benzina sul fuoco dell’intera regione. I leader europei che hanno faticosamente negoziato l’accordo con l’Iran osservano inorriditi.
Poco prima di respingere l’accordo, il presidente ha mandato un chiaro avvertimento. L’Iran “pagherà un prezzo come pochi paesi hanno mai pagato”. Il leader supremo iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha risposto senza mezzi termini: “Se lo strappano, noi lo bruceremo”. I due paesi sono ora in uno stato di aperto conflitto, le cui conseguenze sono difficili da prevedere. Ma qualunque sia l’esito, certamente non sarà pacifico.
Il Medio Oriente
Trump ha alcune idee ben precise anche su come stabilire la pace in Medio Oriente. Ha trasferito l’ambasciata americana a Gerusalemme – che per i palestinesi equivale a sventolare uno straccio rosso davanti a un toro. I diplomatici internazionali l’hanno visto come il passo finale di una pace in Medio Oriente piuttosto che come il primo.
Dal punto di vista della normale diplomazia, una mossa del genere avrebbe potuto essere un utile contraccolpo contrattuale per ottenere concessioni dagli israeliani. Per lo meno, si sarebbe dovuto chiedere loro di fermare la politica provocatoria di espansione degli insediamenti ebraici in terra palestinese. Ma Trump, l’esperto negoziatore, non ha chiesto nessuna concessione a Benjamin Netanyahu e chi non chiede non ottiene. Di conseguenza, gli israeliani si sentono più sicuri che mai nel continuare con le loro provocazioni, infiammando ulteriormente il risentimento palestinese e creando le condizioni ideali per una conflagrazione nella regione.
Il presidente Obama era stato eletto per porre fine alle guerre americane in Iraq e in Afghanistan ed era estremamente riluttante ad essere coinvolto in un altro conflitto in Medio Oriente. Per questo motivo, ha respinto l’azione militare in Siria, almeno quella aperta e diretta. Per coprirsi le spalle, l’amministrazione Obama si è limitata a finanziare e armare i “ribelli siriani moderati” e le manovre diplomatiche volte ad assicurare che il presidente Assad se ne andasse.
In precedenza anche Trump era contrario all’azione militare USA in Siria, chiedendo una maggiore attenzione alle politiche interne. Nel 2013 ha twittato: “Dimentica la Siria e rendi grande l’America!” Nonostante ciò, nell’aprile di quest’anno ha ordinato attacchi missilistici statunitensi su di una base aerea del governo siriano, usando come scusa un presunto attacco chimico di cui ha incolpato il governo siriano. “L’attacco ai bambini ha avuto un grande impatto su di me”, ha affermato.
Con questo attacco missilistico, per la prima volta gli Stati Uniti hanno preso di mira direttamente il regime siriano dall’inizio del conflitto. È stato un cambiamento di politica scioccante per un leader precedentemente isolazionista. Pochi giorni, dopo l’amministrazione Trump ha mostrato ancora una volta i muscoli dal punto di vista militare, questa volta colpendo i militanti dello Stato Islamico in Afghanistan con un’arma conosciuta come la ‘madre di tutte le bombe’, o MOAB, che in precedenza non era mai stata usata dagli Stati Uniti in combattimento. Con un evidente aumento della spesa per la difesa , gli Stati Uniti sembrano – almeno per ora – assumere un ruolo più aggressivo nei conflitti esteri. Trump ha finora impegnato ulteriori 6.162 soldati in Afghanistan, Iraq e Siria. Come si incastra tutto questo nella ben nota agenda isolazionista di Donald Trump? La risposta è molto semplice. Non si incastra e Trump sta chiaramente cercando un modo per risolvere questa sfortunata contraddizione. La chiave di questo è il suo atteggiamento stranamente contraddittorio in Russia, che è il nostro prossimo scalo.
Trump, NATO e Russia
L’aggressiva alleanza imperialista che si autodefinisce ingannevolmente come l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) è stata la pietra angolare della politica estera americana per oltre 60 anni. La sua principale ragione d’essere era di contrastare la presunta minaccia dell’Unione Sovietica. Poco prima del crollo dell’Urss, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan arrivò a un accordo con Mikhail Gorbaciov per cui Mosca avrebbe dovuto concludere il patto di Varsavia, in seguito al quale l’Occidente avrebbe abolito la NATO.
