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8 Agosto 2018Dall’emancipazione alla criminalizzazione: la persecuzione stalinista degli omosessuali a partire dal 1934
di Fred Weston
Nel marzo del 1934 Stalin ricriminalizzò ufficialmente l’omosessualità in tutta l’Unione Sovietica. Da quel momento chiunque fosse stato coinvolto in atti omosessuali rischiava da tre a cinque anni di carcere. Eppure nei primi anni della rivoluzione russa l’omosessualità era stata legalizzata – un fatto di cui si trovano poche tracce nella letteratura prodotta dai partiti comunisti ufficiali successivamente al 1934. Gli stalinisti di oggi, che prendono a modello il regime di Stalin, hanno molte spiegazioni da dare.
Nel 1922 l’omosessualità venne legalizzata nella Russia sovietica rivoluzionaria, il che la rendeva uno dei paesi al mondo più all’avanguardia in materia. Mentre la Gran Bretagna o gli Stati Uniti ancora incarceravano gli omosessuali, i gay potevano vivere apertamente con i loro partner in Russia. L’Inghilterra non legalizzò l’omosessualità fino al 1967, con alcune limitazioni, mentre la piena legalizzazione dell’omosessualità non arrivò fino al 2000. Negli Stati Uniti, prima del 1962, l’omosessualità era considerata un crimine in ogni Stato, punibile con la reclusione; in Idaho si rischiava persino l’ergastolo.
L’Illinois fu il primo Stato a depenalizzare gli atti consensuali tra omosessuali nel 1962, ma fu solo nel 2003 che infine l’omosessualità smise di essere considerata un crimine in tutti gli Stati Uniti. La Spagna depenalizzò l’omosessualità nel 1979, dopo la caduta del regime di Franco; il Canada lo fece nel 1969, così come la Germania occidentale; l’Austria e la Finlandia nel 1971;la Norvegia nel 1972 e l’Irlanda nel 1993.
Sto scrivendo una serie di articoli sulla depenalizzazione dell’omosessualità in Russia dopo la rivoluzione d’Ottobre, su come l’omosessualità fu successivamente considerata, su come la degenerazione burocratica della rivoluzione russa abbia lentamente soffocato le libertà conquistate dagli omosessuali e infine sul profilarsi della ricriminalizzazione del 1934. Dunque non affronterò qui questi argomenti in dettaglio.
Negli anni ’30, dopo la criminalizzazione dell’omosessualità in Unione Sovietica, l’Internazionale comunista stalinista venne permeata di omofobia e l’omosessualità fu criminalizzata in quasi tutti i paesi in cui arrivarono al potere regimi stalinisti, dall’Europa orientale alla Cina, a Cuba. La situazione iniziò a cambiare solo sotto la pressione del crescente movimento per i diritti gay, specialmente sull’onda del 68’.
Tuttavia le cose non erano sempre state così. Il partito comunista tedesco, prima dell’ascesa di Hitler nel 1933, era a favore dell’emancipazione omosessuale e per i membri di quel partito sarebbe stato inimmaginabile che a metà degli anni ’30 Stalin potesse adottare le stesse leggi anti-gay introdotte da Hitler.
Un breve sguardo ai primi anni ’20 mostra come ci fosse una messa in discussione generale dei vecchi valori che avevano dominato la società russa sotto lo zar. Il diritto di famiglia venne modificato, passando da una posizione di predominanza maschile all’interno della famiglia a una di uguaglianza tra i sessi. Venne dichiarata l’uguaglianza tra uomini e donne, divenne più facile ottenere il divorzio, l’aborto fu legalizzato e così via. Fu in questo contesto che anche l’omosessualità venne legalizzata.
Va anche detto che nella società sovietica dei primi tempi erano presenti due tendenze opposte, una rivoluzionaria che mirava a cambiare radicalmente la struttura della società, ma anche una implicitamente conservatrice, espressione dei residui della vecchia società e della natura piccolo-borghese della casta di burocrati che stava cominciando ad emergere.
Ci furono tentativi di costruire cucine comuni, alloggi pubblici, lavanderie comunitarie, di fornire servizi generalizzati e gratuiti di assistenza all’infanzia e molti altri cambiamenti per facilitare la vita delle donne in particolare. Allo stesso tempo però, a causa del limitato sviluppo dell’economia, non esistevano le risorse perché tutto questo si trasformasse in una realtà duratura.
