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1 Ottobre 2018
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La rivoluzione dei garofani

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Nella primavera del 1975, il Times titolava: “il capitalismo in Portogallo è morto”. Era stato nazionalizzato approssimativamente il 75% dell’economia, e fuori dalle banche, occupate dai lavoratori, campeggiava la scritta sugli striscioni “banca del popolo”. Il movimento delle Forze Armate dichiarava che il proprio obiettivo era il socialismo, e tutti i partiti presenti nel governo facevano eco.

In molte aziende erano i consigli operai a decidere come si doveva lavorare, le assunzioni e i licenziamenti. Manifestazioni di massa erano all’ordine del giorno e quando l’esercito veniva mandato a fermarle nella maggior parte dei casi i soldati solidarizzavano con i manifestanti.

Il 25 aprile 1974 si ricorda come “la rivoluzione dei garofani”: i fiori infilati nella canna dei fucili che non sparavano e dei carri armati a Lisbona sarebbero il simbolo della concordia nazionale e della gioia di un processo “non conflittuale”. Quel giorno non ci furono quasi morti, ma questo certo non per volontà del regime fascista o della classe dominante portoghese, che aveva dato più volte ordine di sparare sugli insorti. Fu perché il totale discredito del regime e la diserzione della quasi totalità dei soldati di base e dei bassi gradi degli ufficiali, oltre ad alcuni elementi dei livelli più alti, fecero cadere gli ordini di repressione nel vuoto. Ci furono nei mesi successivi tentativi di azioni violente e colpi di Stato militari per fermare la rivoluzione, ma furono del tutto inconcludenti. Il rapporto di forze era completamente a favore della rivoluzione e della classe lavoratrice, e la reazione impiegò più di un anno a riprendere almeno parzialmente il controllo della situazione.

Questo testo vuole delineare almeno gli elementi fondamentali di quella rivoluzione, perché possano essere di insegnamento a chi, oggi, combatte contro lo stesso sistema di oppressione che i lavoratori, i giovani e tanti soldati portoghesi provarono ad abbattere allora.