Il Patto di Varsavia venne abolito. La NATO no. Tuttavia, l’Occidente ha dato ripetute assicurazioni ai russi che la NATO non avrebbe tentato di allargarsi a est, prendendo dentro ex membri del Patto di Varsavia, come la Polonia e gli stati baltici. Invece la NATO l’ha fatto. Poi ha continuato a cercare di circondare la Russia con una banda di ex repubbliche sovietiche che si stavano avvicinando agli Stati Uniti e alla NATO. Questo è ciò che ha portato a uno scontro militare tra Russia e Georgia, e successivamente al conflitto sull’Ucraina.
In tutti questi casi la condotta della Russia era essenzialmente difensiva e l’aggressore era la NATO e l’imperialismo americano. Ciononostante, i media occidentali hanno sostenuto il contrario, lanciando una rumorosa campagna contro “l’aggressione russa”.
Come un isolazionista convinto, motivato da una profonda sfiducia psicologica in tutte le organizzazioni sovranazionali, Trump è molto sospettoso nei confronti della NATO, che nella campagna elettorale ha attaccato come “obsoleta”, accusando i suoi membri di essere alleati ingrati che beneficiano della sontuosa generosità degli Stati Uniti. Il segretario alla Difesa James Mattis ha avvertito che Washington “avrebbe moderato il suo impegno” se i membri non venissero incontro alla richiesta del suo capo di aumentare le spese per la difesa al 2 percento del loro PIL.
Trump sosteneva che il suo duro discorso stava causando l’arrivo di “pacchi di denaro”, sebbene gli analisti facciano notare che i paesi stavano già aumentando i loro contributi nel quadro di un accordo del 2014. Ma esigere ulteriori sacrifici economici dai suoi alleati europei in un momento in cui stanno lottando per affrontare gli enormi deficit creati dalla crisi bancaria del 2008, era come spargere sale su una ferita aperta.
Ad aprile, durante una conferenza stampa congiunta, il capo della NATO Jens Stoltenberg si è umiliato davanti al Presidente degli Stati Uniti, ringraziandolo per la sua attenzione al problema. “Stiamo tutti vedendo gli effetti della sua forte attenzione nella condivisione degli oneri nell’alleanza “, gli ha detto. Somigliava a un uomo che, dopo che gli è stato sputato in faccia, docilmente se la asciuga e dice: “Grazie mille.”
Stoltenberg è noto per la sua retorica schietta diretta contro Vladimir Putin e il Cremlino, anche se le sue parole dure non sono mai state sostenute da una conseguente azione militare. Il suo discorso imbarazzante e servile rivolto al suo Grande Capo dall’altra parte dell’Atlantico porta al sospetto che la sua condotta sul campo di battaglia non sarà così valida come i suoi discorsi vorrebbero farci credere.
Nel frattempo, Trump ha cambiato idea. Ora dice che la NATO non è più “obsoleta”. Perché? Trump è noto per essere imprevedibile, ma questa inversione di marcia sembra difficile da comprendere. Ha detto che la minaccia del terrorismo ha sottolineato l’importanza dell’alleanza. Ma la stessa minaccia esiste da molto tempo e quindi non può essere la ragione di questa incredibile svolta di 180 gradi.
Molto più importante è stato quando il Presidente ha invitato i membri della NATO a fare di più per aiutare gli iracheni e i “partner” afgani. A questo punto, la nebbia inizia a schiarirsi. Non è un segreto che Trump desideri ritirare le truppe americane dall’Iraq, dall’Afghanistan e anche dalla Siria. Ma i conflitti costosi e sanguinosi in quei paesi si stanno dimostrando fastidiosamente ostinati.
Come risolvere il problema? Molto facilmente. Allo stesso modo in cui i membri della NATO devono essere costretti a pagare di più, devono essere persuasi in qualche modo a mandare i loro giovani a morire nei deserti del Medio Oriente e dell’Asia centrale, sgravando così i giovani uomini e donne statunitensi da un obbligo ciosì doloroso. Basta solo questa ragione per rendere chiaro anche al cervello un po’ confuso di Donald Trump, che la NATO potrebbe non essere poi così male dopo tutto. Ma nello stesso momento in cui fa un cenno malizioso in direzione della NATO, Trump ancora una volta ha sorpreso il mondo annunciando la sua intenzione di tenere un vertice con il presidente russo Vladimir Putin. Durante la campagna elettorale americana, Trump ha elogiato Putin come un leader forte, uno con cui vorrebbe avere buone relazioni. Questo prima che le agenzie di intelligence statunitensi iniziassero la loro caccia alle streghe contro Trump, accusando la Russia di avere interferito nella campagna elettorale americana.