L’isolamento della rivoluzione in un solo paese, tra l’altro un paese arretrato, stava a significare che il salto verso una vera società comunista non era possibile e che alla fine avrebbe prevalso l’altra tendenza più conservatrice. I valori tradizionali tornarono a insinuarsi nella società. Non va dimenticato che, specialmente all’interno della burocrazia statale, era lo stesso vecchio strato conservatore piccolo borghese a mantenere il controllo. Una volta che divenne evidente il completo isolamento della rivoluzione, la speranza di una rivoluzione internazionale che portasse soccorso ai lavoratori sovietici si dissipò e venne definitivamente meno nella coscienza di milioni di persone in Unione Sovietica.
In queste condizioni si può notare un cambiamento anche nella capacità di sostenere un confronto tra opinioni differenti. Nei primi anni della rivoluzione vi fu un vero dibattito all’interno della stampa, dove venivano espresse opinioni a volte molto contrastanti. Lo stesso accadde nell’arte e nella letteratura. Ma già in quei primi anni c’era un altro settore, quello dei mediocri, delle nullità, degli incapaci di un pensiero indipendente, dei leccapiedi, degli “yes-man”. Un settore di uomini e donne interessati solo ad apparire come i perfetti attivisti di partito, che portano avanti sempre la “linea corretta”. Questa linea tuttavia non era più definita attraverso un dibattito genuino e aperto, come avveniva quando il partito bolscevico era diretto da Lenin e Trotskij, ma ora veniva trasmessa dall’alto e imparata a memoria.
In questa atmosfera le idee conservatrici che permeavano la burocrazia iniziarono lentamente ad emergere come le uniche ammesse. Ciò non avvenne da un giorno all’altro, fu piuttosto un processo che si manifestò nel corso di diversi anni. Man mano che gli anni passavano, le opinioni divennero sempre più conservatrici.
Questo ebbe un enorme impatto sul modo di trattare gli omosessuali. Già prima della criminalizzazione dell’omosessualità nel 1934, il regime di Stalin stava rendendo la vita difficile agli omosessuali.
Il destino di Kuzmin
Il destino di una figura eminente come Michail Kuzmin, famoso poeta e autore, getta luce sull’intero processo. Era dichiaratamente gay e aveva scritto molto prima della rivoluzione. La sua opera più famosa fu Vanja del 1906, la storia di un giovane che scopre la propria omosessualità. Kuzmin diede il benvenuto alla rivoluzione russa e divenne membro della direzione dell’Associazione degli artisti di Pietrogrado insieme a scrittori come Aleksandr Blok e Vladimir Majakovskij.
Già nel 1928 la sua libertà era molto più ridotta. Fu quello l’anno della sua ultima lettura pubblica all’Istituto di storia dell’arte. Sebbene fosse stata concessa l’autorizzazione per l’evento, non ne era stata consentita la promozione e la partecipazione era solo su invito. Nonostante questi tentativi di boicottare l’evento, la sera l’auditorium era stracolmo, con persone in piedi nei corridoi e sedute sul pavimento. Molti dei partecipanti erano omosessuali.
Nel 1929 Kuzmin pubblicò un’opera significativa, “La trota spezza il ghiaccio”, una serie di poesie su una storia d’amore omosessuale. Fu la sua ultima pubblicazione, dopodiché nessuna delle sue opere fu mai più pubblicata in Unione Sovietica. Ma questa non fu la fine della sua persecuzione.
Nel 1931 il suo appartamento fu perquisito dalla polizia. Prima dell’irruzione della polizia il suo compagno, Yuri Yurkun, era stato messo sotto torchio dalla GPU per fornire informazioni su di lui. Nel 1933 Kuzmin vendette i suoi diari al Museo di Stato della Letteratura. Il suo direttore, V. D. Bonch-Bruevich, fu interrogato sul motivo per cui avesse acquistato materiale così “eccezionalmente schifoso” e poi venne condotta una purga tra il personale del museo. Tutto ciò avvenne prima della ri-criminalizzazione dell’omosessualità nel 1934.
Kuzmin ebbe la “fortuna“ di morire di cause naturali nel 1936. Il suo compagno invece fu arrestato nel 1938, interrogato per sette mesi e poi giustiziato con l’accusa di essere un contro-rivoluzionario.