L’accusa di un coinvolgimento russo nella campagna elettorale può essere o non essere vera. Ma molti paesi, non ultimi gli Stati Uniti, sono costantemente coinvolti in hacking, intercettazioni telefoniche e intromissioni negli affari interni di altre nazioni – inclusi i loro “alleati”, come scoprì Angela Merkel, con suo estremo fastidio. Ma per sostenere che il Cremlino ha determinato i voti di milioni di cittadini statunitensi è infantilismo al suo estremo.
Ciò che non ha precedenti è che un presidente americano debba trovarsi in un confronto pubblico aperto con la CIA e l’insieme delle agenzie di intelligence americane. I servizi segreti dovrebbero essere segreti e sono al centro dello stato borghese. Proprio per quello, che le agenzie si scontrino pubblicamente con il Presidente, cercando apertamente di indebolirlo e cacciarlo dalla carica – è una cosa assolutamente inaudita.
Per contrastare le ripetute accuse sui presunti legami della sua amministrazione con la Russia, Trump è stato costretto a cambiare rotta. Ora ha detto che voleva iniziare a fidarsi del presidente Putin, ma avvertendo che “potrebbe non durare a lungo” e sembra non sia durato. Trump ha continuato a dire che gli Stati Uniti “potrebbero” essere ai minimi storici in termini delle relazioni con la Russia “. Ha affermato che sarebbe una “cosa fantastica” se le nazioni migliorassero i legami ma ha aggiunto che “potrebbe essere l’esatto contrario”.
È abbastanza tipico di quest’uomo fare “esattamente l’opposto” di ciò che tutti si aspettavano. All’altezza del clamore sul presunto avvelenamento di un ex agente russo a Salisbury, Trump era stato costretto (sebbene con evidente riluttanza) a unirsi al rumoroso coro anti-russo orchestrato dalla CIA in collaborazione con i suoi compari nel MI5 britannico. Apparentemente sembrava che il suo piano per un accordo con Putin fosse alla fine condannato al fallimento. Ma le apparenze sono spesso ingannevoli e nel caso di Trump di solito è così.
Proprio nel momento in cui stavo scrivendo un articolo in cui esprimevo seri dubbi sulla veridicità delle accuse di un coinvolgimento russo nell’affare di Salisbury, ho espresso la mia ferma convinzione che nel prossimo futuro Donald Trump avrebbe operato una svolta a 180 gradi e si sarebbe incontrato con Putin. Dagli eventi successivi sembra che fossi nel giusto. Avevo scritto che Boris Johnson e la restante folla anti-russa avrebbero dovuto rimangiarsi le loro parole, e ho augurato loro buon appetito. Dico la stessa cosa oggi.
L’idea di un accordo con la Russia in realtà ha perfettamente senso dal punto di vista degli interessi dell’imperialismo americano. In questo caso, l’istinto di Donald Trump corrisponde a questi interessi molto più del coro isterico della propaganda anti-russa che emana dalla CIA e l’MI5. Gli istinti di base di Trump sono isolazionisti. Questo è il motivo per cui vuole ritirare le truppe americane della Siria. Ma per fare questo ha bisogno di un accordo con i russi. Questo è un fattore potente nella sua decisione di incontrare Putin.
Va da sé che sia la politica estera di Trump che quella di Putin riflettono gli interessi della classe dominante in Russia e in America. Non c’è da aspettarsi nulla di progressista da entrambi. Tuttavia, la rumorosa campagna anti-russa che è stata organizzata dai più reazionari guerrieri della Guerra Fredda negli Stati Uniti e in Gran Bretagna non ha nemmeno un briciolo di contenuto progressista al suo interno.
La classe operaia deve opporsi a Donald Trump ma deve farlo dal suo punto di vista di indipendenza di classe. In nessuna circostanza, la sinistra americana dovrebbe essere unire le proprie forze con i democratici dietro la cui opposizione a Trump si trova il cinico interesse personale e fondamentalmente la difesa del capitalismo e dell’imperialismo.
In ultima analisi, difendono esattamente gli stessi interessi di classe. La loro principale obiezione a Donald Trump è che è quest’ultimo, e non loro, stanno portando avanti quella politica reazionaria. Il loro vero obiettivo è quello di servire i capitalisti e gli imperialisti in modo più efficiente dell’attuale occupante della Casa Casa. Questo non è un obiettivo con cui può simpatizzare la classe lavoratrice.