Controrivoluzione a parole e nei fatti
Gli anni ’20 videro un processo di graduale burocratizzazione, contrastato dall’Opposizione di Sinistra guidata da Lev Trotskij. Negli anni ’30 la burocrazia stalinista aveva il pieno controllo del potere e la controrivoluzione politica era stata completata. A partire dalla fine degli anni ’20 e per tutti gli anni ‘30, decine di migliaia di veri bolscevichi furono arrestati con accuse inventate, trascinati nei gulag e costretti ai lavori forzati nelle condizioni più terribili fino alla morte per sfinimento. Altri furono torturati per costringerli a confessare i crimini più assurdi e poi fucilati. Si trattò di una vera e propria guerra civile unilaterale, con la burocrazia che aveva nelle sue mani tutti i mezzi per eliminare fisicamente i suoi oppositori indifesi.
Tutto ciò venne presentato come una lotta per reprimere la controrivoluzione borghese; si trattava invece solo di un modo per nascondere quello che stava accadendo. Nel processo di degenerazione, una burocrazia privilegiata si era innalzata al di sopra dei lavoratori e, pur continuando a difendere l’economia statale pianificata, soffocò tutti gli elementi della genuina democrazia operaia che aveva prevalso nei primi anni della rivoluzione.
In queste condizioni non era consentita nessuna forma di pensiero critico, perché un atteggiamento più permissivo avrebbe necessariamente comportato una difesa della democrazia operaia, qualcosa che la burocrazia non poteva tollerare. Se gli operai avessero potuto eleggere i loro funzionari con il diritto di revoca e imporre salari operai a quegli stessi funzionari, la burocrazia in quanto casta privilegiata sarebbe stata messa in pericolo. La burocrazia creò quindi un’atmosfera per cui i presunti controrivoluzionari dovevano essere scovati in ogni angolo della società sovietica. Tutto ciò avvenne anche in un momento critico nello sviluppo dell’Unione Sovietica. L’impatto negativo della collettivizzazione forzata nelle campagne stava producendo i suoi effetti e la burocrazia era preoccupata di un effettivo calo della popolazione.
Pertanto l’orientamento generale si spostò verso la promozione della famiglia borghese come base per la produzione e la riproduzione del lavoro. Con questo arrivò l’idealizzazione della maternità, al punto tale che le madri con più di sette figli ricevevano incentivi, qualcosa di molto simile a quello che Mussolini e Hitler stavano facendo nello stesso periodo. L’aborto fu vietato e il divorzio reso più difficile. Come si vede, fu questo il trionfo finale delle tradizioni arretrate della vecchia Russia incarnate nella burocrazia, i cui pregiudizi giungevano fino al vertice nella persona dello stesso Stalin.
Contemporaneamente una grande epurazione dei cosiddetti elementi controrivoluzionari stava avvenendo in tutto il paese. Il regime del terrore stava raggiungendo il suo apice e un clima di sospetto e delazione veniva promosso ovunque.
La ricriminalizzazione dell’omosessualità nel 1934
È in questo contesto che iniziò il giro di vite contro gli omosessuali. Come abbiamo già visto nel caso di Kuzmin, questo avvenne ben prima dell’effettiva e formale criminalizzazione dell’omosessualità. Nel 1933 il processo aveva già preso slancio. Alla fine dell’estate di quell’anno, ad esempio, 130 uomini furono arrestati a Mosca e Leningrado durante retate di polizia contro gli omosessuali. Questi arresti continuarono fino al 1934. Poiché non esisteva ancora una legge che bandisse l’omosessualità, gli arrestati furono accusati di altri crimini, di solito attività “controrivoluzionaria”. Un testimone ha affermato che i raduni omosessuali furono “fatti … apparire come controrivoluzionari, trotskisti o addirittura hitleriani”.
L’iniziativa concreta per ri-criminalizzare l’omosessualità venne dal vice capo della GPU, la polizia segreta, G.G. Jagoda, che nel settembre del 1933 scrisse una lettera a Stalin insistendo sulla necessità di una legge contro gli omosessuali dal punto di vista della sicurezza dello Stato e presentando gli omosessuali come parte di una rete di spie controrivoluzionarie. Stalin era fin troppo desideroso di assecondare la richiesta di Jagoda e la trasmise a Kaganovic, membro del Politburo, con una nota aggiuntiva: “questi furfanti devono ricevere una punizione esemplare e un apposito decreto guida deve essere introdotto nella nostra legislazione”.