Il conflitto con l’Europa
Riguardo alla dottrina di Trump, Bruno Maçães ha scritto nel suo libro “The American Interest”:
“Il segreto dell’approccio di Trump nei confronti dell’Europa è questo: non permetterà agli Stati Uniti di essere trascinati a fondo con l’Europa, anche se questo significa causare una nuova scissione nell’ alleanza transatlantica”.
Sin dagli anni 50, l’integrazione dell’Europa è stata un caposaldo della politica estera statunitense. Ma Donald Trump non crede in un’Europa unita, esattamente come non crede nella NAFTA e nel WTO. Ha fatto tutto quanto era in suo potere il possibile per esacerbare le differenze tra le potenze europee, provando a opporle l’una all’altra. Dopo la decisione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione Europea, ha opportunamente suggerito che altre nazioni possano voler fare altrettanto. Le due cose che odia sono la Germania e Angela Merkel, in parte a causa del surplus commerciale della Germania con gli Stati Uniti, ma probabilmente perché Trump fondamentalmente non approva il ruolo guida della cancelliera tedesca in Europa.
Con la sua decisione di cancellare l’accordo con l’Iran, ha apertamente ignorato le pressanti suppliche dei suoi alleati più stretti in Europa. Invano, i leader politici da oltre Atlantico hanno fatto la fila per implorarlo di non prendere questa strada. Il presidente Macron ha fatto del suo meglio per mostrarsi un amico valido e un consigliere della Casa Bianca. Il britannico Boris Johnson si comportato da piccolo barboncino adulatore del suo padrone, offrendogli addirittura la prospettiva di un premio Nobel se solo Trump avesse fatto questa concessione. È stato tutto inutile. In termini diplomatici, il presidente degli Stati Uniti gli ha urinato in testa da una notevole altezza.
Trump non è uno stratega e neanche un buon tattico. Si affida a una combinazione di rabbia, minacce e bullismo per farsi strada. Inizia facendo richieste esorbitanti e spera di poter utilizzare la forza economica e militare colossale dell’America. Qualche volta ha successo. Però questa è una politica dai rendimenti decrescenti. Più la usa, meno effetto fa. Invece di essere timidi, gli altri paesi stanno accumulando sempre più di risentimento e cominceranno prima o poi a contrattaccare.
Una debolezza fatale nella sua tattica, sta nel fatto che lui esagera sistematicamente la capacità degli USA di riuscire a imporre la loro volontà, senza tener conto delle circostanze, mentre in egual misura sottovaluta la capacità degli altri di resistere. L’amministrazione di Trump del “tutto o niente” nella politica estera è destinata a fallire perché non prende in considerazione il vero equilibrio delle forze su scala mondiale.
Presto o tardi questo condurrà ad una serie di sconfitte e arretramenti per gli Stati Uniti. Invece che far crescere il potere internazionale, il prestigio e l’influenza dell’imperialismo statunitense, serviranno a rivelare i limiti del suo potere. Altre potenze, specialmente Russia e Cina ci guadagneranno a spese degli Stati Uniti.
Trump e l’Asia
Già durante la campagna elettorale, Donald Trump ha scioccato la Cina con i suoi commenti su Taiwan fatte ancor prima del suo insediamento come presidente. Il suo primo Segretario di stato, Rex Tillerson, ha parlato di impedire alla Cina l’accesso alle isole artificiali che ha costruito nel Mar cinese meridionale, lanciando avvertimenti per uno “scontro militare” su un giornale di proprietà statale.
La politica del presidente Obama sulla Corea del nord consisteva nel farle pressioni attraverso le sanzioni, convincendo altri a fare lo stesso, specialmente la Cina, poi aspettare i risultati. Questa era chiamata la “pazienza strategica”. Ma Donald Trump ha zero strategia e molto poca pazienza.
L’amministrazione ha detto: “tutte le opzioni sono sul tavolo” e l’annuncio di Trump di mandare un’”armada” di navi da guerra nella penisola coreana ha agitato lo spettro dell’azione militare. La mossa è stata accolta con diffidenza dal regime nordcoreano, che ha minacciato una guerra totale.
Invece di una guerra totale c’era stata una confusione totale quando dieci giorni dopo si è scopertroche la flotta di navi da combattimento della Marina, che Trump diceva di aver dislocato verso la penisola coreana, stava invece viaggiando in direzione opposta. Mentre la Casa Bianca ha chiarito le posizioni delle navi e ha insistito nel dire che fossero in viaggio, Trump era già mentalmente in viaggio per incontrare Kim Jong-un.