Negli archivi sono state registrate una serie di note di approvazione: “Corretto! L. Kaganovic” e ” Certamente. È necessario. Molotov.” Lazar Kaganovic e Molotov, che appartenevano a quel tipo di elementi mediocri che si trovavano ora al vertice del partito, non avrebbero avuto remore a obbedire ciecamente a Stalin. Se avessero avuto scrupoli, sarebbero finiti presto o tardi di fronte ad un plotone di esecuzione. Invece, a differenza di molti vecchi bolscevichi, poterono permettersi il lusso di morire di vecchiaia.
Jagoda quindi procedette a redigere un progetto di legge il 13 dicembre 1933. Solo pochi giorni dopo, il 16 dicembre, il Politburo approvò il progetto. Già il giorno seguente il Comitato esecutivo centrale dell’Unione Sovietica adottò lo stesso disegno di legge, da applicarsi in tutte le repubbliche appartenenti all’Unione. Il 7 marzo 1934 il progetto divenne legge nell’URSS, poi il 1 aprile nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. Durante tutto l’iter furono apportate diverse modifiche alla bozza originale. Da quel momento in poi gli uomini sorpresi a commettere atti omosessuali potevano venire arrestati e condannati a pene detentive tra i tre ed i cinque anni. Negli anni successivi migliaia di omosessuali finirono nelle prigioni e nei campi di lavoro di Stalin
Il caso di Harry Whyte, un comunista britannico
Prima della criminalizzazione del 1934 in Unione Sovietica, i partiti comunisti in Europa avevano fatto campagne per l’emancipazione omosessuale, specialmente in Germania dove c’era un movimento per i diritti dei gay solido e organizzato – che successivamente sarebbe stato brutalmente represso da Hitler, con molti omosessuali finiti nei campi di concentramento. È un’ironia della storia che il regime stalinista abbia denunciato l’omosessualità come una depravazione borghese, citando la Germania ed i nazisti come esempi, proprio quando Hitler si stava muovendo esattamente nella stessa direzione di Stalin su questa questione!
Un esempio delle difficoltà che Stalin incontrò nel superare la preoccupazione tra i membri dei partiti comunisti europei a proposito di questa svolta reazionaria nell’Unione Sovietica, è fornito dall’esperienza di un membro del Partito Comunista della Gran Bretagna che stava lavorando a Mosca al Moscow Daily News. Quando venne a sapere della nuova legge, scrisse una lettera a Stalin chiedendogli come poteva giustificarla. Nella lettera, Harry Whyte, un gay che viveva con un partner russo, raccontava dei suoi sforzi per rintracciare il suo compagno arrestato dalla polizia segreta durante una retata contro gli omosessuali. Nella sua lettera Whyte sottolineava come la nuova legge stesse cancellando tutti i progressi compiuti in materia dopo la rivoluzione. Harry Whyte, riflettendo il pensiero di un fedele membro del partito, credeva che sarebbero stati perseguiti solo gli omosessuali coinvolti in vere e proprie attività controrivoluzionarie, ma scoprì molto rapidamente che la legge si applicava a tutti gli omosessuali.
Stalin fece archiviare la lettera di Whyte, non prima di avervi aggiunto una nota di suo pugno “Un idiota ed un degenerato”, un chiaro riferimento all’autore. Nonostante l’archiviazione, queste proteste da parte di gay comunisti misero Stalin in guardia sulla necessità di una campagna per influenzare l’opinione pubblica. Chiamò in suo aiuto qualcuno più abile di lui come scrittore, Maksim Gorkij, che si affrettò a scrivere un articolo “Umanesimo proletario”, pubblicato nel maggio ’34 sia sulla Pravda che sulla Izvestia. L’articolo, furiosamente omofobo, indicava l’omosessualità come una malattia occidentale borghese, perfino come una manifestazione della “demoralizzante influenza del fascismo”. Lo slogan coniato da Gorkij era: “Distruggi gli omosessuali – il fascismo sparirà.”
Krylenko spiega che tutti gli omosessuali sono criminali
Nonostante tutto questo, si dimostrò difficile applicare la legge con la durezza richiesta da Jagoda. Quindici anni di omosessualità legalizzata avevano lasciato il segno, sia nel mondo medico che in quello giuridico. Dottori, psichiatri e giudici si erano ormai abituati all’omosessualità legalizzata e alcuni rifiutavano persino di credere che una legge simile potesse essere passata. In questi settori ci fu quindi inizialmente una tendenza ad essere indulgenti verso gli omosessuali.
Nel 1936 Krylenko, commissario del popolo alla Giustizia, sentì il bisogno di chiarire la vera natura della nuova legge. Ad una riunione del Comitato Centrale Esecutivo spiegò che gli omosessuali erano nemici di classe e criminali. Riguardo alla depenalizzazione dell’omosessualità avvenuta dopo la rivoluzione, spiegò che la legislazione era stata influenzata dal modo di pensare dell’Occidente, che guardava all’omosessualità come una malattia e non come un crimine.
Vale la pena citare una parte del suo discorso, che ci fornisce un assaggio della dilagante omofobia della burocrazia:
“Nel nostro ambiente, nell’ambiente degli operai che hanno il punto di vista delle normali relazioni tra i sessi, che stanno costruendo la loro società su principi sani, non abbiamo bisogno di piccoli gentiluomini di questo tipo. Chi sono quindi per la maggior parte quelli coinvolti in questi affari? Lavoratori? No! Marmaglia declassata. [Vivace animazione nella sala, risate] Marmaglia declassata, proveniente dalla feccia della società o dai resti delle classi sfruttatrici. [Applausi] Non sanno più da che parte girarsi. [Risate] Così si rivolgono alla… pederastia. [Risate]” (da Homosexual Desire in Revolutionary Russia, di Dan Healey)
Con il suo discorso Krylenko non aveva lasciato dubbi sul fatto che tutti gli omosessuali dovessero essere trattati come dei criminali. Nel periodo delle purghe e dei processi farsa la repressione degli omosessuali fu dura e spesso utilizzata per colpire i dissidenti. Una volta completata l’eliminazione di tutti i potenziali dissidenti con la prigione, i campi di lavoro, le confessioni e le esecuzioni, la legge continuò ad essere applicata, sebbene con minor foga.
Ciò nonostante Stalin avrebbe scoperto che l’omosessualità non può essere semplicemente fatta sparire per decreto. I successivi processi contro gli omosessuali rivelarono che una sottocultura gay continuava ad esistere, con noti punti di incontro frequentati da gay. Negli stessi processi emerse come il sesso tra uomini fosse spesso accompagnato da genuine espressioni di amore e affetto, a dispetto dei pregiudizi dei burocrati incaricati di applicare la legge contro l’omosessualità. A causa dell’incapacità di comprendere questo tratto della natura umana, la sua causa veniva spiegata con una specie di difetto negli uomini che produceva un tipo “maschile” ed uno “femminile”.
La “destalinizzazione” e il dramma degli omosessuali
La repressione degli omosessuali continuò fino alla morte di Stalin e anche dopo. Migliaia di omosessuali finirono nelle prigioni e nei gulag di Stalin. Quando morì, essi erano tra gli oltre due milioni di persone condannate ai lavori forzati. Dopo la morte di Stalin il regime si adoperò per ridurre la popolazione dei gulag tramite un’amnistia per molti dei detenuti. Tuttavia gli omosessuali, considerati criminali comuni, ne furono esclusi.
Mentre il regime abbandonava alcuni degli aspetti peggiori del terrore stalinista, nel caso delle relazioni tra persone dello stesso sesso la repressione di fatto aumentò. Paradossalmente la reclusione forzata di un gran numero di uomini – e di donne, in campi separati – nelle prigioni e nei campi di lavoro fece in realtà accrescere il numero delle persone coinvolte in relazioni omosessuali. A quanto pare una delle cose che il regime temeva a proposito del rilascio di molti dei prigionieri dei gulag, era che questi potessero “infettare” l’intera società con l’influenza “corruttrice” dell’omosessualità!
La sorte delle lesbiche non era migliore, semmai per loro le cose andavano anche peggio. Molte si trovarono ad essere trattate come dissidenti politiche, dichiarate malate di mente e mandate in ospedali “psichiatrici” per subire un “trattamento”, il che significava essere costrette ad assumere medicinali.