Un incontro veramente fantastico
“Abbiamo avuto un incontro veramente fantastico. Tanti progressi. Veramente molto positivo, penso sia andato meglio di quanto si potesse pensare, il meglio del meglio, veramente buono”. Con queste parole piene di trionfo Donald Trump ha celebrato il suo primo incontro con Kim Jong-un a Singapore il 12 giugno. Ahimè, come al solito con Trump, le parole sono raramente vicine alla realtà.
Qui la parola “fantastico” è appropriata solo se viene presa nel suo senso più letterale. Ci vuole uno sforzo d’immaginazione per ricordarci che l’anno scorso in questo periodo, il presidente americano denunciava la sua controparte nordcoreana come il “piccolo uomo-razzo” e minacciava di spazzare via dalle cartine il suo paese. Contemporaneamente Kim Jong-un descriveva Donald Trump come un “vecchio rimbambito squilibrato statunitense” e aveva promesso di “domarlo… con il fuoco”.
Parlando dalla Stanza Roosevelt nella Casa Bianca, il presidente aveva avvertito di possibili conseguenze catastrofiche :
“Ho parlato con il Generale Mattis e con lo Stato Maggiore congiunto e il nostro esercito – che è di gran lunga il più potente del mondo e, come già saprete, è stato di recente notevolmente migliorato – se necessario è pronto”.
L’avvertimento è stato dato due ore dopo la cancellazione del suo incontro con Kim Jong-un.
Poi, come per magia, tutto rose e fiori. Alla fine del loro incontro, tenutosi in un’atmosfera di amicizia e giovialità, il vecchio rimbambito squilibrato e il piccolo uomo-razzo hanno firmato una dichiarazione che mirava a “costruire un regime di pace duratura e stabile nella penisola coreana”. Il signor Trump ha dichiarato che fornirà garanzie di sicurezza alla Corea del Nord; in compenso il signor Kim ha concesso la sua firma e un risoluto impegno al completamento della denuclearizzazione della penisola coreana – niente di meno.
Questo incontro potrebbe non esser proprio quella svolta storica di cui parlava il presidente americano. Esaminandolo più a fondo, è chiaro in maniera imbarazzante che ne è uscito fuori poco o niente di sostanzioso. Ecco perché probabilmente i due leader hanno detto che vorrebbero si tenessero ulteriori incontri a vari livelli “il più presto possibile” per mettere più sostanza nella dichiarazione.
Se il vertice non è stato esattamente un successo diplomatico, può essere tranquillamente definito un’eccezionale vittoria per le pubbliche relazioni. L’unica domanda è: una vittoria per chi? Il signor Kim sarà tornato a Pyongyang con un giustificato senso di soddisfazione. Ha raggiunto qualcosa che suo padre e suo nonno desideravano, senza mai riuscirci: un incontro faccia a faccia con un presidente americano.
Non dimentichiamoci che la Corea del Nord non è la Cina o la Russia. È un piccolo e impoverito paese asiatico. Eppure ora è implicitamente riconosciuto alla pari dalla più potente nazione sulla terra. Nel giro di pochi mesi Kim è riuscito a trasformarsi dal paria più temuto e detestato in un grande statista e uomo di pace.
Questa miracolosa trasformazione si è potuta realizzare grazie a un solo uomo: Donald Trump. Stringendo la mano a Kim Jong-un, l’uomo che in precedenza aveva minacciato di far esplodere assieme alla sua nazione, Trump ha detto che era un “onore” sedersi con il leader della Corea del Nord. È stato un colpo propagandistico di primaria importanza.
In una conferenza stampa dopo la cerimonia della firma, Trump è andato oltre. Gli Stati Uniti, ha annunciato, avrebbero interrotto tutte le esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud mentre i colloqui sarebbero andati avanti. Ha detto che questo potrebbe far risparmiare qualche soldo all’America, dato che i bombardieri in volo dalla base aerea americana su Guam verso la Corea del Sud erano “alquanto costosi”. Ha anche riflettuto che un giorno gli piacerebbe riportare le truppe americane a casa dalla penisola.
Sia Giappone che Corea del Sud sono stati accusati da Trump di affidarsi troppo agli Stati Uniti. Ha anche aggiunto che trarrebbero vantaggio nell’avere i propri arsenali nucleari, il che porterebbe ad aprire la prospettiva di una corsa al riarmo rovinosa e potenzialmente pericolosa in Asia.
Trump e il commercio mondiale
Trump ha intrapreso una lunga campagna per ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, facendo della Cina l’ovvio bersaglio. Nel 2017 il deficit commerciale degli Stati Uniti era di oltre 811 miliardi di dollari (59 miliardi in più rispetto al 2016). Di quelli, 376 miliardi sono verso la Cina.