L’omosessualità sarebbe stata infine depenalizzata solo nell’aprile 1993, decisione confermata nel 1996 nella stesura di un nuovo codice penale. Questo avvenne in un contesto in cui il nuovo regime voleva rompere con gran parte del vecchio ordine stalinista, mentre la burocrazia muoveva dall’economia pianificata verso il capitalismo.
Nondimeno, sebbene le relazioni tra persone dello stesso sesso siano state formalmente legalizzate, nella pratica la vita continua a essere difficile per i gay nella Russia contemporanea. E’ ancora diffusa l’idea che l’omosessualità sia estranea alla società russa. I gay e le lesbiche devono ancora raggiungere quel livello di libertà che avevano ottenuto con i bolscevichi dopo la rivoluzione d’Ottobre. In quanto tale, l’eredità dello stalinismo è una chiara concausa del tremendo trattamento che la comunità LGBT russa deve affrontare ancora oggi.
Quanti gay hanno sofferto l’umiliazione del processo e della reclusione durante il lungo periodo di 59 anni in cui la legge sovietica ha criminalizzato l’omosessualità? È difficile calcolarlo, alcuni sostengono che siano stati condannati fino a 250.000 gay, mentre calcoli più recenti sembrano indicare che la cifra reale sia di circa 60.000. Dagli anni ’60 fino agli anni ’70 ci fu effettivamente un aumento del numero di uomini perseguiti per attività omosessuali – il picco fu raggiunto nel 1977-1978, quando ci furono più di 1.300 condannati in ciascun anno.
Gli altri paesi stalinisti
Prima del 1933-34, i partiti comunisti in diversi paesi – come abbiamo visto – avevano una posizione favorevole all’emancipazione degli omosessuali. Il partito comunista tedesco, il più grande al di fuori dell’Unione Sovietica in quel periodo, aveva questa posizione. La situazione cambiò radicalmente una volta che l’omosessualità venne nuovamente criminalizzata nell’Unione Sovietica.
Ciò non dovrebbe sorprenderci, poiché l’Internazionale comunista con le sue sezioni nazionali non era più quella forza vivace, vitale e rivoluzionaria dei primi quattro congressi mondiali. Se si leggono i discorsi, le risoluzioni e le dichiarazioni di quei congressi si troverà un vero dibattito con opinioni diverse espresse dai delegati delle varie sezioni nazionali. Si vedrà che il metodo di Lenin e Trotskij era quello di discutere e convincere quei delegati che avevano opinioni contrastanti.
Con l’ascesa della burocrazia in Unione Sovietica tutto questo cambiò. Il metodo di Stalin era quello delle manovrare nei corridoi e alle spalle delle persone. Le sue specialità erano la calunnia e la delazione. Era molto più bravo nell’organizzare una caccia alle streghe che nel discutere idee politiche. L’ascesa di Stalin fu anche l’ascesa del piccolo burocrate con le sue meschine vedute conservatrici.
In un tale ambiente l’omofobia si diffuse in tutto il Comintern e più tardi, quando vennero istituiti regimi modellati sull’Unione Sovietica burocratizzata in Europa orientale, anche lì si creò un ambiente simile di ostilità nei confronti degli omosessuali. Nella maggior parte dei partiti comunisti ufficiali l’omosessualità era vista come un comportamento degenerato proveniente dalla società borghese. Ciò ebbe un enorme impatto negativo nella lotta contro le oppressioni LGBT e contribuì a separare il movimento LGBT dal marxismo e dal socialismo per decenni.
L’unica eccezione fu la Polonia, dove il vecchio codice penale del 1932 aveva depenalizzato gli atti consensuali tra persone dello stesso sesso e quella legge fu mantenuta sotto il regime stalinista successivo alla seconda guerra mondiale. Tuttavia in tutti gli altri regimi del blocco orientale l’omosessualità era considerata un reato. Solo anni dopo alcuni di questi regimi iniziarono una liberalizzazione sulla questione. La depenalizzazione degli atti omosessuali avvenne in Cecoslovacchia e in Ungheria nel 1962, in Bulgaria e nella Germania dell’Est nel 1968, ad eccezione della Romania, che depenalizzò solo nel 1996, diversi anni dopo la caduta dei regimi stalinisti. In Romania la legislazione anti-gay è stata particolarmente severa, con pene detentive che potevano arrivare anche a 10 anni.
In Jugoslavia, che non era un satellite dell’Unione Sovietica, ogni repubblica che faceva parte della federazione aveva autonomia legislativa in materia. Così la Croazia, il Montenegro e la Slovenia depenalizzarono nel 1977, mentre le altre repubbliche lo fecero solo dopo il crollo della repubblica federale jugoslava. L’Albania, un regime estremamente autarchico, depenalizzò nel 1977, sebbene la completa depenalizzazione non ebbe luogo fino al 1995, qualche anno dopo il crollo del regime stalinista di Hoxha.
Anche a Cuba, dopo l’avvento al potere di Castro e anche sotto l’influenza dell’Unione Sovietica, l’omosessualità fu criminalizzata. All’indomani della rivoluzione cubana, molti importanti artisti e intellettuali di orientamento gay simpatizzavano con il nuovo regime, vedendo in esso una prospettiva di giustizia sociale, compresa una liberalizzazione dell’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità. Ma nel giro di un paio d’anni tutto questo cambiò e ci fu una stretta generale contro gli atti tra persone dello stesso, con molti omosessuali che finirono imprigionati. Fu solo a metà degli anni ’70 che iniziò ad emergere un approccio più tollerante e nel 1979 gli atti tra persone dello stesso sesso vennero legalizzati.
Ciò che accadde sotto il regime maoista è di particolare interesse perché la Cina storicamente aveva avuto una tradizione di accettazione dell’omosessualità risalente al primissimo periodo della sua antica civiltà. Nessuno poteva sostenere che l’omosessualità non avesse avuto un posto nella società cinese. Fu solo con la storia più recente che ci fu un cambiamento e, dopo la rivoluzione del 1949, anche in Cina fu promosso quello stesso ambiente omofobo prevalente in Unione Sovietica. La Cina maoista adottò lo stesso approccio dell’Unione Sovietica sotto Stalin, arrestando i gay e imprigionandoli. Durante la Rivoluzione Culturale degli anni ’60, gli omosessuali venivano umiliati pubblicamente e condannati a lunghe pene detentive. La situazione rimase tale durante tutto il periodo maoista e l’omosessualità venne infine depenalizzata solo nel 1997, più di venti anni dopo la morte di Mao. Si è dovuto attendere il 2001 perché l’omosessualità non fosse più ufficialmente classificata come disturbo mentale. Anche allora l’atteggiamento ufficiale nei confronti delle attività tra persone dello stesso sesso era quello di considerarle un’ “anormalità”.
Il Vietnam è un caso diverso, dal momento che non c’è traccia del fatto che l’omosessualità sia mai stata criminalizzata. Ciò non significa che l’atteggiamento ufficiale fosse amichevole verso i gay. L’omosessualità veniva spesso presentata come un male sociale e a un certo punto ci furono richieste per una legge che vietasse le attività tra persone dello stesso, ma non se ne fece nulla.
Gli stalinisti e i maoisti di oggi devono dare una risposta
Come abbiamo visto, la maggior parte dei regimi stalinisti dopo la seconda guerra mondiale ha criminalizzato l’omosessualità o ha mantenuto la precedente legislazione anti-gay nel proprio codice penale. E la maggior parte di essi ha gradualmente, dagli anni ’60 fino agli anni ’80, depenalizzato l’omosessualità. In questo c’erano dei paralleli con quanto stava accadendo in Occidente. Si potrebbe sostenere che la situazione non era peggiore rispetto a quanto accadeva in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, ma questo giudizio trascura un punto molto importante.
Nel 1922, all’epoca di Lenin e Trotsky, quando l’Unione Sovietica era ancora uno Stato operaio relativamente sano e il processo di degenerazione burocratica era solo agli stadi iniziali, l’omosessualità era stata depenalizzata sotto il regime bolscevico. Ciò pose l’Unione Sovietica all’avanguardia a livello internazionale, molto più avanti rispetto alla maggior parte dei paesi economicamente più avanzati dell’Occidente. E, come abbiamo visto, per quasi 15 anni le relazioni omosessuali rimasero libere da interferenze legali. I gay e le lesbiche non potevano essere arrestati e imprigionati.