La tensione commerciale tra Stati Uniti e Cina si è inasprita rapidamente. Solo undici ore dopo che gli Stati Uniti hanno elencato 1.333 prodotti cinesi da colpire con dazi punitive, Pechino ha detto che avrebbe imposto sanzioni del 25% su 106 prodotti americani. Oltre ai dazi su acciaio e alluminio, Trump deve iniziare a raccogliere 34 miliardi di dazi doganali dal commercio con la Cina.
La Cina ha risposto imponendo tariffe del 25% su 106 prodotti americani, inclusi i semi di soia e altri prodotti agricoli, chimici e veivoli selezionati. Questi ultimi valevano circa 50 miliardi di dollari nel 2017, strategicamente lo stesso valore della importazioni dalla Cina colpite dai dazi americani. Le tariffe sui semi di soia sono un grosso problema per i produttori statunitensi.
La Cina è di gran lunga il più grande mercato per le esportazione dei coltivatori di semi di soia americani, otto volte maggiore del Messico, il secondo più grande acquirente. Su un totale di 22 miliardi di dollari di soia statunitense esportata l’anno scorso, circa il 56% è andato verso la Cina.
Donald Trump ha minacciato di rottamare un certo numero di accordi di libero scambio esistenti, incluso l’accordo nordamericano per il libero scambio tra gli Stati Uniti, Canada e Messico (NAFTA), che accusa di far perdere posti di lavoro. Ha perfino suggerito di ritirare gli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO).
La ragione dietro la sua politica commerciale è quella di creare più posti di lavoro negli Stati Uniti, chiudere il disavanzo commerciale e ottenere “ buoni accordi” per gli Americani. Ma queste mosse potrebbero provocare una guerra commerciale.
Trump ha chiesto la rinegoziazione dell’Accordo nordamericano per il libero scambio, negoziato con Canada e Messico quasi trent’anni fa. Il futuro del NAFTA è ora in dubbio. Trump ha abbandonato il nuovo Partenariato Trans-Pacifico (TPP), che rappresentava circa il 40% del commercio globale. Ancora più grave dal punto di vista del capitalismo mondiale, ha imposto nuove tariffe globali che minacciano di mandare in fumo la delicata struttura della globalizzazione.
Il summit del G7 tenutosi in Quebec, in un’atmosfera di sospetto e recriminazioni, ha accettato con grande difficoltà il comunicato finale. Trump ha detto che ne era felice e ha perfino definito il vertice magnifico e ha valutato con un 10 le sue relazioni con gli altri leader. Eppure, appena dieci minuti dopo la pubblicazione del comunicato ufficiale, ha cambiato idea.
In un tweet inviato da un qualche luogo sopra l’Atlantico, in rotta verso la sua “missione di pace” con Kim Jong-un, ha detto che aveva incaricato i suoi funzionari di non approvare il comunicato, accusando il primo ministro canadese Justin Trudeau di fornire “false dichiarazioni” (cioé menzogne) nella sua conferenza stampa di chiusura e ha rinnovato la minaccia di imporre tariffe sulle auto che stanno “inondando il mercato statunitense!”. Trump crede in maniera incrollabile che il resto del mondo sia ingiusto con l’America.
Infatti ha affermato che “La festa è finita”.
In nome della sicurezza nazionale americana, Trump ha annunciato tariffe sull’acciaio e l’alluminio dal Canada, Messico e UE. Il Canada ha risposto annunciando di ricambiare con dazi sui beni americani fino a 16.6 miliardi di dollari canadesi (12.8 miliardi di dollari statunitensi). Il primo ministro Canadese Justin Trudeau ha detto che le tariffe degli Stati Uniti erano “completamente inaccettabili”.
“ Questi dazi sono un duro colpo alla partnership di lunga data per la sicurezza tra il Canada e gli Stati Uniti e, in particolare, un duro colpo alle migliaia di canadesi che hanno combattuto e sono morti insieme ai loro compagni di armi americani”, ha detto, sottolineando la relazione con la sicurezza nazionale statunitense per giustificare tali misure.
I discorsi su un nuovo NAFTA sono ancora sospesi a mezz’aria. Se Canada e Messico dovessero reagire adottando misure protezionista, Trump potrebbe decidere di ritirarsi dall’accordo commerciale. Il Messico ha detto che avrebbe risposto con imposte sulle importazioni degli Stati Uniti di pancetta, mele, uva, formaggio e di acciaio laminato. Il ministro degli esteri canadese Chrystia Freeland ha detto prima dell’annuncio americano:
“Il governo è assolutamente preparato per difendere le industrie canadesi e i posti di lavoro canadesi e lo farà. Risponderemo in modo appropriato.”
Trump si infuria in pubblico e in privato per i disavanzi commerciali, in particolare con la Germania e le sue grandi vendite di automobili negli Stati Uniti “Guardate l’Unione europea: mettono barriere cosicché non possiamo vendere i nostri prodotti Ford, eppure vendono Mercedes e BMW, le loro auto entrano a milioni e difficilmente le tassiamo. Loro non lasciano entrare le nostre macchine e, se lo fanno, le tasse applicate sono enormi“, ha detto durante un comizio elettorale a Duluth.
“In sostanza, stanno dicendo ‘vi venderemo milioni di macchine. Tra l’altro, voi non ne venderete nessuna a noi’ ma non funziona mica così, ragazzi”.
Per fornire alcune basi giuridiche per nuove tariffe sulle auto, Trump ha istruito il Dipartimento del Commercio di avviare una “inchiesta sulla sicurezza nazionale”. Il fatto che le auto BMW rappresentino in qualche modo una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, non sembra convincere Berlino e Bruxelles. Tuttavia, le tariffe protezionistiche di Trump minacciano indubbiamente l’economia nazionale tedesca. Proprio come le minacce militari si incontrano con misure militari, le misure protezionistiche di un paese trovano inevitabilmente misure protezionistiche di altri paesi.
Gareth Stace della UK Steel ha detto che la mossa di Donald Trump ha “avviato una guerra commerciale dannosa“. Aggiungendo poi: “È difficile vedere cosa possa venire di buono da queste tariffe. I consumatori statunitensi di acciaio stanno già segnalando aumenti dei prezzi e interruzioni nella filiera e con quasi mezzo miliardo di dollari di acciaio esportato dal Regno Unito agli Stati Uniti l’anno scorso, i produttori britannici di acciaio verranno colpiti duramente.
“Come già affermato molte volte, l’unica soluzione sostenibile al problema, la sovraccapacità globale nella produzione di acciaio, sono discussioni multilaterali e l’azione attraverso canali internazionali definiti“
i dazi su acciaio e alluminio hanno esacerbato le tensioni con l’Unione Europea, già presenti all’epoca del ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e la distruzione dell’accordo con l’Iran. L’UE ha già imposto tariffe ritorsive alle esportazioni americane (il cosiddetto “riequilibrio”) di oltre 3 miliardi di dollari su prodotti americani emblematici come moto, succo d’arancia, bourbon, burro di arachidi e jeans.
In risposta, Trump ha inasprito la minaccia di applicare nuovi dazi sulle auto europee. “In base ai dazi e gli ostacoli commerciali che da tempo sono sulle spalle degli Stati Uniti, le sue aziende e i suoi lavoratori, da parte dell’UE, se queste tariffe e barriere non verranno presto distrutte e rimosse, imporremo una tariffa del 20% su tutte le loro auto che arrivano negli USA” ha scritto su Twitter. Il tweet ha provocato una caduta dei prezzi delle azioni dei produttori di automobili come BMW e Volkswagen.
Va ricordato che fu il protezionismo a trasformare il crollo del 1929 nella grande Depressione degli anni ’30. Se il protezionismo dovesse prendere piede, potrebbe far crollare tutta la fragile struttura del commercio mondiale, con le conseguenze più gravi.
“Un mondo diverso e più pericoloso”
Per tutti questi motivi, la politica estera di Trump aggiunge un nuovo e destabilizzante elemento alla crisi generale del capitalismo mondiale. Gli strateghi seri del capitale osservano questo spettacolo poco esaltante sempre più allarmati. Nell’edizione del 7 giugno, l’Economist ha pubblicato un articolo dal titolo sorprendente: “Presente alla distruzione: Donald Trump sta minando l’ordine internazionale basato su regole condivise“. Comincia con le parole funeste: “Per l’America ci potrebbero essere delle vittorie nel breve periodo, ma a lungo termine ci saranno danni per il mondo “. Robert Kagan, un commentatore conservatore di Washington, scrive:
“Gli anni ’30 non si ripeteranno più allo stesso modo – non siamo ancora arrivati a quel punto. Ma la gente ha dimenticato che l’ordine del dopoguerra è stata un’anomalia. Faceva affidamento sull’America per mantenersi intatto. Con Trump, si è tornati a un mondo di competizione multipolare. Un mondo molto diverso e più pericoloso rispetto a quello in cui siamo cresciuti“.