Oggi ci sono ancora aderenti alla tradizione stalinista. Gli stalinisti più apertamente intransigenti prendono ancora il regime di Stalin come modello. I maoisti – che rivendicano Stalin e condannano l’Unione Sovietica solo dopo la sua morte – guardano al regime di Mao come al loro modello. Si richiamano ancora a teorie come la “guerra popolare prolungata”, modellata storicamente sulla Lunga Marcia di Mao, e cercano di applicarla alle moderne condizioni di urbanizzazione. Dove in passato questa teoria è stata applicata in aree altamente urbanizzate, come in America Latina, è sfociata in una guerriglia urbana totalmente isolata dal movimento operaio e ha svolto un ruolo controproducente.
Gli stessi maoisti parlano del regime futuro che immaginano come uno in cui ci sia “libertà di dissenso e unità in azione” e pretendono che questo sia stato ispirato da Mao! È totalmente al di fuori della realtà storica affermare che ci fosse la libertà di dissentire sotto Stalin o sotto Mao. Parlano anche di un futuro “partito d’avanguardia” al potere i cui rappresentanti eletti sarebbero revocabili dal popolo. Di nuovo, dove e quando è stato applicato questo diritto democratico fondamentale nella Russia stalinista o nella Cina maoista? Tutto questo è apologia di quello che è stato un mostruoso regime burocratico e una negazione della realtà storica.
Ciò non impedisce ad alcuni di questi stalinisti, in particolare ai maoisti dei nostri giorni, di aderire alle politiche identitarie, di promuovere la teoria dell’intersezionalità e così via. Così facendo sono molto disonesti con il loro stesso passato. Una persona gay – per non parlare di un transgender – sotto Stalin e Mao avrebbe subito un trattamento terribile, umiliazioni e l’incarcerazione.
Altri ex stalinisti hanno abbandonato ogni pretesa di essere marxisti o comunisti e sono passati nel campo del liberalismo borghese, abbracciando idee che servono a dividere gli oppressi, piuttosto che unirli. È ironico che queste persone, che in passato sarebbero state apologeti dei regimi stalinisti totalitari, ora indossino le vesti maleodoranti del liberalismo borghese e preferiscano non si faccia menzione delle loro tradizioni passate.
Quelli che ancora si definiscono stalinisti o maoisti, ma che oggi appoggiano le campagna sui temi LGBT, devono spiegare perché aderiscono alle idee che provengono da una casta burocratica privilegiata che ha distrutto i numerosi diritti conquistati dagli operai e dai contadini nel 1917. Devono spiegare perché questi burocrati, che loro idealizzano come veri comunisti, hanno revocato la legge del 1922 che depenalizzava l’omosessualità. Che ruolo ha giocato questo nella “costruzione del comunismo”?
Il motivo per cui non possono dare una spiegazione è che non ammettono sia esistita una burocrazia che ha usurpato il potere politico e rotto con molto di quello per cui i bolscevichi si erano battuti. Non possono accettare che, insieme a questo, ci sia stato un ritorno dei pregiudizi della società zarista. In questo processo diritti fondamentali ed elementari, come quello all’aborto per le donne, furono persi e i gay furono nuovamente declassati al livello di criminali comuni.
In quanto marxisti è invece del tutto nel nostro interesse ristabilire la verità storica. Una parte di questo compito è stabilire la verità su quanto la Rivoluzione d’Ottobre ottenne in termini di emancipazione omosessuale e anche su come questo fu distrutto nel processo di degenerazione stalinista.
Nota: Di seguito sono riportati i principali libri e articoli che ho letto e consultato per accertare i fatti descritti in questo articolo. Sono tutte letture interessanti, ma ciascuna di esse fornisce la propria interpretazione di quello che accadde. Il punto debole che hanno tutti in comune è la mancanza di comprensione del processo di burocratizzazione che trasformò l’originale regime bolscevico, basato sul potere dei lavoratori, in un regime che distrusse il potere dei lavoratori. Il termine “bolscevico” è spesso usato per descrivere sia il partito e il governo dei primi anni 20’ che il successivo regime burocratico totalitario stalinista.
Libri
Homosexual Desire in Revolutionary Russia, di Dan Healey, University of Chicago Press, 2001
Sexual Revolution in Bolshevik Russia, di Gregory Carleton, University of Pittsburgh Press, 2005
Gay Men and the Sexual History of the Political Left, a cura di Gert Hekma, Harry Oosterhuis and James Steakley, Harrington Park Press, 1995
Articoli
Can a homosexual be a communist? Lettera di Harry Whyte a Stalin, 1934
Was Homosexuality Illegal in Communist Europe? di Lukasz Szulc, 24 ottobre 2017
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