Il 25 maggio il New Yorker echeggiava un articolo intitolato: “l’implosione dell’ordine mondiale di Trump”. Parlava della “diplomazia del tutto o niente di Trump che aumenta notevolmente il rischio di conflitto” e cupamente conclude:
“Nei quindici mesi della presidenza di Trump, gli Stati Uniti hanno assistito allo sbalorditivo annullamento delle norme stabilite da tempo – dell’ordine mondiale a guida statunitense, delle alleanze durature, dei patti commerciali, dei principi di non proliferazione, degli schemi della globalizzazione, delle istituzioni mondiali e, soprattutto, dell’ influenza degli Stati Uniti“.
L’articolo del New Yorker mette in evidenza che:
“In materia di alleati di qualsiasi continente, Trump vuole essere il primo tra pari, che è il ruolo tradizionale degli Stati Uniti. Usa la gara al rialzo e l’umiliazione per affermare la sua posizione. Nel suo incontro con il presidente Emmanuel Macron, Trump l’ha mostrato in maniera imbarazzante, spazzolando via la forfora dalla giacca del leader francese mentre le telecamere riprendevano il tutto. “E lui [Macron] è l’unico leader al mondo che maggiormente ha cercato di comprenderlo”, ha detto Brinkley, aggiungendo che “i leader ora temono il suo narcisismo personale e politico”.
Un anno dopo l’entrata in carica di Trump, un sondaggio condotto da Gallup in 134 paesi ha rilevato che l’approvazione della leadership americana è scesa in picchiata dal 48 al 30%. “Questo minimo storico mette il grado di approvazione della leadership statunitense alla pari di quella cinese e stabilisce un nuovo standard di disapprovazione” ha concluso Gallup.
In realtà questo era già iniziato con l’annuncio del famigerato “Nuovo Ordine Mondiale” dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Una svolta decisiva era arrivata nel 2003, con l’invasione statunitense dell’Iraq. Ma questa politica estera aggressiva ha provocato un’accelerazione sorprendente da quando Trump è entrato in carica. Ciò ha avuto conseguenze di vasta portata per tutto il mondo.
Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, il capitalismo mondiale ha vissuto un periodo di forte crescita. Queste erano le basi oggettive per la relativa stabilità tra le classi e anche tra gli stati nazionali nel periodo del dopoguerra. È stato questo lungo periodo di ripresa economica – insieme alla divisione del mondo tra l’imperialismo americano e l’Unione Sovietica – che ha dato origine a questa relativa stabilità nelle relazioni mondiali.
Questa cosiddetta pace e stabilità, durata per 50 anni dopo la Seconda guerra mondiale, si basava sull’equilibrio del terrore tra la potente Russia stalinista da una parte e l’imperialismo americano dall’altra. La lotta tra due sistemi sociali reciprocamente in contraddizione nella cosiddetta “Guerra fredda” divideva il mondo intero in blocchi immutabili e sfere di influenza.
Ma ora tutto è cambiato. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica è rimasta una sola superpotenza nel mondo: gli Stati Uniti d’America. Con un potere colossale è arrivata un’arroganza colossale. La dottrina di Bush si è espressa con l’invasione dell’Iraq. Ancor prima di quell’invasione, l’imperialismo americano aveva mostrato il suo carattere aggressivo con l’intervento nell’ex-Jugoslavia. Queste azioni hanno distrutto il precedente ordine internazionale e dato inizio ad un nuovo periodo caratterizzato da estrema instabilità, turbolenza e disordine.
Il problema è che, su base capitalista, non ci sono alternative al rimettere in ordine le istituzioni, le idee, gli accordi e le relazioni che Trump si è impegnato a distruggere. “Il mondo in cui state per entrare è pieno di incertezze e minacce“, ha detto recentemente Richard Haass, il presidente del ”Consiglio per le Relazioni con l’Estero”, all’Università di Colgate. Ha aggiunto: “La qualità e la quantità delle sfide che si trovano ad affrontare gli Stati Uniti e il mondo non ha precedenti, secondo la mia esperienza“.
Le vecchie certezze stanno svanendo rapidamente per essere sostituite da una generale instabilità in tutti i campi: economico, finanziario, monetario, politico, sociale, militare e diplomatico. Come ha detto un commentatore americano, gli Stati Uniti hanno “visto solo il Primo Atto di Trump. Ancora non si sa cosa verrà dopo”.
29 giugno 2018